La storia vera di un’eredità oleosa

Prendete un calderone, versate al suo interno un barile di petrolio, un migliaio di milioni di dollari, una famiglia a dir poco stravagante, intrighi, eredità ed una regia che sa il fatto suo, alzate la fiamma e lasciate che il composto ed i fumi oleosi e neri invadano la stanza… ed otterrete Trust.

Annunciata a gennaio 2018 e in onda dal 28 marzo su Sky Atlantic, Trust è l’ultima fatica (ma la prima televisiva) di Danny Boyle, regista premio Oscar per The Millionaire, ma forse conosciuto ai più per Trainspotting. La stagione fa in realtà parte di un progetto antologico che mira a raccontare eventi storici realmente accaduti che hanno segnato la storia mondiale, mediatica e non, durante il XX secolo. In questo caso, Simon Beaufoy, stretto collaboratore di Boyle, ha scritto ed ideato la stagione che ci riporta negli anni ’70, per raccontare la storia della famiglia Getty, una delle famiglie più ricche del mondo, e del rapimento di uno dei suoi rampolli, avvenuto a Roma nel 1973. Dietro la macchina da presa si alternano nomi importanti tra cui, come abbiamo detto, Danny Boyle (Trainspotting, 127 ore, solo per citare i primi due che mi vengono in mente), Emanuele Crialese (Nuovomondo, Terraferma), Susanna White (Jane Eyre, Woman walks haed), per una serie girata tra Roma e la villa inglese del capo famiglia. Abbiamo visto la puntata pilota per voi, il primo di 10 episodi, e vi raccontiamo le nostre impressioni sulla prima esperienza televisiva seriale in cui si è cimentato Boyle.

Ricchezza schifosa e criminalità organizzata

Lo stesso mese in cui veniva annunciata l’uscita della serie, contemporaneamente usciva nelle sale il film di Ridley Scott “Tutti i soldi del mondo, un thriller basato anche questo sulla storia del rapimento di John Paul Getty III. Lo stesso Boyle, intervistato, definisce questa storia, che ricorda perfettamente, “una storia affascinante di ricchezza schifosa e criminalità organizzata”, che è il motivo principale per cui, a suo parere, sia lui che Ridley Scott hanno deciso di prendere spunto da questo evento, oltre che per il fatto che da allora non è cambiato niente, ma anzi la maggior parte della ricchezza mondiale non ha fatto altro che crescere e moltiplicarsi nelle mani di pochissimi a discapito di altri moltissimi (il famoso restante 99%). Ecco, Danny Boyle ci dice: no, il mondo non è cambiato rispetto agli anni ’70, anzi è peggiorato, ma questo non toglie che certe celebrity stories come queste, affascinino e disgustino in ugual maniera.

Siamo nel 1973, l’anno in cui la Gran Bretagna si unisce all’Europa, e ci troviamo in una villa inglese vecchia maniera, con tanto di servitù, rituali mattutini del padrone di casa, harem di mogli e feste attraverso cui curare rapporti familiari e soprattutto lavorativi. Una villa sfarzosa a cui l’occhio non si abitua, quasi barocca, in cui il colore maniacalmente riprodotto è il nero, sempre ed ovunque, un nero petrolio che si ripete nei fiori, negli abiti, negli animali da giardino: è la villa del magnate del petrolio: sir J. Paul Getty (Donald Sutherland), un imprenditore che dalla sua magione fra le campagne inglesi controlla i suoi interessi economici e gestisce un impero, 4 mogli ed altrettanti figli problematici di cui non si fida e non si fiderà mai. Sin da subito i personaggi, in particolare le figure di nonno e nipote, sono tratteggiati in maniera esagerata e al limite del parossistico, enfatizzando certi tratti divenuti caratterizzanti dei personaggi della famiglia Getty. È proprio grazie a queste stravaganze che finiamo per subire il fascino perverso in bilico tra repulsione ed attrazione di cui parlano Boyle e Scott e che, grazie ad una prova attoriale di tutto rispetto, i personaggi bucano lo schermo.  

L’eredita di sir Paul

Oltre ad un giro d’affari di miliardi di dollari, sir Paul aveva il gran sogno di coltivare una famiglia come quella Kennedy, una famiglia di vincitori e lavoratori, ma soprattutto aveva il sogno di avere un figlio con un certo fiuto negli affari a cui lasciare in eredità il frutto di anni del suo lavoro e che continuasse a far crescere il suo impero basato sul petrolio. In questo, la vita non è stata benevola, perché i suoi figli o non sono interessati oppure hanno diversi problemi legati al consumo di alcool e droga, che di certo non son visti di buon occhio dal vecchio sir Paul. A rendere più interessante e colorata la vita della dinastia del petrolio che abita la magione, arriva Paul III, il nipote di sir Paul, che si presenta al funerale dello zio con abiti dai colori sgargianti e vagamente hippy. In realtà, come accennavamo prima, il colore è un elemento importante all’interno della puntata: l’unico momento in cui a prevalere sono i colori e non il nero, è il momento della morte di uno dei figli di sir Paul, girata in modo magistrale, ma in maniera da rendere ridicola la scena di un suicidio sotto effetto di un mix di droga e alcool.

L’unica altra pennellata di colore è appunto quella della persona di Paul III, presentato inizialmente come un personaggio puro di cuore e sottovalutato dai familiari e che si rivela invece essere fatto della stessa pasta del padre e cioè nient’altro che un adolescente di 16 anni con uno stile di vita libertino e dedito agli stupefacenti. Il nonno, che inizialmente era propenso a crescerlo, formarlo e concedergli poi i soldi per pagare i debiti accumulati, riesce in qualche modo a rimandarlo a Roma, in cui lo seguiamo attraverso una regia à la Trainspotting, con camere che seguono le corse folli dell’adolescente da un locale all’altro, finché incappa in un losco figuro di cui non sappiamo niente, ma che intuiamo possa in qualche modo centrare con il rapimento che avverrà nelle puntate successive.

Cosa ci aspettiamo dal resto della stagione? In me si son create aspettative altissime, non solo per la regia perfetta e cinematografica di Boyle, ma anche per i dialoghi sempre al limite, i personaggi barocchi resi stravaganti eppure umani da Beaufoy che ti inchiodano allo schermo, trascinandoti nella storia di questa casata che conserva il gusto delle saghe familiari con un taglio sartoriale del regista che non lascia dubbi sulla volontà di portare il cinema anche nel linguaggio seriale.

Quindi aspettiamo con trepidazione di vedere il resto della stagione e poi il resto della serie con una certe curiosità, sia per come verrà districata l’intera faccenda Getty che per i diversi registi che si alternano dietro la macchina da presa, tra cui Emanuele Crialese.