Stiamo seduti attorno al tavolo. Io, mia sorella e suo marito. Non pensavo che sarebbe arrivato questo giorno per davvero, e invece adesso siamo qui. Lo stiamo facendo.

Il pasto è cominciato.

Il pasto termina solo nel momento del decesso.

Non è necessario consumare tutto.

La morte cerebrale verrà segnalata dal fischio dell’apparecchiatura. Allora il pasto sarà finito.

Stiamo mangiando.

Ricordatevi, è preferibile non stabilire alcun contatto visivo per tutta la durata del pasto: espressioni facciali di dolore, per quanto minime, possono aver luogo. E le lacrime non aiutano.

Sente il dolore.

«Vuoi un po’ di vino?»

Non potete intaccare zone vitali a meno che non vi sia qualche problema di gestione, come malessere fisico dei commensali o spasmi muscolari del pasto. Eventuali problematiche, tuttavia, andranno dichiarate e valutate dal caposala in carica.

Guardo il volto sorridente di Mara. Mi porge la bottiglia ma dico di no. Grazie, non riesco. Mi aiuterebbe un po’ di vino, lo so, ma penso che potrei vomitare. Respiro, non succede nulla di brutto. Va tutto come deve andare. Com’è sempre stato.

Mio cognato non parla. È l’unico ad aver fatto un boccone, e per poco non gli sono saltato addosso dalla rabbia. È facile per lui adesso, esattamente come lo era per me quando ci fu il pasto a casa di Susanna. Era solo la mia ragazza, quella non era la mia famiglia.

Non era mia madre.

Ricordatevi, è preferibile non stabilire alcun contatto visivo per tutta la durata del pasto: espressioni facciali di dolore, per quanto minime, possono aver luogo. E le lacrime non aiutano.

Ma non posso dirgli nulla. Va tutto come deve andare.

«Come procede il lavoro?», decide di chiedermi il cognato.

Sorrido e, fingendo di non prestare attenzione, taglio un lembo di carne dalla ferita aperta e sanguinante. Il mio bisturi sottile fa un lavoro pulito e istantaneo, non sembra che possa arrecare dolore. La coscia nuda ha un lieve sussulto ma poi torna immobile.

Il farmaco le paralizza i muscoli, non riuscirà a muoversi. Ma il dolore lo sentirà.

Sente il dolore. È così che deve andare.

«Sto per firmare un contratto importante», rispondo.

È il momento di aprire la bocca e provarci. Il contatto con quel pezzetto di pelle flaccida e tiepida mi disgusta, ma il sapore è gradevole. Schifosamente gradevole. Sa di arrosto d’estate, di pranzi allegri e in compagnia. È l’effetto delle sostanze che le hanno fatto assumere, prima di sottoporsi al pasto, lo so.

Il farmaco le paralizza i muscoli, non riuscirà a muoversi. Ma il dolore lo sentirà.

È buona. Inghiottisco e non me lo ricordo.

Il pasto termina solo nel momento del decesso.

Non è necessario consumare tutto.

La morte cerebrale verrà segnalata dal fischio dell’apparecchiatura. Allora il pasto sarà finito.

«Un contratto importante?», domanda Mara, e riprende un sorso di vino. «Ma dai, davvero? E ce lo dici così?»

Conosco troppo bene mia sorella per non accorgermi della densissima ipocrisia dei suoi sguardi e del tono della sua voce. Sa che riuscirà a concludere questa serata solo se non volgerà gli occhi sul suo viso. Se non la guarderà, sarà al sicuro. Ma non riuscirà a resistere alla tentazione… E la vedrà.

Ricordatevi, è preferibile non stabilire alcun contatto visivo per tutta la durata del pasto: espressioni facciali di dolore, per quanto minime, possono aver luogo. E le lacrime non aiutano.

Potrà piangere.

Ti ricordi, Mara? Ricordi quando la guardavi piena di amore ed emozione? Quando le hai detto che aspettavi un bambino? Cose che si dicono alla propria madre. Le gioie di una vita da condividere. Era tutto così. E adesso va come deve andare.

«Sì, be’, non è ancora certo al cento per cento ma ci siamo», dico confusamente. «Potrebbe sistemarmi per qualche tempo. Anche diversi anni, se va bene.»

E senza accorgermene ho già tagliato un altro pezzo di carne e l’ho mangiato. Più freddo del precedente, bagnato di sangue. Ma buono. Non ci ho pensato e l’ho gustato, l’ho preso perché ne volevo un altro po’.

Buono.

Il pasto termina solo nel momento del decesso.

Non è necessario consumare tutto.

La morte cerebrale verrà segnalata dal fischio dell’apparecchiatura. Allora il pasto sarà finito.

«Siamo contenti per te», risponde mio cognato, che è quello che ha mangiato più di tutti. E lo capisco, anche io ero così a casa di Susanna, quando toccò a loro. È facile quando si è ospiti esterni del pasto. Ma può essercene solo uno.

Un solo ospite e tutti i figli.

«Giuseppino sta bene?», domando io, per distrarmi dall’aromatico sapore della carne cruda che ho appena masticato. Non mi rendo conto che chiedere a mia sorella di suo figlio non sia una buona cosa, in questo momento. Penserà al giorno in cui sarà anche la sua ora, quando sarà lei a doversi sottoporre al trattamento.

Il farmaco le paralizza i muscoli, non riuscirà a muoversi. Ma il dolore lo sentirà.

Quando sarà il pasto. E Giuseppino sarà su di lei.

Sente il dolore.

«Qualche capriccio a scuola», risponde mio cognato, dato che Mara non riesce a scollarsi dalla mente l’immagine del futuro. «È un bambino vispo e incontrollabile, lo sai. Ma alla fine credo che riusciremo a cavarcela.»

Sorrido e abbasso gli occhi. È il momento di mangiare un altro pezzo.

Se solo riuscissi a rendermi conto che la nostra lentezza non è di nessun aiuto… Non possiamo ucciderla noi, è contro la legge, contro la cerimonia e contro tutto. Deve andare così.

Non potete intaccare zone vitali a meno che non vi sia qualche problema di gestione, come malessere fisico dei commensali o spasmi muscolari del pasto. Eventuali problematiche, tuttavia, andranno dichiarate e valutate dal caposala in carica.

Apro un’altra ferita, perché quella nella coscia è diventata troppo profonda e c’è una pozza di sangue tiepido poco gradevole. Il bassoventre sembra fare al caso mio. Più grasso ma meno sangue. Il sapore non cambia.

Potrà piangere.

C’è silenzio, adesso, e dimentico tutto. Mentre mastico il grasso viscido e saporito, dimentico ciò che non devo fare e la guardo, la vedo.

La sua faccia.

Sente il dolore.

Le sue labbra tremanti.

Sente il dolore.

Le lacrime asciutte che lasciano il segno.

Sente il dolore.

I suoi occhi disperati.

Sente il dolore.

Non ricordo la prima volta in cui ti ho guardata.

È stato all’inizio, dall’inizio e per sempre.

Tutti i giorni della mia vita, sei stata lì e sapevo che ti avrei trovata se ne avessi avuto bisogno.

Mamma.

Perché dobbiamo farlo?

«Carlo… Carlo, non devi.»

Mara mi rimprovera. Ha ragione, non devo guardarla. Non devo arrendermi, il pasto non è ancora finito.

Il pasto termina solo nel momento del decesso.

Non è necessario consumare tutto.

La morte cerebrale verrà segnalata dal fischio dell’apparecchiatura. Allora il pasto sarà finito.

Taglio e mangio la sua carne, finché lo sopporterà. Stritolo il grasso tra i denti, sento un retrogusto amaro che svanisce dopo pochi secondi.

È così che è sempre andata, è così che deve andare.

Dall’inizio e per sempre.