The Order 1886 recensione: il sempreverde scontro tra forma e sostanza

Quando vidi per la prima volta dal vivo The Order: 1886 ne rimasi colpito. Era Colonia 2013 e quella che Ready at Down presentò ad un pugno di addetti stampa fu poco più di una tech demo. Una stanza chiusa, piena di oggetti che il protagonista (il tempo, poi, ci avrebbe detto chiamarsi Sir Galahad) si divertiva a colpire e far rimbalzare a destra e manca. Il motore di gioco, nella sua prepotenza poligonale, mi colpì a fondo. Erano tempi in cui anche solo toccare una PS4 era ancora difficile, e l’idea che fossimo prossimi ad un salto generazionale in termini di perizia tecnica si faceva pressante. Ho poi seguito lo svilupparsi del progetto, sempre abbastanza limpido nella sua messa in piedi, fiducioso che il team di sviluppo (lo stesso che mi aveva fatto innamorare di Kratos anche nella sua versione portatile) non avrebbe perso l’occasione di arrivare su home console con un primo, vincente, progetto videludico. Ora chiariamolo: quella meraviglia, quel sentore di avere per le mani il primo VERO gioco di nuova generazione per PlayStation 4 non è affatto svanito e The Order: 1886 non è affatto un fallimento. Si tratta piuttosto di una mezza occasione mancata, per una serie di motivi che, almeno nell’ottica di chi vi scrive, sanno più di inesperienza che di inaffidabilità. Prima IP partorita in seno a Ready at Dawn, e fondamentalmente prima vera “sfida” per il team, The Order è figlio di un’ambizione che si è quasi del tutto sublimata, ma incapace di portarsi a compimento. Come sia sia, lo dico adesso, chiunque consideri il gioco appena sufficiente o meno che gradevole è, ai miei occhi, uno scadente mestierante. Così come chi, preso dalla foga, ha sbandierato caratteristiche che, purtroppo, il gioco non ha. La verità, come si suol dire, è nel mezzo. Ed oggi ho voglia di convincervi tutti dei miei perché.

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Prima di andare avanti nella recensione togliamoci un dente: The Order non dura un cazzo. Si, quello che avete letto in rete in questi giorni è vero. In redazione ho portato a termine il gioco alla massima difficoltà in poco più di 7 ore, durante una run in cui non ho affatto tirato diritto ed ho anzi raccattato quasi tutti i collezionabili in giro per il gioco. Ma questo è davvero un problema? La cosa l’analizzeremo meglio nel corso della recensione, il punto è che non ci si può appellare per forza alla brevità del gioco per imputarlo come una porcheria (e lo dico perché è quello che sta succedendo, basta dare un’occhiata sul web per rendersene conto). Le motivazioni per cui il gioco non è perfetto sono altre e tutta questa storia mi riporta alla mente un altro grande protagonista della causa “giocatori vs longevità”: Metal Gear Solid 4. La percentuale gameplay/video è la stessa del titolo Kojima e l’idea che gli sviluppatori avevano in testa nel momento di dare vita ai poligoni è praticamente la stessa: raccontare una storia. In questo The Order non è un maestro, ma è certamente il primo della sua classe. Ready at Dawn ha chiarito sin da subito che l’intento fondamentale era quello di raccontare qualcosa è, diamine, lo hanno fatto dannatamente bene. Ci sono fior fior di giocatori che OGGI si lamentano della pochezza narrativa di tantissimi titoli, non ultimi quelli che accusano IP ampiamente serializzate. D’altro canto c’è anche chi ha letteralmente rotto i coglioni sul fatto che il videogame debba diventare uno strumento artistico, un qualcosa che si elevi da quella manciata di codice programmato che era un tempo.

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Si tratta di un passaggio fondamentale e, francamente, non mi sento di dar ragione o torno a nessuno. Capisco solo la frustrazione. Quella di chi spende 70 preziosi euro per trovarsi tra le mani un prodotto effettivamente molto breve. Ma basta, finisce lì. Vi basta aspettare che il mercato dell’usato si svegli ed anche voi avrete la vostra copia ad un prezzo risicato. Il punto qui è che, non possiamo lamentarci che il videogame significhi ancora “poco” all’interno della cultura dell’intrattenimento, se poi chi si prodiga di dargli un significato finisce per essere crocifisso. Così come mi turba chi continua a dire con frasi alle soglie della memetica come: “se volevi fare il regista non facevi i videogame” (dai su, quante volte si è letto o sentito?). Io credo che bisogna dare ad ogni artista la dignità del suo estro e bisogna approcciarsi ad ogni prodotto con il metodo giusto. Il che non è una difesa ad un gioco fottutamente breve, ma la difesa a quello che è lo spirito della creatività. Tutti creativi qui, tutti fondatori di startup, ma tutti ancora ciechi. Ciò detto godete di The Order per quello che è e smettiamola di filosofeggiare sulle cazzate.

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Finito questo piccolo sfogo – per me doveroso visto quello che sta succedendo in questi giorni – affrontiamo The Order dal principio, ossia il suo plot. La storia è quella di Sir Galahad, un Cavaliere dell’Ordine di Sua Maestà dai modi schietti e con una propensione per le soluzioni alessandrine. Galahad, tuttavia, non è semplicemente un uomo, è un vero e proprio cavaliere, esponente della versione vittoriana di quella che era la leggendaria Tavola Rotonda fondata da Artù Pendragon. L’Ordine, per nulla un segreto in quel di Londra, è dunque una forza di pace e custode della stabilità. Stabilità che è minacciata da creature che sembrano uscite fuori dalle leggende ma che invece sono una terribile realtà, tale da mettere in pericolo non solo l’Ordine e la vita dei londinesi, ma anche gli stessi equilibri mondiali, come ci spiegherà un plot che saprà aggraziarsi l’attenzione del giocatore per praticamente tutta la sua durata. Certo, un paio di colpi di scena sono abbastanza ovvi, ma togliere a The Order i pregi delle sue qualità narrative sarebbe un errore perché il titolo RaD sa veramente farsi valere e presenterà anche un paio di plot twist interessanti ed ispirati. The Order è fondamentalmente una storia ben costruita sin dal sui incipit (molto “sofferto” e intrigante tra le altre cose) che non perde neanche occasione di tirare in ballo anche qualche personaggio celebre come Nikola Tesla o il Marchese De La Fayette (qui aspirante Cavaliere). L’atmosfera, la sua perfetta collocazione temporale, la costruzione di un’ucronia che viaggia a metà tra reale, fantastico, con un’accesa deriva steampunk, rende sia l’ambientazione che la narrazione un qualcosa di superbo ed affascinante. Complice è poi un duo tecnico non da poco composto da direzione artistica e dalla prepotenza di un motore di gioco come, ad oggi, si era forse visto su console solo in Ryse: Son of Rome.

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E visto che di perizie tecniche si parla, chiariamo fin da subito che il lavoro di Ready at Dawn è quanto di più bello si sia visto ad oggi su console. Punto, non c’è altro da dire. L’abilità tecnica che il team ha profuso nel suo titolo, unito ad una ricerca per il dettaglio e ad una direzione artistica da capogiro, rende The Order un prodotto ricco di ispirazione e carattere. La Londra tinteggiata dalle texture e dai poligoni del gioco è incantevole, ma tetra quel tanto che basta a dare al titolo quelle sue oscure caratteristiche a metà tra fantastico e steampunk. A sottolineare l’eccezionale qualità del tutto c’è poi il fatto che l’intero gioco è praticamente un flusso continuo, senza alcun caricamento. Una miscela perfetta tra le sequenze narrative e il gameplay, tutto imbastito con lo stesso sbalorditivo motore di gioco. Non ci sono downgrade delle texture, dei modelli, degli shader… NO! Niente di niente! The Order passa con assoluta disinvoltura dalle cut-scene ai controlli pad alla mano, senza nulla più che il montaggio di una regia che sa farsi quasi apprezzare. Anche quando poi i nemici dovessero piallarvi mettendo fine alla vostra vita, il gioco carica si e no per 2 secondi riportandovi subito nel cuore dell’azione dimostrando una capacità nel gestire le capacità di PS4 che altri sviluppatori, ad oggi, non hanno dimostrato. Certo, per ottenere tutto ciò è stato deciso di tenere delle bande nere che stringono ulteriormente il formato 16:9 rendendo ancor più l’idea di una visione cinematografica. Questo escamotage, sono inizialmente spiazzante, è anche figlio di una necessità tecnica: la considerevole diminuzione del lavoro di rendering. Il titolo, in pratica, offre allo spettatore un formato 1920×800 in virtù del più tipico 1920×1080. Questa scelta apparentemente atta solo ad aumentare il feeling di una esperienza cinematografica, nasconde in realtà una necessità tecnica non da poco. Con questo formato, infatti, il team ha dovuto lavorare su una porzione di schermo visibile minore, ottenendo così una migliore performance del rendering e, soprattutto, del filtro anti-aliasing. Tale scelta, insomma, ha favorito lo sviluppo affinché il motore di gioco si presentasse come di fatto è: SPETTACOLARE. Il bello è che pur girando a 30 FPS stabili, non si avverte mai alcun rallentamento sebbene, com’è ovvio, il gioco non sia esente da difetti. A concludere il tutto ci sono poi un doppiaggio veramente ben fatto ed una componente acustica di tutto rispetto in cui le musiche, sempre perfettamente calzanti, accompagnano ogni istante del gioco con la giusta ispirazione.

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Dal punto di vista meramente ludico, The Order: 1886 segue la strada tracciata (ed ampiamente battuta) da Gears of War, costituendo di un third person shooter dallo stile classico e pulito. Il sistema di coperture dinamiche funziona in modo egregio e non crea mai quelle annose situazioni per cui risulta difficile staccarsi dalla copertura o scavalcarla. Qui tutto fila liscio, sia che ci si ripari, che si spari alla cieca o che si carichi a teta bassa. Anche l’ottima rastrelliera di armi fa la sua parte, presentandoci un set di bocche da fuoco abbastanza sostanzioso e doverosamente differenziato. Nel suo stile “classico” Sir Galahad potrà tuttavia contare su sole armi alla volta, potendole però cambiare quando vuole con quelle che i nemici si lasceranno alle spalle. Questa varietà è molto più che una mera questione estetica, perché le armi (anche quelle non tecnologicamente avanzate) hanno tutte i loro pregi e i loro difetti e si adatteranno più che bene allo stile di gioco dell’utente, sia esso propenso per colpi precisi e parsimoniosi, sia per chi invece vuole cercare di fare rapidamente piazza pulita. Nel gioco è inoltre presente una sorta di sistema bullet time che sembra fare il verso a quanto Rockstar fece con la serie Red Dead. Previo il caricamento di una barra apposita (la Visione Oscura) è infatti possibile rallentare sensibilmente i movimenti nemici, mirando a diverse parti del loro corpo per crivellarli di colpi. Un’abilità non poco utile, specialmente se si considera che il “gunplay” del gioco vi porrà sempre in situazioni in cui il numero di nemici è francamente soverchiante. Anche la caratterizzazione delle armi “steampunk” create dal genio di Nikola Tesla ha un che di affascinante e “plausibile”. Sebbene si tratti di prodotti di fantasia, il gioco lascia sempre per sentore gradevole che si, alla lontana, tutto è tecnologicamente possibile. Purtroppo queste armi sono in numero decisamente inferiore alla media dell’intera rastrelliera e forse sarebbe stato più intrigante avere a che fare con più dispositivi tecnicamente avanzati, tuttavia quelle che ci sono fanno il loro lavoro dannatamente bene.

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Ma le sezioni sparacchine sono solo una facciata del gameplay. La più grossa ovviamente, ma non l’unica. Il team di sviluppo ha infatti pensato di introdurre nel gioco anche alcune divagazioni ludiche che tra sezioni stealth e alcuni momenti infarciti di quick time event, ribattezzati da Ready at Dawn “cinemelee”, questi momenti sono in pratica dei combattimenti corpo a corpo, talvolta concitati, talvolta no, che spezzettano il controllo del personaggio tra il diretto e il quick time event. E così mentre a volte potrete muove Galahad direttamente, ma pur sempre vincolati anche dal premere il tasto giusto al momento giusto, altre volte l’azione si farà un po’ più simile alle scene più “veloci” di titoli come Heavy Rain. La dicitura “cinemelee” sta nell’intenzione di rendere queste sezioni un connubio equilibrato di combattimenti “diretti” e impostazione cinematografica, cercando di premiare in qualche modo la spettacolarizzazione dell’azione. Il più di questi momenti “cinemelee” è rappresentato certamente dalle due uniche “vere” boss fight del gioco in cui gli attacchi sono sferrati corpo a corpo alla pressione dei dorsali, mentre le schivate (e poco altro) sono affidate ai Quick Time Event. Il movimento di Galahad in queste sezioni è libero, ed affidato allo stick, ma del tutto superfluo se non per attivare qualche striminzita interazione ambientale. Lo spettacolo offerto da altri grandi maestri del sistema QTE (God of War?) è ancora lontano anni luce e, sebbene l’idea di fondere il tutto sotto il nome “cinemelee” non sembri neanche male, resta di fatto che il sistema in sé è vetusto e, in fondo, neanche così cinematografico
The-Order-New-Shots_01-28-14Per quanto riguarda invece le sezioni stealth, esse sono forse le più fiacche dell’intera esperienza, essendo sviluppate con uno stile decisamente anacronistico anche per il 1886. Si tratta fondamentalmente di sezioni di gioco estremamente lineari in cui è necessario superare od uccidere una certa fetta di nemici di ronda restandosene accucciati dietro ai ripari. Qui non ci sono possibilità strategiche, o divagazioni che permettano approcci creativi e, complice un’I.A. un po’ farlocca, la soluzione di pedinare ed uccidere rapidamente sarà sempre e comunque la migliore. I controlli sono ovviamente impeccabili, ma l’idea che l’impostazione di gioco (anche solo nella sua spudorata linearità) sia in qualche modo vetusta si paleserà presto. Non dimentichiamo, infine, che non c’è alcun modo di divincolarsi dai nemici se questi ci scoprissero. Fallito l’approccio stealth si viene sparati in testa seduta stante e fine, si comincia da capo. Sarebbe forse stato carino rendere tutto più “moderno” anche se, per fortuna si parla di due o tre momenti e neanche troppo lunghi.
Ma allora perché dare a questo gioco un “semplice” 7.5. Perché The Order non è affatto esente da difetti anche se la brevità non è certamente tra questi. Il primo è fondamentale problema è quasi certamente la totale assenza di qualsivoglia forma di rigiocabilità, ed alcune leggerezze che non permettono al gameplay di ergersi ai massimi livelli dell’intrattenimento. Archiviamo la brevità del gioco, perché il punto è che una volta terminato il gioco finirà sullo scaffale lasciandovi anche con un palmo di naso. Non vogliamo fare spoiler ma vi basti sapere che per quanto bella, concitata e appassionante, la trama è, di fatto, inconcludente. Molti dei retroscena messi in piedi nel corso delle ore non si concretizzerano in niente, lasciandoci con un finale decisamente troppo aperto. The Order 2 in vista? Ok ma sarebbe stato carino che si stringessero le fila un po’ meglio, a maggior ragione di tanti dialoghi che, nell’ottica della conclusione, finiscono per essere un po’ fini a sé stessi. Concluso il gioco, visto il divertimento e la meraviglia che quasi certamente avrete provato, si ha insomma voglia di saperne di più.

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Ora, mentre altri titoli vi danno la possibilità anche risicata di farvi un altro giro di giostra (prendiamo un esempio banale: il “new game +”), The Order non vi offrirà praticamente nulla di tutto questo. Neanche i collezionabili riescono a convincervi a tornare nella Londra del 1886 perché, purtroppo, non è possibile tracciare quali avete raccolto salvo che per una categoria, quella dei nastri acustici. Tutti le altre tipologie (e sono ben tre: oggetti da analizzare, giornali da leggere e fotografie) sono tenute all’oscuro e pertanto, sia durante che dopo il completamento del gioco, non potrete sapere né dove essi si trovano, né quali avete preso o perso. Il problema non sarebbe neanche tanto insormontabile se il gioco ci permettesse di ricominciare con tutto quello che abbiamo già preso, ma così non è ed il fatto che i video (alcuni dei quali occupano anche un intero capitolo dei 16 disponibili) non possano essere skippati rende una seconda run quanto meno “faticosa”. Un altro fondamentale difetto di The Order è poi la sua linearità. Se essa da un lato sublima la narrazione, impedendo qualsivoglia forma di divagazione, dall’altro costringe il giocatore ad un titolo che esaurirà ben presto le sue carte. Qui manca tutto: dall’esplorazione alla personalizzazione, sin anche ad una qualche forma di tatticismo. Pensate che anche solo il primo Uncharted (giusto per tirare un ballo un titolo di bandiera) offre nei suoi livello chiusi molte più possibilità esplorative di The Order. E parliamo, in fondo, di un titolo parimenti lineare. Galahad inoltre non ha alcuna velleità ruolistica. Non che servano ma qui non ci sono miglioramenti per il personaggio, né per le armi, né alcunché che possa invogliarvi, una volta completato il gioco, ad avere un approccio diverso. L’approccio è uno solo e per quanto divertente si esaurirà presto. Il che NON significa che uno pretenda che certe cose ci siano in un third person shooter, ma che almeno avrebbero un po’ smorzato la “staticità” di cui il gioco soffre a maggior ragione se questa, nonostante la linearità, è stata presa a calci anni or sono proprio dal titolo a cui il gioco ludicamente si rifà: Gears.

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Infine qui c’è un problema con l’I.A. nemica tale che essa non solo è decisamente pavida (salvo per i tizi armati di fucile a canne mozze) ma anche decisamente stupida. Non sussistono erroracci, o nemici che si incastrano nei muri, anche qui tutto fila liscio. Il punto è che non c’è sfida e non c’è alcuna organizzazione da parte della minaccia nemica. Essi, semplicemente, o si nascondono o caricano a testa bassa, a seconda del loro armamentario. Il che un pochino abbassa il divertimento di quello che è un concept delle sparatorie ben ripreso dal genere di riferimento, ma che lascia un po’ interdetti. Sarebbe bastato poco, anche solo qualche velleità di raggiramento o organizzazione, affinché tutto fosse un pochino più intrigante e invece no. The Order, comunque, resta un gioco veramente divertente nelle sue situazioni dal grilletto facile, ma forse troppo limitativo. Per dirla in soldoni non c’è niente salvo la prima run di gioco e l’idea che uno se ne fa è che Ready at Dawn non abbia pensato (o potuto) fare nient’altro che confezionare quello che ci ha dato. Che è tecnicamente bellissimo, ma che ludicamente poteva andare bene 20 anni fa, mentre oggi è davvero troppo poco. Anche perché salvo la bellissima realizzazione tecnica, qui non c’è davvero nulla che non sia sul mercato da almeno 15 anni.