La storia, l’autore e i lettori.

Non mi spaventa la fine del mondo, mi spaventano i titoli di coda

Rat-Man Collection 100: E venne il giorno!

L’aveva detto, non giriamoci intorno. Da tempi non sospetti, Leo Ortolani ci ha abituato all’idea che, un giorno, la sua serie capolavoro giungerà al termine. Più precisamente, questa certezza ci accompagna fin dal 1997, quando il personaggio stava muovendo i primi passi nella serialità bimestrale. Certo, è difficile per un autore, soprattutto molto giovane, decretare, con assoluta certezza, che verrà il momento di scrivere la parola fine alla sua testata. Alla domanda: “Perché?“, lui aveva candidamente risposto:”Io credo che una serie a fumetti abbia una vita, come tutti noi. Che nasca, cresca e alla fine chiuda“. Non sappiamo se sia andata veramente così (era l’era pre-social, e tutto ciò che riguarda quell’oscuro periodo è perduto). Tuttavia, è così che l’autore ha ritratto quella scena, dove la sua carriera ha preso una svolta decisiva, nel numero 100, il tanto atteso albo che avrebbe dovuto completare la saga del ratto. Ovviamente, non è successo, visto che il “centesimo” è uscito nel gennaio del 2014 e la fine è appena arrivata, ora, a tre anni di distanza. Quella vera, stavolta. E se il traguardo delle tre cifre non ha segnato la conclusione è stato solo perché, dopo tanti anni, non bastava per riprendere i fili di tutte le sottotrame intessute nel corso dei decenni. Però, è servito a confermare che sarebbe finito, che non dovevamo illuderci e che presto quel drammatico momento sarebbe giunto. Adesso è successo. Davvero. Non c’è modo di scappare a questa sconvolgente verità. In fondo, ce l’aveva detto.

Ma è ancora presto per piangere lacrime amare, incedere al dolore, lanciare corone di fiori sulla tomba del caduto e decantarne le lodi al passato come se un’epoca irripetibile fosse sparita per sempre. Non soccombete alla nostalgia, non rinchiudetevi nel passato e non strappatevi i capelli come nell’antichità si usava fare alla scomparsa di un grande eroe. Anche se Rat-Man ci ha salutato, Leo Ortolani rimane. Anche se la creatura riceve il suo meritato elogio funebre, è il creatore a scriverlo e a leggerlo davanti alla platea dei suoi lettori. Leo Ortolani non ci lascia. Perché se è vero che Deboroh La Roccia è al termine del suo percorso, l’uomo con gli occhiali che ne ha disegnato le gesta è ben lontano dalla sua parabola discendente. Anzi, probabilmente non ha mai vissuto una fase della sua carriera così prorompente e imprevedibile, dove tutto può succedere. Il Venerabile è pronto a stupire ancora, a tornare in gioco, e forse non è un caso che la chiusura di Rat-Man sia calata adesso, ora che il suo autore si è svincolato dall’opera evolvendo la propria figura fino a diventare un luminare della comunità nerd del belpaese e battendo nuove strade a livello fumettistico.

Prima i volumi per Bao, poi l’annuncio di C’è spazio per tutti per Panini Comics, che vedrà Rat-Man agire senza il bimestrale ad accompagnarlo in edicola (evento sconvolgente) e altri annunci di vario tipo confermano che di fronte al genio di Parma si stanno aprendo strade prima inesplorate: quelle del Graphic Novel. Tuttavia, anche qui abbiamo poco di cui sorprenderci. È la deriva autoriale di Ortolani, che da autodidatta delle nuvole di carta si è fatto maestro, attraverso un tragitto lungo in cui ciascuna tappa era un passo verso un’ulteriore crescita. Ormai, il processo di emancipazione è iniziato. E chissà dove ci potrà portare. Chissà se l’autore è veramente separabile dalla sua creatura. Chissà chi guadagnerà nell’allontanamento e chi ci perderà. Chissà. In fondo, ci aveva detto pure questo. Sempre lì, nel numero 100, dove, tra una paturnia creativa e l’altra, raccontava tutte le idee trascurate a favore della sua serie, trovate e personaggi a cui finalmente potrà dedicare con tutto se stesso. Lo ha ripetuto più volte. Agli incontri pubblici, alle chiacchierate con i lettori, nelle interviste e in ogni occasione, quando naturalmente la domanda su cosa avrebbe fatto dopo prorompeva puntuale a causare un vuoto tutt’intorno. E lui replicava tranquillo, consapevole che quello era solo il naturale corso delle cose, magari sorridendo.

Forse,  ripensando alle parole di E venne il giorno!:

“La storia sorride. Senza labbra. Capisco da dove venga la mia ansia. Perché una serie a fumetti nasce, cresce e finisce. Come tutte le cose. Come me“.

Forse quelli veramente spaventati siamo noi. Noi, i lettori. Forse, Ortolani non trema e non ha il terrore di quello che verrà. In effetti, è probabile che lui sia quasi emozionato alla prospettiva del suo futuro prossimo. Perché, anche se non uscirà più la Rat-Man collection, disegnerà ancora il personaggio, avrà ancora l’opportunità di vivere in sua compagnia. Lo ritrarrà negli sketch alle fiere, gli farà indossare i panni di un altro capolavoro da parodizzare, ogni tanto magari si lascerà andare a dei piccoli disegnetti, tanto per passare il tempo. Lui sarà ancora il suo autore. Ma noi non saremo mai più lettori di Rat-Man. Non troveremo più l’inedito in edicola. Una consuetudine che ci ha accompagnato per anni, mesi, giorni delle nostra vita sarà spazzata via per sempre. Non ci sveglieremo più all’alba dei mesi dispari consapevoli che mancano poche settimane all’uscita dell’albo, non assalteremo più gli stand al Lucca Comics and Games per impossessarci della copia in anteprima, non staremo più a chiederci come e quando la serie finirà. Perché ci avrà detto addio. Avrà detto addio a noi, i suoi fan.

Noi, che l’abbiamo visto evolversi da parodia a leggenda, che abbiamo visto crescere il suo autore, trasformandosi da umorista a quello che può essere definito il miglior fumettista completo d’Italia, capace di unire battute, divertimento, sapienza “fumettara” e disegni splendidi a uno stile personale e inconfondibile, cultura stratificata, storie emozionanti, metanarrativa, filosofia, religione e, soprattutto, passione. Nonostante tutti gli anni che sono passati e il mutamento del personaggio e di Ortolani, il DNA è rimasto sempre lo stesso, il cuore che batte e che fa vivere questo sogno, è, fin dal lontano 1989, la passione per le belle storie, per i personaggi e le loro avventure. Pensateci. Rat-Man si muove in un immaginario collettivo che colpisce attraverso decine e decine di canali differenti, perché, più che un fumetto, è un crogiolo di forme e generi, derivati da tutti i medium esistenti, dal cinema alla letteratura, passando per i comics e le serie tv, un’opera nata e cresciuta nell’intreccio delle fruizioni vissute dal suo creatore. E questa caratteristica si riversa come un fiume sulle sue pagine, dove un lettore attento può non solo cogliere questo o quel riferimento, ma assaggiarne perfino le stesse atmosfere filtrate dalla personalissima visione di Ortolani. Una visione che, attenzione, non è mai buonista o passiva: se c’è da criticare, da sfottere, parodizzare, prendere in giro, lui lo fa, senza paura di offendere qualcuno o risultare strafottente. Perché amare una storia, indipendentemente da dove provenga, vuol dire anche saperla analizzare, trovare gli errori e le incongruenze, le storture e le stranezze, e soprattutto vuol dire non chiudere un occhio di fronte a loro.

In questi tempi, dove una parte consistente del fandom di una storia pare pronto a sorbirsi tutto ciò che viene proposto senza reagire, o al massimo sdegnarsi per cose stupide, dove si ignorano spesso i difetti a favore del puro spettacolo o in cambio della sensazione di essere rassicurati, Ortolani ci ricorda che amare un’opera significa soprattutto non fruirla passivamente. Perché in quel caso viene smarrita la sua funzione primaria: educare. Perché la narrazione non è solo intrattenimento ma è anche uno strumento per spingere se stessi a farsi delle domande, a scoprire qualcosa su stessi e sulla realtà che ci circonda. Perché dopo che hai visto o letto qualcosa, tu non sei più lo stesso che ha iniziato a fruirne.

Nella poetica di Ortolani, al centro c’è sempre stata la storia, intesa come narrazione d’intrattenimento e maturazione. Era quindi naturale che un giorno sarebbe finita. Perché la caratteristica fondante delle storie è proprio quella di avere fine. Altrimenti, non possono insegnarci niente.

Come la vita. Come le esperienze umane. Come tutto il resto.

 

 

 

 

 

 

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!