Se la vita a Paperopoli è di nuovo un gran sballo è merito dei nuovi Ducktales, che meriterebbero la vostra attenzione e visione

Qua la vita a Paperopoli è un grande, doppio sballo. Perché a correre, volare in aeroplano stavolta sono due generazioni di paperi. E le loro storie viaggiano finalmente su due binari paralleli. Creando una dimensione doppia, coesistente. Passato e presente procedono e convivono nello stesso istante. Lanciando lo stesso esaltante grido: Ducktales, Woo-ho!

Nell’era di Disney + si è generato un varco temporale che porta dal 1987 al 2017 in un attimo. Trent’anni azzerati con un click. Un gesto che unisce simbolicamente generazioni cresciute a pane e Disney.

Le storie dei paperi hanno affascinato chi è nato negli anni ottanta e novanta e ora stanno conquistando i più giovani, che conoscevano Jet McQuack solamente grazie ai ricordi sbiaditi dei propri genitori o fratelli maggiori.

Ma se pensate che il reboot di Ducktales sia un prodotto indirizzato unicamente ad un target appartenente al nuovo millennio, sappiate che non c’è niente di più sbagliato. Perché le nuove avventure di Paperone, nipotame e company sono un autentico capolavoro. Una risposta a chi vive solo di nostalgia e che dovrebbe sporadicamente tornare al presente. ducktales

Paperi vs la nostalgia

In un mondo in cui il motore della nostalgia riaccende e anima i variopinti parchi giochi dei ricordi, una notizia aveva sconvolto i meandri infantili delle menti dei trentenni. È il 2015, quando Matt Youngberg e Francisco Angones annunciano un reboot di Ducktales. I due autori sono due grandissimi estimatori della serie originale e vogliono riproporre una nuova versione, indirizzata a nuovi fruitori disneyani.

La sorpresa fu generale e per i nostalgici assunse i connotati di un tremendo shock. Il teaser trailer fu accolto da reazioni cariche di sdegno e astio. Erano stati cambiati radicalmente i disegni, le voci erano nuove e lo stile totalmente rivoluzionato.

Come spesso accade ci si appiglia eccessivamente ai propri ricordi, idealizzandoli e incastonandoli in un’ambra mentale, da cui è impossibile toglierli. Il trauma di reboot e remake fatti malamente non ha giovato in quest’ottica. L’industria cinematografica e televisiva ha più volte pescato malamente dal passato, creando prodotti pensati unicamente per il bieco guadagno e in cui mancava totalmente una realizzazione che sapesse omaggiare spiritualmente il proprio antenato.

Il reboot di Ducktales, non solo celebra con enorme slancio emotivo il suo progenitore, ma va oltre, plasmando come un demiurgo un nuovo mondo. Una realtà che si discosta in più versanti dalla creatura nata nel 1987, ma che è capace di ricreare la stessa magia. E le nuove storie dei paperi sono più belle che mai.ducktales

Stile da vendere

La prima grande novità ovviamente riguarda l’aspetto estetico, totalmente rinnovato e motivo per cui si sono mosse le prime feroci critiche. I colori accesi e i disegni morbidi gridavano anni novanta in ogni tratto e i nuovi creatori della serie hanno pensato di accantonarli, privilegiando un tratto più ruvido e spigoloso, con tonalità più tenui. I colori sono ben distanti da quelli saturi del secolo scorso, ci si avvicina al color pastello.

Le linee dei personaggi perdono la rotondità plastica e vengono modernizzate e stilizzate, regalando più dinamicità. Ne consegue una resa grafica che si presta perfettamente alla velocità d’azione e che nelle scene action diventa decisamente appagante. La nuova linea dettata dallo staff creativo risponde anche ad una mancata recezione del pubblico alle sfumature. Per poter assimilare e capire le novità, servono cambiamenti radicali. Il passaggio dai tratti tondeggianti a quelli squadrati segue questa linea creativa. E se nei primi momenti di visione queste radicali modifiche nel disegno sembrano spiazzanti, dopo pochi minuti le si apprezzano, amandole dopo solamente un episodio.

Nel creare il nuovo stile, gli animatori hanno saputo miscelare passato e presente, pur distaccandosi completamente dai fumetti e dai primi cartoni di Ducktales. Il nuovo tratto pesca nel passato, mescolando lo stile di Carl Barks a quello apprezzato nei cortometraggi degli anni ’60, in cui compariva il personaggio di Pico de’ Paperis. Quei corti, tanto amati, erano stati realizzati da uno degli storici “Nine Old Men“, Milt Kahl, il cui tratto era più stilizzato e meno morbido. Altro rimando all’animazione del passato è il taglio di luce negli occhi, che indica la direzione dello sguardo dei personaggi. Questa chicca proviene direttamente dai fumetti degli anni ’30.

Questi omaggi al passato disneyano vengono aggiunti sapientemente alle scelte stilistiche mutate dai cartoni più recenti, che prediligono un ritmo narrativo forsennato e declinato ad un repentino cambio di ambientazione e scena.

Anche nelle scelte registiche c’è una cura maniacale e un’attenzione maggiore al dettaglio. Basti pensare che quando in scena ci sono i tre nipotini e Gaia, la prospettiva si abbassa per ricreare la differenza di vedute tra il mondo infantile e quello adulto.

Una nuova profondità

La costante e intaccabile attualità dei personaggi è una caratteristica che da sempre è insita nelle creazioni disneyane. Nell’universo dei Paperi si muovono archetipi ben definiti, traslati dal mondo umano. Riflettendo la realtà e la contemporaneità, l’animazione made in Disney assimila e ripropone in chiave cartoon i cambiamenti sociologici di un mondo in continua evoluzione. Il cambio di direzione imposto dai nuovi creatori di Ducktales palesa dunque evidenti differenze con l’originale, anche per quanto riguarda i temi trattati e l’approccio della narrazione.

Uno dei punti di forza dei nuovi Ducktales si trova nella scrittura, che, rispetto alla produzione anni ottanta, diventa più matura e più tagliente. L’umorismo che permea la serie diventa quindi più sottile e le battute fanciullesche e smaliziate si perdono. Qui, Quo e Qua sono un esempio lampante del diverso modus operandi degli sceneggiatori. Non ci sono più freddure bambinesche e frasi lasciate a metà e completate dagli altri componenti del trio; ci si trova dinanzi a tre adolescenti, ognuno contraddistinto da una forte personalità. In trenta anni sono cambiate molte cose: la tecnologia, gli studi di genere, i rapporti familiari. Nella nuova serie sono raffigurati tutti questi cambiamenti, trattati con un occhio adulto, distante dall’allegra e innocente rappresentazione del primo Ducktales.

Ecco dunque cambiata radicalmente la raffigurazione dei personaggi femminili: Gaia diventa quindi una figura forte, indipendente, costante centro e motore dell’azione. Scordatevi la spensierata, fragile e tenera Gaia, piume delle piume di Paperone.

Ad una maggiore caratterizzazione dei personaggi, si abbina un’ironia sempre più ricercata, che ammicca continuamente ad un citazionismo, letterario e cinematografico, pronunciato. Ogni puntata segue le orme e i dettami di un genere narrativo, mettendone in risalto le caratteristiche e peculiarità. Ecco quindi ritrovarsi davanti ad una paperosa rivisitazione di Mad Max o di grandi classici del passato, come ET o il Mago di Oz.

ducktalesBentornato Paperino

In Ducktales 1.0 la presenza di Paperino era limitata e pressoché inesistente. Il motivo? Un preciso e ferreo editto della Walt Disney Company imponeva di non utilizzare Donald Duck e altri personaggi della Golden Age disneyana nella produzione televisiva, se non per brevi cameo. Poco dopo la fine della messa in onda della serie originale, questa regola è stata accantonata. Gli autori nel 2015 hanno così potuto reinserire nel cast il grande assente Paperino, facendolo diventare un personaggio attivo nella narrazione e non più un’eco lontano.

Rispetto al cartoon del 1987 viene prestata ancor più attenzione alla raffigurazione delle dinamiche familiari, mettendo sotto il riflettore alcune informazioni poco chiare all’interno dell’albero genealogico dei paperi. Chi è veramente la madre di Qui, Quo, Qua? Perché di Della Duck non si sa più niente? Ci si interroga su quesiti lasciati sempre ai margini e lo spirito adventure della serie viene preso in prestito anche per risolvere questi misteri.

Se per un attimo si riesce a lasciare da parte il pesante e indistruttibile bastone della nostalgia e se si vuole osare e vivere nuove, paperose avventure, Paperone e co. sapranno essere nuovamente i compagni perfetti per pomeriggi all’insegna dell’infinita creatività disneyana. Basta fidarsi e “Non aver paura”. Sono i (nuovi) Ducktales. E le favole più belle sono ancora le loro. Woo-oh!

Leone Auciello
Secondo la sua pagina Wikipedia mai accettata è nato a Roma, classe 1983. Come Zerocalcare e Coez, ma non sa disegnare né cantare. Dopo aver imparato a scrivere il proprio nome, non si è mai fermato, preferendo i giri di parole a quelli in tondo. Ha studiato Lettere, dopo averne scritte tante, soprattutto a mano, senza mai spedirle. Iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2006, ha collaborato con più di dieci testate giornalistiche. Parlando di cinema, arte, calcio, musica, politica e cinema. Praticamente uno Scanzi che non ci ha mai creduto abbastanza. Pigro come Antonio Cassano, cinico come Mr Pink, autoreferenziale come Magritte, frizzante come una bottiglia d'acqua Guizza. Se cercate un animale fantastico, ora sapete dove trovarlo.