Il fumetto diventa epopea, l’epopea capolavoro: la Saga di Paperon de Paperoni

Forse non tutti lo sanno, ma la creazione di un fumetto Disney si basa su alcuni assunti. Cinque tabù che il creatore della storia deve rispettare per rimanere nel canone dettato dallo zio Walt. La pena, per queste trasgressioni, può essere severa, come ben sanno Marconi e Cavazzano, autori di “Topolino in: Ho sposato una strega”. Ci sono anche casi però in cui proprio sfidare questi tabù, saperne fare il tratto migliore della propria storia inserendoli in un contesto “umano” con sapienza e delicatezza, può rendere grande un’opera. Come per la Saga di Paperon de’ Paperoni.

La grande epopea che vede protagonista l’ultimo erede del Clan de’ Paperoni riesce a toccare molti di questi canoni. La famiglia, l’amore, la morte, persino il vizio e la sessualità riescono a diventare parte integrante della storia. Ma non c’è una critica aperta al canone da parte di Don Rosa. Solo il desiderio di dare giusta dignità ad alcuni dei più importanti argomenti della vita. Mostrare come anche nel fumetto Disney, un mondo troppo spesso relegato all’infanzia, possa esserci spazio per tali grandi tematiche.

The Life and Times of $crooge McDuck è esattamente questo. Un racconto “umano”, pur con becchi e piume. La storia di una persona con tutti i suoi pregi e difetti, capaci sia di portarlo al successo che di allontanarlo dalle persona care. Ma, soprattutto, una storia che non ha paura di affrontare a viso aperto i grandi tabù della Disney. Non teme di integrarli e farli diventare a misura d’uomo. Anzi, di papero.

Una storia collocata nella Storia

Può sembrare strano che un autore americano (di origini italiane) sia finito a raccontare l’epopea di un papero scozzese per un editore danese (dopo una breve pubblicazione olandese). Tutto iniziò quando Don Rosa venne contattato dall’editore danese Egmont nel 1990. L’autore veniva da una cocente delusione con la casa editrice Gladstone, la stessa che pubblicava i fumetti Disney negli States. L’editore a stelle e strisce non voleva restituire all’autore le tavole originali delle sue storie, una percentuale massiccia dei suoi introiti. La cosa portò a una rottura tra le parti, ma nel frattempo la casa editrice danese Egmont aveva iniziato a stampare quelle storie, ricevendo un notevole riscontro di pubblico. La Danimarca amava i paperi di Don Rosa e ne voleva di più.

Nel 1991 tuttavia l’editore commissionò a Rosa un progetto ben più importante. Realizzare una saga che raccontasse le origini di Paperon de’ Paperoni e inserisse la sua epopea in un contesto storico ben definito. L’idea è meno banale di quanto si possa credere. I personaggi Disney raramente crescono e vedono collocare le proprie avventure in un periodo storico preciso. Pensate a Qui, Quo e Qua: passano gli anni, ma rimangono sempre e comunque i nipotini.

Ecco perché, sin dalle sue premesse, l’opera di Don Rosa appare ambiziosa nel voler cambiare una di queste regole. La storia di Zio Paperone è ben collocata nella Storia, quella con la S maiuscola, quella dove possono comparire Teddy Roosevelt e lo Zar Nicola II di Russia.

Nel complesso quanto operato da Rosa appare l’unico vero tentativo completamente compiuto, da parte di un autore Disney, di dare una coerente collocazione temporale a un proprio personaggio. Un’operazione che all’epoca della stesura comportò per Don Rosa un ampio lavoro di ricerca, simile a quello che deve compiere un romanziere. Non esattamente ciò l’immaginario comune si aspetta da un autore Disney, nevvero? Ma nasce in questo modo una gloriosa storia in dodici parti (a cui si aggiungeranno nel tempo altri racconti). Una storia che diverrà una pietra miliare del fumetto.

Rosa prese a piene mani dalle opere di Carl Barks, utilizzando le avventure di The Duck Man per riscrivere la storia dei Paperone. Come solo un grande autore era in grado di fare realizzò una vera e propria mitopoiesi, basata sull’uso amorevole delle opere di un autore molto amato, a cui dedicherà la sigla D.U.C.K. (Dedicated to Uncle Carl by Keno, il suo secondo nome).

Famiglia, decini e altri guai

La prima cosa che balza all’occhio, leggendo The Life and Times of $crooge McDuck, è la consapevolezza di trovarsi di fronte a un’epopea familiare. Le prime immagini della saga ci mostrano una scena semplice, di vita quotidiana. Un padre racconta al proprio figlio il passato della loro famiglia, la lunga storia di un clan che ha perduto i fasti di un tempo. Proprio il desiderio di dare un futuro migliore al figlio spinge Fergus de’ Paperoni a costruire per lui un kit di lustrascarpe da regalare al bambino per il suo decimo compleanno e organizzare una piccola messinscena per fargli guadagnare il primo soldo: quel famoso decino americano, la Numero 1.

saga paperon de paperoni

Ben presto il desiderio di ricchezza di Paperone andrà oltre la volontà di aiutare i propri congiunti e ridare lustro al clan. Ma, nonostante l’ambizione (via via sempre più smodata), la famiglia resterà un fulcro importante nella vita del giovane papero in cerca di gloria. La sua prima grande avventura avverrà nel Mississipi, sul battello dello zio Angus, troverà una nuova famiglia nei mandriani di Murdo MacKenzie e proprio l’affetto per la famiglia lo spingerà a tornare in Scozia.

Il rapporto di Paperone con la famiglia è sempre al centro della storia. Ma quello che colpisce è che in nessuna delle dodici avventure principali della saga, così come nelle storie che fanno da corollario a essa, tale rapporto sia edulcorato, ridotto al minimo indispensabile come appare normalmente nelle storie Disney. La famiglia, per Paperone, è un luogo di affetti. Ma anche di scontri, di liti furiose. Di rimpianti e di dolore.

Proprio nel contesto familiare si trovano alcune delle scene più drammatiche disegnate da Rosa, i momenti in cui i canoni Disney vengono scossi dalle fondamenta. All’interno del Clan de’ Paperoni si consumano scene di rabbia, capaci di raggiungere il loro culmine nella furiosa lite tra Paperone e la sorella Matilda nella splendida storia “Una lettera da casa“.

Ci sono momenti di lutto, come la morte di Piumina O’drake, madre del protagonista, e la scena in cui Rosa, sfidando uno dei più sacri tabù della Disney, mostra il corpo senza vita di Fergus de’ Paperoni. La morte è parte integrante di una vita, e una biografia di Paperon de’ Paperoni non può prescindere dai drammatici momenti della morte dei genitori. Momenti che Rosa riesce a rappresentare con una delicatezza senza pari, capaci di toccare davvero l’animo del lettore.

Eppure la famiglia resta anche di affetto come avviene quando Ortensia de’ Paperoni conosce il suo futuro sposo, Quackmore. E persino di sessualità suggerita, come fatto da Don Rosa in occasione della storia “La prigioniera del fosso dell’agonia bianca“. Perché anche l’amore, inteso come affetto sensuale che può legare due (quasi) sconosciuti, è parte della storia di Paperone, insieme al grande rimpianto provato per aver perduto Doretta Doremì.

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Il desiderio di ricchezza: vizio o virtù?

Tralasciando il canone del linguaggio, suggerito ma mai esplicitamente scurrile nel corso delle avventure di Paperone, un altro dei canoni imposti dalla Disney era quello di non lasciar mai trasparire i vizi dei personaggi. Certo, capita qualche volta di vedere un personaggio con un sigaro in bocca, come Manetta o Gambadilegno, oppure che in qualche gag venga utilizzata l’ubriachezza di un personaggio. Ma niente che possa mai mettere in discussione la moralità di un personaggio, dato che anche i cattivi dei fumetti disneyani devono avere qualche piccola scintilla di bontà.

Ma anche in questo caso Don Rosa non si fece troppi scrupoli, andando a toccare proprio una delle caratteristiche più importanti dei Scrooge McDuck: la sua avarizia. Le storie di Carl Barks e Rodolfo Cimino ci presentano nella maggior parte dei casi il lato più divertente e macchiettistico della proverbiale avidità di Paperone. Un papero che conserva i suoi cimeli “quasi nuovi” del Klondike e non si fa scrupoli quando può risparmiare anche solo un centesimo.

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Tuttavia Rosa non si fa scrupoli a mettere in mostra il lato peggiore di questa avidità. Il desiderio di ricchezza è il carburante che spinge Paperone a cercare un’avventura dopo l’altra. Una brama che negli anni lo consuma, fino a fargli rinnegare (in una sola, dolorosa occasione) il suo ideale di onestà pur di ottenere qualcosa. Lo porta anche ad allontanare la famiglia, nonostante un singolo attimo di profondo turbamento sembri portarlo nuovamente verso la retta via. Ma proprio scoprire di aver raggiunto la vetta allontanerà Paperone per vent’anni dai suoi cari.

In Paperone sembrano convivere due personalità due facce di una medaglia (anzi, di una moneta): l’avventuriero e il finanziere, il girovago e il magnate. Due caratteri apparentemente antitetici, che l’abilità narrativa di Don Rosa riesce a trasformare nel tratto vincente del personaggio nel corso della sua saga.

Il dono di un finale

La storia di Paperone, lo abbiamo visto, riesce a fare proprio della sua convivenza con i tabù di Walt Disney uno dei suoi tratti migliori. Ma c’è anche un’altra sfida che Rosa scelse di far affrontare al papero più ricco del mondo. Quella della fine.

Nel 1991, quando la saga di Paperon de’ Paperoni ancora era in lavorazione, una fanzine tedesca commissionò a Don Rosa una singola vignetta, divenuta celeberrima.

Un anziano Paperino osserva in compagnia della sua sposa una lapide. Accanto a lui ci sono tre paperi, Qui, Quo e Qua ormai adulti, che ascoltano commossi i ricordi dello zio. Una vignetta toccante, dove in poche parole Don Rosa consegna al personaggio da lui così amato un finale. Non un finale lieto, come vorrebbero i ferrei canoni della Disney. Ma un finale grandioso, in grado di rendere giustizia al più duro dei duri e al più furbo dei furbi.

Perché una storia, senza un finale, perde qualsiasi senso. E, per Don Rosa, la vita e il tempo di Scrooge McDuck hanno un periodo storico ben definito. Un inizio e una fine. Proprio la sua natura limitata rende così prezioso il tempo. Ed è il tempo a rendere preziosa la vita. Una vita che Rosa ha scelto di celebrare, facendo dono alla saga di Paperon de’ Paperoni del suo ultimo, più grande tesoro.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.