Solos sbarca su Prime Video e si candida subito ad essere una delle delusioni più scottanti del 2021, nonostante un clamoroso cast stellare

Dopo Soulmates, Prime Video torna sul luogo del delitto narrativo con Solos: viene ripresentato il formato antologico e ritornano quei temi fantascientifici tanto cari a Black Mirror. Ma la ciclicità dei temi e modi del racconto si perdono ancora una volta in una rappresentazione sbiadita del futuro. Una realtà lontana, che però ricorda tremendamente per temi e situazioni il tragico 2020.

Eppure le premesse e le ambizioni della serie erano enormi, a partire da un cast stellare che coinvolge Morgan Freeman, Anne Hathaway, Helen Mirren e Dan Stevens. A dirigere questa parata di stelle di Solos torna su Prime Video David Weil, che aveva ideato e scritto il controverso Hunters. Se nella serie con Al Pacino si andava a caccia di nazisti nel passato, qui si va a caccia di sentimenti nel futuro. La fantascienza diventa però un pretesto, uno sfondo poco delineato, perché al centro dell’attenzione di Solos c’è l’umanità, che pone domande sulla vita, sulla morte e su sé stessa.  

Solos porta su Prime Video storie sofferte, innescando un viaggio introspettivo di sette protagonisti, in un futuro problematico e schiavo di una tecnologia che ha vanificato la promessa di aiutare l’uomo, rendendolo sempre più solo. Ogni episodio, della durata di trenta minuti, racconta una vicenda a sé, ma unicamente alla fine del percorso totale, con l’epilogo, si ha chiarezza e le vicende hanno un punto di unione.

Lo sguardo è rivolto alla fantascienza tout court, riproponendo i classici stilemi narrativi del genere, rimanendo però ancorato a tutti i cliché già scandagliati in Black Mirror. La grande novità e il grande difetto di Solos è che, nomen omen, gli attori recitano completamente in solitaria, dando vita a lunghi monologhi introspettivi che abbracciano l’intera complessità dell’essere umano.

L’impostazione scelta da Weil ricalca più il teatro che una produzione televisiva e, nonostante performance attoriali eccelse, palesa limiti nel ritmo e nella scelta di tematiche approfondite con una semplicità fanciullesca, lontana dalle disamine filosofiche che la fantascienza sa e deve affrontare in contesti del genere.

Drammi, copiose lacrime dei protagonisti, storie struggenti vogliono ricercare continuamente un’empatia che tarda ad arrivare, proprio per la forzatura con cui si vuole marcare il melodramma. Siamo soli, ma interconnessi in quanto umani sembra una risposta pseudo fantascientifica e autoriale al “andrà tutto bene” e ai canti sui balconi sentiti ad inizio pandemia.

Sentire Morgan Freeman ripetere frasi come “Vorresti poterti riprendere il giorno peggiore della tua vita?” più che in contesti fantascientifici, porta direttamente alla fabbrica della Perugina, in una desolante landa popolata da buonismo e frasi ad effetto, che in questo periodo storico risultano decisamente stucchevoli.

Confezionare un monologo avvincente è un’operazione complessa, che richiede una scrittura capace di dare profondità al protagonista, le cui sfaccettature devono essere credibili, con corde emotive tese, ma mai eccessivamente. In Solos (disponibile su Prime Video dal 25 giugno), queste corde si spezzano,  spropositatamente tirate dalle pretese melodrammatiche più inclini ad un contesto teatrale.

Si cerca di stemperare l’eccessiva tensione con rimandi e citazioni alla cultura pop (Game of Thrones in primis), ma la dialettica tra melodramma e qualche virata leggera non aumenta un ritmo, che rimane mestamente soporifero.

In questo quadro mal riuscito, qualche pennellata risulta più brillante: in particolar modo l’episodio che vede Uzo Aduba (apprezzata in Orange Is the New Black, in cui interpreta Occhi Pazzi) nei panni di Sasha, una donna che ha vissuto nella sua casa per venti anni, in conseguenza di una pandemia globale. Il rapporto con l’IA che gestisce e anima la casa tocca uno dei momenti più riusciti di questo ambizioso, ma deludente progetto.

Solos ha la pretesa di farci sentire meno soli come esseri umani, collegandoci ad un futuro interconnesso e digitalizzato. Ma la connessione si interrompe subito, lasciando drammaticamente soli i suoi protagonisti.

Leone Auciello
Secondo la sua pagina Wikipedia mai accettata è nato a Roma, classe 1983. Come Zerocalcare e Coez, ma non sa disegnare né cantare. Dopo aver imparato a scrivere il proprio nome, non si è mai fermato, preferendo i giri di parole a quelli in tondo. Ha studiato Lettere, dopo averne scritte tante, soprattutto a mano, senza mai spedirle. Iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2006, ha collaborato con più di dieci testate giornalistiche. Parlando di cinema, arte, calcio, musica, politica e cinema. Praticamente uno Scanzi che non ci ha mai creduto abbastanza. Pigro come Antonio Cassano, cinico come Mr Pink, autoreferenziale come Magritte, frizzante come una bottiglia d'acqua Guizza. Se cercate un animale fantastico, ora sapete dove trovarlo.