My cousin Rachel… Weisz

Roger Michell è noto ai più per la direzione del film Notting Hill, considerato una delle commedie d’amore più riuscite degli ultimi 20 anni. Eppure, dando uno sguardo alla sua filmografia, c’è ben altro genere a cui il regista ha dimostrato di essere legato nel corso del tempo, affondando le radici della sua arte nel dramma, in trasposizioni di romanzi sentimentali come il suo primo lavoro, Persuasione (1995), tratto infatti dall’omonima opera letteraria di Jane Austen.

Dopo il citato Notting Hill, il dramma prese poi possesso della sua macchina da presa, attraverso sfumature differenti, come il ben noto Ipotesi di reato, per poi tornare su altri lidi meglio conosciuti, come appunto un’altra trasposizione letteraria quale L’amore fatale, nel 2004 e poi – intervallata da altre produzioni – l’ultima fatica, Rachel, basato sul romanzo del ’51 My Cousin Rachel di Daphne du Maurier e che arriverà nelle sale italiane il 15 marzo.

 

Siamo nei primi dell’Ottocento. Il giovane Philip (Sam Clafin) è un orfano della Cornovaglia che è stato cresciuto come un figlio da Ambrose, che durante la sua permanenza in Italia gli scrive di essere gravemente malato. Philip si precipita così a Firenze e scopre che Ambrose è morto e che Rachel (Rachel Weisz), una cugina che aveva sposato da non molto tempo, è già partita.
Al suo ritorno in Cornovaglia è proprio la donna a presentarsi alla sua tenuta, e dopo i primi attriti, dovuti al fatto che Philip la ritenesse responsabile della morte di Ambrose, il ragazzo inizia a provare dei sentimenti per Rachel. Ma da qui in poi le cose prenderanno una strana piega…

Una piega avviluppata nel tessuto narrativo complesso, architettato da Michell, che sceglie di trasporre un’opera indubbiamente nelle sue corde e dove può liberare i dettami del suo cinema, quelli intrisi di dramma e di dolore.

Per farlo ha bisogno di togliere, quantomeno nella prima parte, l’attenzione sulla reale protagonista per indirizzarla verso Philip, che subirà prima passivamente e poi, purtroppo per lui, attivamente una totalizzante sofferenza che lo turberà, mostrandoci l’incredibile cambiamento subito dalla sua personalità. In questa doppia natura è costretto a muoversi Sam Clafin, che tuttavia – pur con una prova attoriale non proprio insoddisfacente – non sa convincerci del tutto, alternando attimi di rabbia e di follia intensi e coinvolgenti ad emozioni ed espressioni poco credibili e un po’ raffazzonate, come fosse intrappolato ancora negli Hunger Games.
A muovere le fila, della narrazione ma anche della carica di pathos intrinseca dell’opera, è ovviamente l’ottima Rachel Weisz, che a dispetto degli anni che passano continua a sembrare una ragazzina.
L’attrice è assolutamente perfetta nel ruolo che sembra cucito su di lei, manifestando un’ambiguità di difficile se non impossibile lettura persino per lo spettatore, insinuando il dubbio anche in situazioni dove normalmente non ci sarebbe spazio per alcuna perplessità. Questo aspetto è dunque l’elemento portante del film, e soprattutto nella seconda parte diviene il motivo principale di interesse del pubblico, altrimenti reso eccessivamente succube degli atteggiamenti stancanti del co-protagonista, a cui Michell concede sin troppo spazio, senza esser ripagato in maniera adeguata.

Intorno al personaggio di Rachel, ai suoi misteri, al suo essere sfuggente ed enigmatica Michell è abile invece a proporre una bellissima cornice, a partire dalla fotografia di Mike Eley, che sa catapultarci perfettamente nella dimensione ottocentesca fino ai costumi, vero plus estetico dell’opera, di cui ci tocca ringraziare Dinah Collin per il suo lavoro magistrale.

My cousin Rachel è quindi una trasposizione ambigua come la sua protagonista, che passa da un’impianto tecnico ed estetico di tutto rispetto, coadiuvato da basi solide, sia il romanzo che le fondamenta del cinema di Michell, finendo però troppo spesso per appiattirsi, non permettendo un dignitoso flusso narrativo nella parte centrale e lasciando tutto il pathos solo alla perfomance autorevole della protagonista.

rachel recensione

Verdetto:

Rachel è l’adattamento cinematografico del romanzo di Daphne du Maurier, del 1951. La direzione del film è di Roger Michell, uno che – Notting Hill a parte – ha sempre dimostrato particolare attitudine per il dramma e per opere di questo tipo, ed in effetti si percepisce il fatto che sia a proprio agio. Dal punto di vista estetico abbiamo a che a fare con un film quasi impeccabile, dall’eccezionale fotografia e dai costumi sublimi, che ci portano immediatamente nell’Ottocento, ma il flusso narrativo è troppo piatto e si basa esclusivamente sull’ambiguità della sua protagonista, una magistrale Rachel Weisz che però si deve scontrare con uno script troppo insicuro, al pari del suo co-protagonista Sam Clafin.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.