Crucnhyroll ha tentato il colpaccio con l’adattamento di Noblesse, il manhwa coreano a tema vampiresco. Avrà fatto centro?

Noblesse ci ha sorpreso, e non ce lo aspettavamo minimamente. Avvicinandoci all’adattamento animato del manhwa coreano, infatti, sulle prime battute abbiamo avuto molte difficoltà ad entrare in sintonia sia con la sua storia sia con la caratterizzazione stessa dei personaggi e delle situazioni, eccessivamente ripetitive e “piatte”, troppo imbrigliate con lo standard del genere per risultare veramente interessanti.

Abbiamo avuto, in buona sostanza, la sensazione di ritrovarci per le mani qualcosa di già ampiamente visto, una sensazione che però ci ha lentamente abbandonato, lasciando spazio ad una concezione delle cose decisamente diversa e più positiva proseguendo man mano con la visione degli episodi.

L’anime prodotto da Crunchyroll ha infatti il grande demerito di partire lento, sfoderando le sue armi migliori soltanto più avanti, mostrandosi molto fragile dal punto di vista narrativo nelle battute iniziali, per poi cambiare quasi completamente aspetto da un certo punto in poi.

Noblesse: una trama intrigante che viene fuori lentamente

La storia di Noblesse, in verità, ha la caratteristica – almeno sulle primissime battute – di non dare punti di riferimento. Ci spieghiamo meglio: guardando i primi episodi, almeno i primi quattro o cinque, non si ha veramente coscienza dei “ruoli” presenti nella storia, che offre sì agli spettatori subito un protagonista o comunque dei capisaldi da cui partire, salvo poi rimescolarli in continuazione, dando ai fan una perenne sensazione di smarrimento.

Ci siamo ritrovati per le mani una storia fin troppo confusionaria, che parte da quello che è il suo protagonista (il vero protagonista!), conosciuto al secolo come Cadis Etrama di Raizel, un vampiro molto potente risvegliatosi dopo un lungo sonno (oltre ottocento anni) e che ha iniziato a muovere i primi passi in un mondo, quello “nostro”, estremamente evoluto e lontano da ciò che egli ricordava; un mondo in cui chiaramente si sente spaesato, quasi a disagio.
Raizel, o Rai, nome con cui si presenta agli umani, decide dunque di provare a fare conoscenza con questo nuovo mondo, lasciandosi trasportare o almeno provandoci, da quelle che sono le caratteristiche e le peculiarità di una nuova società, tanto evoluta quanto però ancora fragile e soggetta a quei tratti comportamentali radicati nell’animo umano, che lo stesso protagonista conosce bene.

Nel suo viaggio, però, Rai non è solo. Poco dopo il suo risveglio, ad avvicinarlo è Frankenstein, suo fedele servitore (ma in realtà è molto di più, sia chiaro) che nel frattempo si è ampiamente adeguato alla civiltà corrente, diventando il preside di un rinomato liceo giapponese e vivendo una vita apparentemente normale. Per tal motivo, Rai decide di mescolarsi nella folla, sfruttando il suo aspetto sempre giovane, tipico dei vampiri, per inserirsi nella stesso liceo, provando così a vivere una “nuova giovinezza”.

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La pace e la quiete apparenti generate da questa “nuova vita” sono però destinate a interrompersi in maniera molto rapida e decisamente brusca. La società contemporanea, infatti, è più immischiata di quanto sembra con il mondo sovrannaturale e dei vampiri stessi, da secoli ormai “vicini” agli umani, pur però mantenendo un equilibrio funzionale e senza sfociare nella mera “caccia selvaggia”. Quella dei vampiri è una società complessa, variegata, contorta, ma sorprendentemente “umana”, in cui più che il mero potere fisico spiccano elementi più venali, come il potere economico, politico e sociale.

Ed è proprio quello l’aspetto più riuscito della produzione dal punto di vista della trama, quel raccontare un mondo più coerente e vicino alla realtà di quanto potrebbe sembrare, una sorta di attacco alla società sottile e nel complesso funzionale, che fa leva però su uno stile “classico”, fatto di momenti scanzonati, ma anche di tanti momenti morti, che in qualche modo rompono l’equilibrio della storia, specialmente nelle fasi iniziali.

Un cast sorprendentemente intrigante

Dobbiamo ammetterlo: il primo impatto avuto, guardando i primissimi episodi (i primi quattro o cinque, in realtà) non è stato dei migliori. Ci è parso subito di essere di fronte a qualcosa di già visto, non solo a livello di narrazione, ma anche e soprattutto sul piano del character design, almeno nelle fasi iniziali l’anello più debole di tutta la produzione.

Col passare degli episodi e soprattutto con una visione più completa della cose (da questo punto di vista l’ottavo episodio è uno spartiacque fondamentale), questa errata convinzione di base è via via scemata sempre di più, lasciando spazio a considerazioni del tutto diverso su Noblesse. Partendo innanzitutto dal protagonista, che lentamente sveste i panni del bel tenebroso stereotipato, mostrando invece una natura benevola e allo stesso tempo molto pragmatica.

Egli è un personaggio per il quale è impossibile non provare stima ed empatia, un moderno martire ma che, quando serve, riesce a tirar fuori tutto il suo potere, tendenzialmente tenuto a bada e “preservato” per quei momenti veramente importanti. Cosa sarebbe però un buon protagonista senza dei validi comprimari? Di certo non avrebbe lo stesso successo.

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E, proprio parlando di varietà e vastità del character design, Noblesse mostra i muscoli, sotto diversi aspetti. Ci è piaciuta molto la visione che l’opera offre della cosiddetta nobiltà, la classe “dominante”, una società “nascosta” di vampiri e creature sovrannaturali che governano in qualche modo il mondo conosciuto.
La nobiltà vista in Noblesse è però più ”umana” di quanto si potrebbe immaginare, ed è proprio questa la particolarità che ci ha lasciato apprezzare maggiormente quanto offerto dalla produzione, che fa proprio di questo tratto uno dei suoi punti di forza.

Impossibile, di conseguenza, non citare la bellissima storia di Frankenstein, un personaggio splendidamente rivisitato in chiave contemporanea o i giovani rampolli Regis e Seira, due perfetti esemplari di quanto il potere sia una questione molto relativa, specialmente se paragonata ad altre assai più “terrene” come l’amore, l’affetto e, più semplicemente, la felicità.

In questo contesto ben si sposano poi gli immancabili villain, in realtà molto particolari, che rappresentano alla perfezione ciò di cui vi parlavamo poc’anzi. Dimenticatevi gli scontri continui e i power up supersonici, seppur questi non manchino mai, anzi: la vera arma di distruzione più violenta rimane quella del potere e del controllo. Il dialogo e la strategia prevalgono spesso sullo scontro diretto, con un risultato complessivo di tutto rispetto.

Noblesse: luci e ombre dal comparto audio-visivo

Da un punto di vista strettamente tecnico, il lavoro svolto nel dare vita al manhwa di Son Jae Ho e Lee Gwang vive di alti e bassi, seppur nel complesso risulti più che godibile.
La spettacolarità delle sequenze più concitate, come i numerosi scontri tra i vari personaggi del racconto, è accompagnata da un’ottima gestione delle animazioni, realizzate con grande cura e perizia da uno studio di animazione che, almeno sotto questo aspetto, continua a non sbagliarne una. Ci ha colpito, ad esempio, la naturalezza e la fluidità con la quale i personaggi mettono in scena i propri power up o, più banalmente, l’assenza di quel fastidioso “lag” che si registra fin troppo spesso, ultimamente, in moltissime altre produzioni nel replicare alcuni tipi di gesti, come ad esempio il movimento dei corpi sullo sfondo.

È un trattamento più che valido, quello riservato all’adattamento animato targato Crunchyroll, che però pecca dal punto di vista del tratto e della scelta cromatica, meno brillante rispetto al comparto animazioni. Abbiamo trovato il tutto eccessivamente “smorto” a livello di colori, ci è sembrato tutto (o quasi) meno colorato e tendente ai toni freddi di quanto avrebbe dovuto, e ciò diventa più evidente soprattutto nelle sequenze in diurna, a causa anche della luce del sole che sembra “rubare” un po’ troppo la scena.

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Anche il tratto ci ha convinto in parte: in alcune sequenze abbiamo avuto la sensazione che fosse parecchio incerto, soprattutto nella realizzazione di quei personaggi comprimari, complessivamente tutti caratterizzati da una scelta cromatica, ancora una volta, forse eccessivamente ripetitiva, ma qui le “colpe” risiedono anche nel materiale originale. Molto buono, per non dire sontuoso, è il comparto sonoro: la soundtrack che accompagna le avventure di Frankenstein, del buon vecchio Raizel e di tutti gli altri splendidi protagonisti dell’opera è semplicemente emozionante, incredibilmente a tema, riuscendo a calarsi perfettamente nei temi trattati dall’operato con grande maestria e furbizia.

Al suo interno spiccano sicuramente i due pezzi principali, ossia opening e ending, rispettivamente Breaking Dawn degli HYDE e Oh My Girl di Etoile, e in particolare quest’ultima, capace di strapparci una lacrimuccia in più di un’occasione, anche e soprattutto considerando i temi narrati.

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Noblesse ci ha dunque piacevolmente sorpreso. Partito lentamente e con il fiato della ripetitività e dei cliché sul collo, l’adattamento animato del manhwa di Son Jae Ho e Lee Gwang si è dimostrato in realtà molto più valido, narrativamente parlando, di quanto ci saremmo aspettati. A ciò si aggiunge una realizzazione tecnica di ottimo livello che, tranne per alcuni piccoli svarioni, dimostra ancora una volta il grande valore produttivo dello studio Production IG, sempre più “sul pezzo” e capace di dare alle sue creature quel tratto qualitativo inconfondibile. Peccato per alcuni problemi in seno alla narrazione stessa e per la scelta di adattare in maniera però troppo frettolosa la parte “iniziale” della storia, ma nel complesso dobbiamo ammettere di aver apprezzato quanto offerto dall’anime prodotto da Crunchyroll, che consigliamo (con qualche riserva) a tutti gli appassionati del genere, alla ricerca magari di una storia particolare e non banale.

Salvatore Cardone
Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.