Dopo aver partecipato, un po’ di tempo fa, all’anteprima stampa di Baby Driver, abbiamo avuto il grande piacere di incontrare anche chi questo piccolo gioiello della cinematografia l’ha pensato e realizzato, ovvero il suo eccentrico e geniale regista Edgar Wright.
Nella cornice sontuosa dell’Hotel De Russie in Roma, a due passi da Piazza del Popolo e dalla terrazza del Pincio, noi di Stay Nerd – insieme ad qualche altro collega di altre testate – abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui, che si è dimostrato un uomo cortese ed affabile oltre che un grandissimo professionista.

Ha risposto pertanto a tutte le nostre domande, con estrema cordialità.

Baby, il protagonista, è un po’ una summa di tutti i personaggi dei tuoi film precedenti, però rispetto agli altri è molto più consapevole della realtà che vive.

In un certo senso è così, ma non del tutto. In diversi miei film ho affrontato il tema del diventare grandi o raggiungere una maturità. In questo caso però assistiamo ad un fenomeno inverso perché all’inizio ci troviamo di fronte ad un giovane che è un abile criminale e che invece vuole tornare alla normalità.

Uno degli aspetti più originali dei tuoi film, oltre che un punto di forza, fino ad ora erano i finali particolarmente significativi. Invece qui assistiamo ad una chiusura più convenzionale, giocando più sul sicuro. C’erano diverse versioni o l’idea che avevi in mente non è mai cambiata?

Questo è sempre stato il finale sin dall’inizio. La differenza forse, rispetto ad altri miei film è un finale un po’ più etico. Inizialmente la produzione voleva che lui potesse farla franca, ma io mi sono opposto perché volevo si prendesse la responsabilità delle proprie azioni.
Ho tratto ispirazione anche dai vecchi film americani degli anni ’30, i gangster movie, dove c’è un finale morale, ma quando si arrivava ad un lieto fine questo non mi convinceva mai del tutto, e mi chiedevo sempre: cosa succederà nei 15 minuti dopo l’ultima inquadratura?

Una domanda sul cast. Chi ti ha dato più problemi durante le riprese?

So che la mia risposta non è quella sperata, ma sono stati tutti straordinari. Tutti questi grandi attori si ritrovavano insieme nella stessa stanza, contemporaneamente, e le scene in cui si divertivano a terrorizzare Baby erano quelle più entusiasmanti. Non dimentichiamo poi il fatto che in alcuni momenti si ritrovavano fianco a fianco Jamie Foxx e Kevin Spacey, e in quelle circostanze dicevo al mio direttore della fotografia di fare attenzione perché avevamo un’inquadratura con due premi Oscar! Quando si lavora con delle grandi star, queste tendono a comportarsi benissimo, perché si stimano molto tra di loro. Ad esempio quando Foxx non era in scena e Spacey faceva un monologo il primo si metteva in un angolo, faceva finta di mangiare i popcorn o di essere lì per caso ma in realtà si godeva quanto accadeva sul set come fosse uno spettatore, e viceversa. A volte capitava anche a me, di dimenticare quasi di essere il regista e lo sceneggiatore e di godermi la scena.

In Italia siamo molto interessati al festival di Venezia e alla tua partecipazione nella Giuria. Visto che sei un regista con certe caratteristiche, che tipo di film voterai? Che tipo di approccio avrai verso i film? Peserà il tuo stile nella valutazione o considererai opere completamente diverse, perché magari ne sei affascinato?

Sono stato in passato a Venezia, ma mai al Festival, quindi mi affascina questa cosa. Ho esperienza come giurato, poiché l’ho fatto al Sundance due anni fa. Mi diverte proprio il fatto di vedere dei film che normalmente non andrei o non potrei vedere in sala. Il mio compito è quello di non farmi condizionare da nulla, e spero di riuscire ad essere totalmente oggettivo nel visionare i film e giudicarli.

Il rapporto con gli altri giurati è anche politico, bisogna giocarsela pure in tal senso. Dovrai, in un certo senso, batterti per far vincere il film che preferirai.

Devo dire che al Sundance è stato tutto molto semplice. Si votava, e se c’erano degli ex-aequo se ne discuteva con la massima tranquillità. Non c’è stata nessuna grande discussione, ed anzi si cercava di dare riconoscimenti a più film in modo che non ci fosse un solo asso pigliatutto. Essendo però questa di Venezia, soltanto la mia seconda esperienza non avrò nessuna strategia e sarò semplicemente lì a godermi i film.

Vista l’esperienza di Scott Pilgrim vs. the World, sarà possibile fare il processo inverso e realizzare un sequel di Baby Driver a fumetti?

Sarebbe bello, l’idea è molto interessante anche se richiederebbe un certo tempo. Io e Simon Pegg abbiamo fatto qualcosa del genere, realizzando uno degli zombie del L’Alba dei morti dementi, facendo una cosa fumettistica. È un bellissimo esercizio di scrittura creativa, ma non ci sono progetti, comunque, in tal senso.

Il tuo lavoro implica sempre un certo grado di anarchia quando mescoli diversi generi, ma anche tanto controllo creativo. Come si sposano queste caratteristiche con i grandi studios? Qual è il tuo rapporto con loro, in un momento in cui c’è una grande riflessione intorno al cinema degli studios, con gli autori introdotti da Netflix o Amazon, o registi come Spielberg che dicono non ci sia futuro per gli studios, o altri come Soderbergh che cercano strade alternative?

Nel mio percorso, dopo aver fatto 5 film, penso di aver trovato una strada. È curioso che a volte io venga definito come regista indipendente, dato che questo è il mio primo film con la Sony ma prima ho lavorato con Universal. Forse, ad ogni modo, ammetto che la mia anima da anarchico si sia evoluta un po’ durante questi 5 film.
Baby Driver da una parte potremmo definirlo un’opera più mainstream, ma dall’altra contiene quegli elementi che caratterizzano i miei lavori precedenti. Quello che voglio fare è attirare il pubblico generico, inserendo però degli elementi sempre imprevedibili. Nel caso di Scott Pilgrim vs. the World dispiace che non sia andato benissimo ma per alcuni è un cult, alcuni lo amano molto, pur se il pubblico medio inizialmente ne rimase perplesso. In Baby Driver invece possiamo trovare degli elementi che interessano un pubblico generico ed anche chi ha amato i miei precedenti lavori.
È bello avere la possibilità di esprimere concetti che vanno fuori dal seminato in un pacchetto più commerciale. Con questo film sono riuscito a far contenti gli studios ma anche me stesso, e questo successo che sto avendo mi ha reso particolarmente orgoglioso. Sono felicissimo.

Il film è coreografato così bene che non si capisce se è venuta prima la canzone scelta o la coreografia della scena d’accompagno. Sei partito dalle tue canzoni del cuore costruendoci il movimento intorno o viceversa?

Un po’ tutte e due le cose. Senza avere i brani giusti però non riuscivo a scrivere. Magari avevo in mente una certa scena, ma prima di passare alla fase di scrittura avevo scelto 10 brani che l’avrebbero caratterizzata. Quindi all’inizio cercavo la traccia giusta e poi completavo la scrittura di una scena. Le prove avvenivano con coreografi, stuntman e cast con questi brani che venivano suonati durante le riprese, perché tutti dovevano sentirli mentre si girava.

Puoi parlarci dell’investitura ricevuta da Walter Hill?

Sono un grande ammiratore del film Driver – L’imprendibile, del ’78, tra tutti i lavori di Walter Hill. Ho avuto il grande privilegio di diventare suo amico; qualche anno fa nel corso di un incontro con il pubblico io ebbi l’occasione di esprimergli la mia ammirazione e dirgli che avevo intenzione di girare questo film. Lui si rifiutò di venire a una delle anteprime di Baby Driver, e volle pagare il biglietto al cinema il primo giorno. Io ho tentato convincerlo in tutti i modi, ma non c’è stato affatto verso di fargli cambiare idea. C’è anche un cameo vocale nel film, una delle ultime voci che si sentono è la sua: un omaggio dovuto perché sono un suo grande fan. Alla fine, Hill mi ha telefonato per farmi i complimenti, e non poteva esserci telefonata più bella per me, nella prima di Baby Driver.

Cos’è andato storto con la Marvel a proposito di Ant-Man, progetto su cui hai lavorato molto e che alla fine non hai più fatto?

Facile rispondere: ero molto orgoglioso della mia sceneggiatura ma non potevo realizzare il film che volevo fare. Fino a quel momento avevo sempre curato la regia di ciò che avevo scritto o comunque almeno co-sceneggiato; non mi piaceva l’idea di essere solo un semplice cineasta reclutato a tale scopo. È stato difficile rinunciare a questo progetto ma penso di aver fatto la scelta giusta. Mi dispiace solo del tempo che è stato sprecato. Tra l’altro mi ero detto che facendo quel film forse sarei riuscito a realizzare Baby Driver. Ironia della sorte: l’ho fatto comunque ed è un successo.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.