Le dinamiche delle prese in giro

Su tutto chiariamolo: chi vi scrive è un fan della prima ora di Kingdom Hearts. All’epoca del primo episodio, seguii sulle riviste specializzate (la gloriosa PSM dell’epoca, per lo più) quello che fu l’iter, prima di creazione, poi di immessa sul mercato, dello stravagante connubio tra Disney e Square (allora ancora Squaresoft, prima di unire le forze con Enix).
Da qualche parte in casa dovrei ancora avere le riviste, e trovai a dir poco eccitante la commistione di generi, complice l’ottima gestione del brand Final Fantasy che, proprio su PlayStation, si era prima ri-consacrato, per poi divenire un nome di richiamo.

[E3 2016] Kingdom Hearts HD 2.8 Final Chapter Prologue – Gamep…

Durante l'E3 2016, Square Enix ha mostrato il trailer del gameplay di Kingdom Hearts HD 2.8 Final Chapter Prologue, nel quale abbiamo visto dei momenti delle sequenze di combattimento di Sora, Riku e Aqua. Che ve ne è parso StayNerdiani? Riuscirà ad ingannare l'attesa per il terzo capitolo?http://www.staynerd.com

Julkaissut Stay Nerd Perjantaina 17. kesäkuuta 2016

Kingdom Hearts fu un fulmine a ciel sereno, nonché il vero e proprio apripista del genere dei giochi di ruolo a stampo action, ossia quelli non più vincolati al sistema a turni che, come saprete, la stessa Square stava cercando di svecchiare, pur restando un concetto radicato nella matrice squisitamente nipponica della casa.
Non che non ci fosse stata roba precedente, ed anzi la stessa Square aveva pubblicato alcuni interessanti esperimenti anche su PS1, come lo spesso dimenticato Vagrant Story, che pur avendo un’anima spiccatamente dungeon crawler, era fondamentalmente un GDR action.
Eppure la vera consacrazione si ebbe proprio con Kingdom Hearts, soprattutto perché lo stile del gioco era completamente diverso da qualunque titolo solo vagamente simile. Un grande cliché dell’action RPG era, in fondo, quello di non essere veramente action, ma di proporre semplicemente un combattimento attivo. Con PS2 si era però sperimentato molto, e questa ultracitata parola “action” era entrata di prepotenza nell’immaginario collettivo, grazie ad uscite che si erano stampate nelle teste dei giocatori. Devil May Cry, in particolare, aveva del tutto riscritto le regole dell’azione videoludica, meglio ancora di quanto non avessero fatto altri titoli del genere (pensate ad esempio al più “lento” Onimusha). L’azione era un tema ricorrente in quegli anni, ed il fatto che la grafica delle console dell’epoca permettesse un certo connubio tra profondità e velocità, rese il tutto ancor più intenso e spettacolare.

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Ecco, Kingdom Hearts 1 era spettacolare. Lo era per diversi motivi, e tra questi sicuramente il gameplay. Oggi riprendere in mano il primo KH sembra quasi un lavoro di archeologia elettronica. Eppure il gioco funziona ancora bene, nonostante tutti i mezzi passi falsi dell’epoca, figli più che altro di una certa mancanza di esperienza, come di costume accade per chi è il primo nel suo campo. Pensate ad esempio alla rotazione della telecamera, che allora invece di utilizzare il più razionale analogico destro, veniva controllata con un movimento scattoso dei dorsali, con la risultante di un’azione caotica, ed a volte ingestibile. Oggi è un errore che si pagherebbe con il Seppuku (non che all’epoca fu apprezzato), ma in quegli anni potemmo soprassedere, specie grazie al resto del gioco, che dal punto di vista tecnico ed artistico menava schiaffi a gran parte della roba (di genere) vista prima.
La commistione di due mondi così diversi (e quasi agli antipodi) come quello Disney e Square/Final Fantasy fu un qualcosa che lasciò tutti di stucco, perché il tentativo di unione fu talmente strampalato ed improbabile da risultare sensato. Non ultimo, Nomura (creatore della serie) ebbe l’abilità di indirizzare lo stile del gioco verso il giusto percorso artistico, evitando con maestria quella che poteva essere un’operazione potenzialmente trash e deludente. A Kingdom Hearts va poi un merito non da poco: essere il primo ed unico caso in cui Disney sia riuscita a collaborare con una grossa realtà esterna alle pareti dei suoi studios, senza che l’esagerato controllo di qualità abbia indotto chi di dovere a sviluppare un prodotto monco o azzoppato.

Vero, Kingdom Hearts non propone – in fondo – una trama troppo dissimile da qualunque prodotto Disney, specie perché punta su tematiche come l’amicizia e l’avventura, perpetui marchi di fabbrica della casa di Topolino. Tuttavia non è da sottovalutare il fatto che la multinazionale di Burbank, nella propria ricerca della perfezione (raramente raggiunta, al di fuori dell’animazione di cui è evidentemente maestra del settore) sia da sempre una compagnia incredibilmente costrittiva e restrittiva per chi ci si imbatte, e in quest’ottica un prodotto come Kingdom Hearts poteva effettivamente non avere vita facile. Il gioco fu invece un successo planetario sotto tutti i punti di vista e rappresenta oggi, più che mai, quello che ritengo il momento d’oro dello sviluppo Square. Anzi, ne fu forse proprio uno degli ultimi campioni, prima che le cose si mettessero decisamente male negli anni a seguire.

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Ma perché aspettiamo ancora Kingdom Hearts 3?
Si era partiti dal titolo, ma ora che siete qui direi che possiamo concordare che la premessa era doverosa. Il primo, persino nelle sue versioni riviste e corrette (Final Mix) fu un vero e proprio caposaldo. La reazione di critica e pubblico fu univoca e, in quanto tale, è ancora oggi il motivo fondamentale dell’hype che continua a mietere molte, moltissime vittime. È come parlare, insomma, dei peccati dei padri che si ripercuotono sui figli, ovviamente in senso buono, e dunque se c’è attesa per KH3 lo si deve certamente al fatto che sia esistito un KH1; è una cosa scontata, ma sensata. Tuttavia la vera critica che vorrei effettuare, è quella all’attesa in sé, o meglio alla lunghezza dell’attesa. Ora molti di voi diranno che è normale attendere un qualcosa per un certo dato di tempo X, dove X corrisponde a quello che potrebbe essere (più o meno) un numero di anni, comprensibile e condivisibile da tutti e basato più o meno su una sorta di senso comune.

Per farvi un esempio, se dico GTA, so bene che comunemente si può assumere che occorrano tra i 3 e i 5 anni perché il gioco sia sviluppato e rifinito. Intendiamoci, non c’è nulla di vero in questo dato, e magari sviluppare un GTA richiede 10 anni. Ma c’è un qualcosa che ci ronza in testa e che ci fa optare per quel dato di tempo, tant’è vero che oggigiorno tutti credono che basti un anno a sviluppare un Assassin’s Creed, quando in realtà ne servono almeno 3 (o così dice Ubisoft). Il senso comune della “critica” fa parte squisitamente di internet, o almeno di quel gruppo (aka il 90%) che proprio non può evitare di dire la sua su tutto e tutti. La tuttologia del web è un male consolidato, ed ha portato alla nascita di tanti meravigliosi animali della rete, ma questa è ovviamente un’altra storia.
Allora il punto è: a quanto corrisponde il dato X di Kingdom Hearts? Quanti anni servono per svilupparne uno? La logica non sa darci una risposta, e quel che pare evidente è che ne servano tanti. Il problema però è come vengono gestiti questi anni da chi quel gioco lo produce. Il rapporto con il pubblico è, a torto o ragione, parte consistente di un qualunque brand. Come ha gestito allora Square-Enix il suo Kingdom Hearts? Senza voler peccare della tuttologia di cui sopra, mi sento abbastanza tranquillo nel dire che il brand è stato gestito male, specie perché proprio con KH (e poi con Final Fantasy), Square ha sofferto di quello che è un male comune del mercato giapponese, che è poi la causa della sua rovinosa caduta: la superbia.

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Complice il successo di Kingdom Hearts II, Square peccò non poco di presunzione, effettuando quella che fu la stessa manovra che poi portò al fallimento del progetto Fabula Nova Crystallis ed alla sua travagliata gestione. Per capire la portata della cazzata, vi basti pensare che questi sono i primissimi anni in cui si parlava già di Final Fantasy XV, rendendo il progetto del quindicesimo capitolo (che all’epoca era, ovviamente, tutt’altra roba) uno dei più lunghi e tormentati nella storia del videogame, se si escludono teste di serie come Duke Nukem Forever, e il mai uscito Half-Life 3. In un tripudio di tracotanza e idiozia, Square cominciò ad annunciare capitoli su capitoli, su capitoli. Mentre il mondo chiedeva notizie sul futuro di KH III, Nomura proclamava una lunga sequela di spin-off (almeno 3 all’epoca dei fatti), trasformando il brand in quello che è oggi: una gallina dalle uova d’oro. Per la precisione, e giusto per evitare gli hater che si annidano tra di voi, vi basti pensare che da KH II ad oggi sono usciti ben 10 titoli che portano in copertina il nome Kingdom Hearts, di cui la metà sono ri-edizioni o ri-masterizzazioni, e questo è ovviamente un problema. È un problema perché credo sia evidente che il pensiero comune in merito al dato di tempo X comincia ad inciampare in mille incertezze, la cui conseguenza è la più logica domanda: ne avete sviluppati tanti, non potevate sviluppare il 3?

Intendiamoci: ponendoci un quesito simile trascendiamo ogni limite tra realtà e congetture, anche se credo possa essere condivisibile l’idea che nel tempo intercorso per far uscire 5 titoli nuovi (le rimasterizzazioni e le versioni “estese” non le consideriamo nemmeno) si poteva tranquillamente immettere sul mercato il tanto desiderato terzo capitolo. Ovviamente nessuno ci ha effettivamente obbligato a comprare tutti i titoli di intramezzo, ma l’evidente volontà di spremerci dalle tasche ogni centesimo è un qualcosa che ormai non sento più di poter ignorare, e che in fin dei conti mi genera anche un certo disgusto.

Dieci uscite che, dal mio punto di vista, sono stati come dieci biglietti di prevendita, molti dei quali neanche tanto memorabili, ed atti a mantenere alta l’attenzione verso un gioco che, in effetti, è seriamente in sviluppo solo da poco (o almeno secondo quanto dichiarato da Square, dopo il rilascio del primo trailer di KH 3 due anni fa). Ora qualcuno di voi potrebbe dire che il tutto sia servito per costruire al meglio le basi per la trama di KH 3, ma ad essere onesti questo mi pare più un metodo di auto-convincimento (per la serie: “mi auto-aiuto a sentirmi meno stronzo”), che uno specchio della realtà. La trama di Kingdom Hearts, a voler essere buoni, non ha mai brillato per lucidità. Se il primo gioco sembrava di per sé abbastanza autonomo, già con il sequel le cose si sono complicate, specie grazie a Square che, come capirete, ha spesso incluso alla fine dei suoi giochi dei filmati “carica hype”, che però non corrispondevano ad una chiara idea di cosa ne sarebbe stato della serie in futuro. La trama di Kingdom Hearts è stata allungata, ingarbugliata, spesso volutamente retroconnessa con lunghi ed improbabili spiegoni, costringendo la massa ad acquistare le uscite più disparate, spesso “abilmente” diffuse su svariate console.

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Ora, ditemi voi, se questo non è di per sé il motivo fondamentale per smetterla di pensare a questa serie in maniera idilliaca. Naturalmente quanto detto poco fa non cambia: nessuno ci obbliga a comprare nulla, ma penso che sia quanto meno triste il modo in cui la società (o, se volete generalizzare, “una società”) abbia trattato i suoi fan. Non si è mai stati contro al profitto in casa Stay Nerd, ed anzi ben comprendo quelle che sono le dinamiche commerciali che spingono un’azienda a generarne. Allo stesso modo penso che ci sia un limite a tutto, e specie in prodotti così palesemente “spinti” dal pubblico, si debba lavorare con un certo buon senso, soprattutto se ti chiami Square Enix ed hai fatto un mucchio di puttanate, più o meno dai tempi di Final fantasy X. Il problema non è il sequel in sé, e forse neanche il numero di essi, ma è stato probabilmente la gestione del brand che è intercorsa in questi anni e tra le varie uscite, sfruttando palesemente l’hype costruito per il terzo capitolo per venderci poi tutt’altra roba. Questa, signori, è una presa in giro.
Il problema è averci lanciato fumo negli occhi per oltre 10 anni, lasciandoci nell’attesa di una cosa che, rileggendo il passato, non è mai stata nei primi pensieri dei suoi creatori. Non solo, c’è poi quella grana non da poco di aver perso la fiducia verso una società che era un po’ la beniamina degli anni ’90, è che oggi è uno degli esempi (forse assieme a Capcom e Konami) di quanto si possa gestire male le proprie produzioni, se si pensa ai soldi e basta. Un po’ come dire che non è sempre vero che “il crimine paga”, benché non si parli di criminali ovviamente, ma di persone che ogni giorno (e magari con sacrificio) fanno il proprio lavoro. E’ evidente che le condizioni dello sviluppo nel Sol Levante, salvo che per alcuni sparuti esempi, siano state vittima della passata grandezza e del nome di alcune grandi società.

È la vecchia solfa del potere che da’ alla testa, e Kingdom Hearts, come Final Fantasy, è un evidente manifesto di questa dinamica, che ha cercato di svuotare i portafogli più che di ascoltare la voce del pubblico. Non che il pubblico debba avere potere in certe cose, o decidere quando esce cosa (ci mancherebbe!), ma non per questo occorre prenderci in giro.

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Perché allora stiamo aspettando Kingdom Hearts? A questo punto del discorso posso scaricarmi di questo peso e coniugare il verbo in modo diverso: perché lo aspettate? Lo state facendo per amore? Amore verso cosa? Di una serie che è praticamente, e ludicamente, ferma ai canoni di più di 10 anni fa? Amore verso i personaggi? Personaggi che hanno imperversato in ogni forma e formula di merchandising? Passione per il videogame? Dopo 10 uscite in cui la serie dovrebbe essere stata ampiamente masticata e digerita? Curiosità per la storia, che ormai non ha più capo né coda?

La verità è che lo state aspettando perché siete masochisti, e nel vostro masochismo vi siete in qualche modo appiattiti, o se vogliamo schiavizzati. Siete così schiavi dell’idea dell’uscita che pur vedendo (e magari ammettendo, spesso sui social), quanto di male ci sia nella gestione di questo marchio, fate comunque spallucce e andate avanti. Ovviamente KH III non cambierà la vita a nessuno, o per lo meno a nessuno di noi, salvo non si nasconda tra la folla un insospettabile azionista Square Enix. Eppure ancora una volta le lamentele non corrispondono ai fatti. Critiche, meme, piagnistei che si susseguono in rete perdono di senso perché la verità è che, tra qualche tempo, sarete tutti zitti e muti e comprerete il gioco. Magari in collection, con tanto di pre-order, per assicurarsi di essere stronzi fino alla fine (che le cose o si fanno per bene o ciccia). Poi magari il gioco sarà bellobelloinmodoassurdo, ma comunque sarà passato troppo, se ne sarà detto troppo, ci si sarà stancati troppo, e come per ogni cosa caricata da un hype immane, sarà comunque meno bello di quanto non sarebbe stato se le cose fossero state fatte per bene. Dite di no? Dite che pensieri del genere non vi sfioreranno la testa? Ma siete proprio sicuri che non lo abbiate già fatto per qualcosa che avete masticato, dimenticato e digerito nel corso degli ultimi anni? Disilluso io, o stronzi voi?