Alla scoperta di alcune delle peggiori copertine della storia dei videogiochi

Recuperando quanto fatto in un precedente articolo, ovvero richiamare per smentire il concetto del “è vero che un prodotto non dovrebbe essere giudicato dalla copertina”, procederemo nel senso inverso per presentare una selezione (limita in quanto tale, perché le scelte possibili sono in questo caso sinceramente sconfinate) delle peggiori copertine della storia dei videogiochi. Una serie di illustrazioni, composizioni e/o mostrificazioni del senso del gusto, che riflettono più che mai gli esiti nefasti di un approccio svogliato e strumentale del marketing applicato alla vendita. Conseguenze, oltretutto miopi delle contraddizioni e delle ruvidità insite in quegli stessi processi decisionali: ovvero il non riuscire a esaltare positivamente (da qualsiasi lato lo si vuole vedere) il titolo da pubblicizzare. Anzi, spesso e volentieri creando dei pregiudizi e arrivando a posizionarli in quei cassetti della memoria richiamati ogni volta che occorre una testimonianza di come si dovrebbe agire per fallire miseramente.

Mega Man

copertine brutte videogiochi

La storia dietro la copertina dell’edizione nord americana del primo Mega Man ci racconta qualcosa che oggi appare scontata; ovvero che, spesso e volentieri, le scelte del reparto marketing prevalgono sulle altre. In special modo quando parliamo di uno “scontro” che pone a confronto culture geograficamente e storicamente distanti, come quella statunitense (più che occidentale) e giapponese. D’altronde, il risultato finale è sotto gli occhi di tutti e le criticità sono innegabili. Le parole di Yoshiki Okamoto, ex designer in forza a Capcom in quegli anni, non fanno che ribadire a distanza di anni gli errori compiuti e le criticità estetico-creative dietro a un’illustrazione così anni ’80 (ma solo degli aspetti brutti di quel decennio) da poter assurgere a emblema del kitsch, fra effetti traslucidi, una colorazione bizzarra e uno strano richiamo a un immaginario esotico-futuristico.

So, the overseas version of Rockman is called Mega Man. Have you ever seen the package illustration? It’s an old man in blue tights wearing a helmet. He’s standing in a bendy, crab pose with a tube in his hand. And I couldn’t believe this was allowed to happen. It’s like, I’m sure everyone hates it! I mean, we made this game together, you know. But because it had to cross the ocean…We had to listen to the opinions of the marketing staff over there [Capcom USA] about what’s “appealing” and “popular”. If I had more authority then — if I was stronger — none of this would have happened. That’s what I thought. As a matter of fact, I *still* think about it. In the end, if I had the final say… I could have said “NO!”

Le peggiori copertine dei videogiochi:

Pro Wrestling

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Una copertina che parla da sola e che non potevano non meritarsi una citazione nelle peggiori copertine della storia dei videogiochi. Così essenziale che non ha bisogno di estese introduzioni, si apre così, all’occhio di ogni utente, con il suo sfondo bianco a quadrettoni su cui campeggia il titolo e un wrestler che imbraccia una testa umana che presenta un’espressione fra lo sconcertato, l’esausto e lo stordito. Probabilmente perché quella che stringe con forza è la sua stessa testa; staccata da non si sa bene chi e senza una motivazione quantomeno convincente. Non un capolavoro per Master System e decisamente non un pezzo d’arte del design che farà storia (o forse sì).

Phalanx

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Altro giro, altra corsa… nello spazio. Siamo nel 1992 e Kemco, software house giapponese, sviluppa per Super Nintendo uno sparatutto ad ambientazione fantascientifica di nome Phalanx. Niente di rivoluzionario, ma di neanche così tremendo: “solo” un discreto shoot-em up a scorrimento come ce ne erano tantissimi in quel periodo. Il problema, se così vogliamo chiamarlo, si evince copertina alla mano: l’estetica sci-fi c’è; con il suo buio siderale, le stelle, una macchia di colore che è in realtà un’astronave acquerellata che lascia dietro di sé un’evocativa scia, tale da sembrava la coda di una cometa; ma c’è anche un anziano signore in salopette, con una folta barba bianca, seduto su una sedia (a dondolo?) mentre suona il banjo. L’associazione fra l’iconografia folk e il “the hyper-speed shoot-out in space” risulta quantomeno strana. Chi è e che cosa c’entra quel musicista lì? Perché mai qualcuno ha pensato, in cuor suo, che collocare quel personaggio in quella copertina fosse la scelta giusta da fare? Probabilmente non lo sapremo mai. Ed è meglio così.


Snow White and the 7 Clever Boys

Snow White and the 7 Clever Boys è uno dei due titoli qui presenti (l’altro lo leggerete più avanti) che presenta una copertina sia brutta che fuorviante. Perché sì, oltre ad essere così orripilante da meritarsi un posto fra le peggiori copertina della storia dei videogiochi, è assimilabile a una truffa. O, in ogni caso, a un qualcosa di moralmente molto vicino a una truffa. Questo perché, da una parte i personaggi di questa avventura pseudo-interattiva (che è più una raccolta di mini-giochi e di un film, in realtà) non sono in realtà poligonali, come la scadente CGI in copertina sembra suggerire, ma degli sprite sghembi e scadenti nella realizzazione; e, dall’altra, perché ci troviamo di fronte a un titolo che ha poco a che fare con quella storia di Biancaneve, presente nell’immaginario collettivo moderno, che più o meno tutti conosciamo. In sostanza ci troviamo di fronte a un “videogioco” dal valore pressoché nullo, con sprazzi anche di stereotipi razzisti tanto per aggiungere carne al fuoco, e che possiede una copertina artisticamente e concettualmente indifendibile.

Batman: Arkham City: Game of the year edition

In questo caso, uno dei pochi, se non forse l’unico in questo gruppo delle peggiori copertine dei videogiochi, il fuori non rende giustizia al dentro (Batman: Arkham City rimane ad oggi un bel pezzo da novanta, così come tutta la serie Arkham sviluppata da Warner Bros. Interactive Entertainment), né alla versione originale utilizzata al lancio. Perché, quella che abbiamo di fronte, è la copertina scelta per la Game of the Year Edition. Una pubblicazione celebrativa che sbaglia tutto lo spettro del fallibile, in quanto ad armonia e equilibrio nel celebrare i propri successi. Fra citazioni, votazioni con font esagerati e box informativi, sembra non esserci più spazio per il titolo e per l’uomo pipistrello: sembra anche lui intontito dall’infodemia elogiativa che, anche qui, il reparto marketing ha ben deciso di spiaccicare in primissimo piano.

Le peggiori copertine dei videogiochi:

Karnaaj Rally

Affrontare con lucidità la copertina di Karnaaj Rally non è semplice. Certo, è veramente brutta e questo giudizio di valore difficilmente può essere contraddetto. Aleggia, tuttavia, un senso di spaesamento e di incertezza: partendo dal termine “Karnaaj”, che non si sa bene cosa significa, ma che potrebbe derivare da una variante, spigolosa e orientale, della trascrizione fonetica di “carnage”; per giungere alle ipotesi dietro alla scelta della composizione dell’immagine: perché utilizzare un font del genere per il titolo? Con quella R con le bandierine a scacchi come fossero delle braccia; e con quell’auto viola sullo sfondo, fuori fuoco e lontana dall’immaginario delle classiche auto da rally. E, infine, perché scegliere quel personaggio (o quei personaggi se si presta attenzione al dorso), con un’espressione e un colorito che sembrano precedere la trasformazione in uno zombie patinato che ha fatto il carico di certe “vitamine”? Nessuno, tranne Jaleco Entertainment, può soddisfare la nostra curiosità e sciogliere i quesiti che ci siamo posti. Ma, a conti fatti, all’epoca della sua uscita, la box art di Karnaaj Rally influì negativamente anche sulle recensioni del gioco. E per questo non serve sapere il perché.

Fire n’Ice

Ecco. Siamo di fronte al secondo esempio di copertina fuorviante. Un motivo per farla entrare di diritto fra le peggiori della storia dei videogiochi. Questo perché, Tecmo, per rappresentare Fire ‘N Ice, un titolo, avente come protagonisti un mago, una principessa, una mappa ramificata in stile Super Mario Bros. 3, e con la presenza di un boss gigantesco ricoperto dalle ossa dei suoi nemici, ha optato per un’illustrazione che richiama un’iconografia à la Tetris. Con gli elementi naturali del fuoco e del ghiaccio a dividersi, naturalmente, la scena. Probabilmente fu l’ancora imperante Tetris-mania a causare confusione e disorientamento al reparto marketing di Tecmo, regalandoci una copertina non solo “sbagliata”, ma forse più adatta (con dei minimi cambiamenti) a rappresentare una famosa marca di accendifuoco.

Le peggiori copertine dei videogiochi:

Russell Grant’s Astrology

copertine brutte videogiochi

Russel Grant è un po’ il nostro Paolo Fox (forse il contrario) ma dell’UK. Ha, infatti, debuttato con i suoi consigli astrologici nella televisione britannica nel 1979, rimanendo un appuntamento fisso per tutti gli anni Ottanta, Novanta e Duemila. Prima come ospite di varie trasmissioni, come Breakfast Time, Good Morning Britain e Bingo Night Live, e poi attraverso la realizzazione di speciali e serie, tipo Sporting Scandals e il The Russell Grant Show incentrato sulle celebrità. Non mancano sue apparizioni in programmi altrettanto famosi e lontani dal mondo astrologico, come Celebrity Fit Club, MasterChef e Strictly Come Dancing, dove celebrità si sfidano fra loro a passi di danza.

Russel Grant è un “brand” e come tutti i brand di successo non poteva mancare l’appuntamento con la forma di intrattenimento principe degli ultimi anni, ovvero i videogiochi. Ed ecco che, con un’operazione transmediale, abbiamo il Russel Grant’s Astrology sviluppato da Deep Silver per Nintendo DS. Un titolo onesto, che offre quello che ci si aspetterebbe da una trasposizione del genere. Ma, e i motivi sono palesi, la copertina è senza dubbio troppo didascalica e pigra, nella sua concezione. Risultando pacchiana e anche buffa. E se la simpatia è un pregio, simpaticamente la collochiamo in questo gruppo delle peggiori copertine della storia dei videogiochi.

Andrea Bollini
Vivacchia fra i monti della Sibilla coltivando varie passioni, alcune poco importanti, altre per niente. Da anni collabora con diverse realtà (riviste, associazioni e collettivi) legate alla cultura e all'intrattenimento a 360 gradi. Ama l'arte del raccontare, meno Assassin's Creed.