Lo studio francese ci ha abituato ad avventure avvincenti. Ma questa volta qualcosa non quadra…

Dopo un progetto iniziale buono ma non redditizio, la storia di DONTNOD Entertainment ha preso la piega giusta: Life is Strange si è rivelato un enorme successo, in grado di fornire un’alternativa alle avventure grafiche  à la Telltale Games e di rilanciare lo studio di sviluppo, che, dopo l’accordo siglato con Square Enix per la sua serie di punta, negli ultimi tempi ha lavorato con Xbox Game Studios per Tell Me Why e con Bandai Namco Entertainment per Twin Mirror, co-prodotto da Shibuya Productions.

L’ultima opera di DONTNOD si presenta come un’avventura investigativa sul piano ludico e un thriller psicologico su quello narrativo. Il gioco è disponibile per PlayStation 4, Xbox One (versione testata) e PC.

Nonostante, dunque, il genere ludico sia il solito, Twin Mirror si discosta dalle opere che l’hanno preceduto per diversi aspetti. Il primo a balzare all’occhio è la sua modalità di distribuzione: niente spezzettamento in episodi questa volta, nemmeno a distanza ravvicinata (una settimana) come avvenuto per Tell Me Why.

Inizialmente, anche Twin Mirror avrebbe dovuto essere suddiviso in tre episodi – il primo avrebbe dovuto chiamarsi Lost on Arrival – ma successivamente si è optato per il modello di distribuzione classico. E non si può dire che ciò non si rifletta sul prodotto finito, che appare più come una somma di episodi che come un’opera organica. Poco male, il prezzo di lancio è di € 29,99, come per Tell Me Why.

Il secondo aspetto di discontinuità è dato dall’assenza di elementi sovrannaturali: laddove sia Life is Strange sia – seppur in modo più tenue – Tell Me Why presentano protagonisti dotati di un potere “magico”, Sam Higgs  non ne possiede alcuno, non potendosi certo considerare tale la malattia mentale che lo mette continuamente a confronto con il suo doppio.

Twin Mirror

Torneremo sul tema; per il momento mi limito a constatare che l’assenza di poteri non ha giovato al gameplay, che si presenta più “rarefatto” del solito, quasi come se, in fondo, Twin Mirror non fosse altro che un walking simulator. Le sezioni investigative sono riassumibili in due fasi: quella della raccolta delle prove e quella della ricostruzione (o previsione) degli eventi. La prima si riduce al rinvenimento di tutti gli indizi all’interno di un singolo ambiente di gioco; la seconda si svolge nel Palazzo mentale e consiste in una ricostruzione guidata, articolata in tre snodi, ciascuno con tre possibili opzioni. Il giocatore non può incidere in alcun modo, dal momento che la partita prosegue solo con la ricostruzione corretta, raggiunta con un po’ di intuito o con una dose di trial and error.

Il Palazzo mentale avrebbe potuto controbilanciare l’assenza dei poteri, tanto più che Frogwares ne ha dimostrato le potenzialità nei titoli investigativi; invece, di fatto è poco più che un’occasione per presentare qualche banale sezione interattiva che strizza l’occhio ad Alan Wake.

Twin MIrrorQuando si valutano giochi del genere, però, si può sorvolare sul gameplay se la vicenda e la caratterizzazione dei personaggi riescono a provocare il coinvolgimento che le interazioni non restituiscono. Consideriamone brevemente l’incipit.

Il protagonista si chiama Samuel Higgs ed è un giornalista, allontanatosi dalla città natale in seguito al fallimento della sua storia d’amore e alla pubblicazione di una sua inchiesta che lo aveva reso estremamente impopolare in quel di Basswood, cittadina fittizia del West Virginia. Negli ultimi due anni si è totalmente chiuso in se stesso, parlando quasi esclusivamente con “lui”, la sua seconda personalità. Torna a Basswood per il funerale del suo migliore amico, Nick, morto in un incidente d’auto. E se non si fosse trattato di un incidente? La giovane figlia di Nick ha dei sospetti…

Le premesse sono piuttosto banali, così come il dipanarsi della vicenda che, a onor del vero, è molto plausibile, pure troppo. Personaggi in larga parte prevedibili. Colpi di scena non sensazionali.Twin MirrorCiononostante, Twin Mirror riesce a essere straniante. E non ho capito se di proposito o meno. Sam è un protagonista insolito, non collocabile immediatamente fra gli eroi, ma nemmeno fra gli antieroi: semplicemente, è un uomo distrutto, che si trova in una condizione di isolamento pressoché totale, cui sopperisce parlando con “lui”, che in diverse circostanze si dimostra il più brillante e ragionevole dei due. Sam non è un tipo simpatico, ma nemmeno particolarmente antipatico… è semplicemente anonimo, abbrutito dal disprezzo e dall’indifferenza. Qualcuno potrebbe trovarlo un personaggio insipido. Io lo trovo un personaggio volutamente insipido.

La condizione clinica di Sam non viene mai esplicitata, nessuno sospetta (o fingono tutti di non saperlo?) che abbia un problema, egli stesso non ne parla con nessuno. Non c’è una vera e propria relazione antagonistica fra lui e il suo doppio, che potrebbe apparire addirittura come un aiutante. Qualcuno potrebbe pensare che il tema sia stato sviluppato in modo ingenuo e impreciso, e questo probabilmente è vero (ma non posso aggiungere altro: non sarebbe simpatico spoilerarare, NdR), ma è altrettanto vero che ci sono ancora milioni di persone che vivono in questo modo la loro condizione, a causa della solitudine in cui sono intrappolati, che li sottrae al confronto con la realtà e impedisce loro di trovare aiuto. Anche in questo caso, mi riesce difficile stabilire se questa riflessione mi sia stata suggerita realmente da Twin Mirror o sia semplicemente il frutto delle mie elucubrazioni.

E potrei fare un discorso analogo anche per la trama: è vero, è banale, l’ho scritto nero su bianco; ma nella seconda metà del gioco mi è risultato sempre più chiaro che Twin Mirror è il racconto non di un delitto e della sua risoluzione, bensì di un delirio solipsistico, che si conclude in conseguenza delle (poche) scelte del giocatore, chiamato a sciogliere più di qualche nodo gordiano. È un bel racconto? Non ne sono così sicuro, ho apprezzato maggiormente altri lavori di DONTNOD. Mi ha lasciato qualcosa? Penso di sì. Amaro in bocca, perlopiù.

Giovanni Ormesi
Scrivo di videogiochi (più o meno bene) dal 2008, dopo una decina abbondante di anni passati fra le pagine delle bellissime riviste cartacee, che purtroppo si sono perse con il tempo e con il progresso. Oltre ai videogame, sono anche un buon lettore, specialmente – per quanto attiene all'ambito nerd – di Dylan Dog. Nel bene e nel male.