Esordisce su Netflix Resident Evil Infinite Darkness: la prima serie legata al noto brand di Capcom gli rende giustizia?

Resident Evil Infinite Darkness non è poi molto diverso da quello che mi aspettavo, mood e character design mi sono sembrati molto derivativi rispetto a quanto visto nei 3 film in CG pubblicati negli anni scorsi e di fatto, la serie si è configurata proprio come una ideale prosecuzione di quel filone lì. Un filone fatto di storie sostanzialmente indipendenti e autoconclusive, inserite cronologicamente con abbastanza precisione nell’universo narrativo di Resident Evil, ma scarsamente capaci di influire concretamente su quelli che sono invece gli eventi legati ai videogiochi, i quali a loro volta, raramente sono strettamente interconnessi tra loro.

Non c’è quindi più di tanto da stupirsi che Infinite Darkness non aggiunga un tassello narrativo fondamentale alla lore generale,  in fondo come accennato poco fa, gli stilemi della saga sono spesso reiterati e mischiati tra loro in maniera poco consequenziale. In tal senso la serie Netflix è quindi anche abbastanza coerente con il caotico intreccio transmediale di vicende a base di armi biologiche che compone l’epopea di Resident Evil. Il punto è che a prescindere da questo, quegli stilemi si possono usare per creare qualcosa di buono, qualcosa di coinvolgente, per quanto “fine a se stesso” narrativamente, o al contrario possono generale qualcosa di inconsistente. Infinite Darkness, esattamente come i precedenti film in CG, sta un po’ nel mezzo. Non è un prodotto prettamente noioso o mal realizzato, ma si rivela comunque innocuo e dimenticabile.

Nonostante Capcom sul versante videoludico abbia riscoperto le potenzialità della serie in abito horror, per qualche motivo è convinta che invece se si tratta di film (o in questo caso prodotti televisivi) sia sempre meglio puntare su qualcosa di mainstream, scoppiettante, qualcosa che si rifà sempre ai capitoli videoludici dal taglio più blockbuster. Non solo, anche il cast è frutto della volontà di andare a colpo sicuro, sfruttando per l’ennesima volta la coppia Leon/Claire, evidentemente la più amata dal grande pubblico. Insomma ormai è chiaro non siamo di fronte a nulla di coraggioso, minimamente sperimentale, o in qualche misura diverso rispetto alle precedenti iterazioni cinematografiche in CG della serie. Abbiamo Leon in missione verso Shangai per conto degli Stati Uniti, insieme ad un manipolo di agenti speciali, pronto a risolvere la solita situazione che vede zombie ed armi biologiche di vario tipo (tra cui degli inediti e simpaticissimi ratti indemoniati) sfruttati per azioni di “bioterrorismo” dai soliti ignoti che poi a conti fatti si riveleranno più che altro “i soliti stereotipi” scarsamente intriganti.

Il tutto in una cornice fatta di conflitti e tensioni internazionali, situazioni geopolitiche instabili, e territori di guerra, che evidentemente cerca di rendere più pesante, sentita e drammatica la storia. Salvo poi semplicemente lasciare un retrogusto di pacchianata action pseudo americana che aggiunge ben poco di positivo. Ciò nonostante Resident Evil: Infinite Darkness non è tutto da buttare, si tira il freno a mano sulle “cafonate” eccessive (quelle viste nel terzo film in CG Vendetta, per intenderci), la sceneggiatura, la regia e la deriva “spionistica” del plot, danno la percezione di una maggiore maturità al prodotto rispetto alle passate scorribande cinematografiche di Leon e soci. In effetti tutto ciò lo rende vagamente intrigante, salvo poi dover passare per una risoluzione degli eventi piuttosto telefonata e personaggi che al solito sono rappresentati con lo spessore di una carta velina, primi tra tutti proprio Leon e Claire. Per quanti si aspettino invece un utilizzo più “tradizionale” degli elementi tipici della serie, ovvero in favore di dinamiche che possano favorire momenti grotteschi, d’atmosfera horror o vagamente inquietanti, purtroppo duole constatare che ancora una volta non c’è nulla di tutto ciò.

A livello tecnico quanto meno è innegabile il passo avanti nella computer grafica, che rende Infinite Darkness almeno a livello estetico, piacevole da vedere. Soprattutto per quel che riguarda l’espressività dei personaggi, che assumono connotati decisamente più verosimili rispetto al passato, impreziosendo un po’ la loro caratterizzazione. Per il resto c’è poco da aggiungere, il formato di 4 puntate da circa 25 minuti è bizzarro, considerato che tutto sommato con questo minutaggio complessivo potevano sfornare benissimo l’ennesimo film da circa un’ora e mezza invece che puntare ad una formula seriale poco giustificata. Come già detto insomma, Resident Evil: Infinite Darkness non è una serie particolarmente noiosa, si lascia guardare, ma mentirei se non la considerassi l’ennesima occasione sprecata di sfruttare come si deve le enormi potenzialità del nome Resident Evil.

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Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!