Mark Osborne produce, scrive e sviluppa numerosi progetti animati. Candidato ben due volte agli Oscar, Mark lavora attualmente ad una trilogia di lungometraggi basata sulla serie a fumetti di culto “Bone” di Jeff Smith. Sicuramente però uno dei suoi lavori più celebri è il recente adattamento animato de Il Piccolo Principe. Abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con questa grande personalità del cinema internazionale.

Il Piccolo Principe è indubbiamente una storia conosciuta e amata in tutto il mondo: questa popolarità dell’opera ti ha in qualche modo frenato nella trasposizione? Come ti sei approcciato al libro di Antoine de Saint-Exupéry?

La mia opinione è che, nel momento in cui un’opera viene trasposta, quell’adattamento esiste separatamente dall’originale. Il libro esiste ancora, non è come se avessi distrutto tutte le copie esistenti e se qualcuno non vuole guardare il film può farlo senza problemi.

Noi abbiamo tentato di creare un’esperienza immersiva: amo il cinema perché mi dà l’impressione di essere risucchiato nella storia e ho provato a fare proprio questo, per chi ha già letto il libro è un modo per celebrarlo, per chi ancora non lo conosce è un mezzo per scoprirlo. Molte persone a cui non è piaciuto il libro hanno amato il film e hanno deciso di dare un’altra possibilità al libro. La storia del Piccolo Principe è una di quelle che assume un significato diverso a seconda del periodo della tua vita in cui la leggi, il film è solo un altro tentativo di creare un’esperienza che sia aderente ai significati del libro, ma possono esserci milioni di adattamenti.

All’inizio del progetto, lo ammetto, avevo paura che qualcuno avrebbe provato a dirmi cosa fare e cosa non fare, e questo avrebbe reso tutto più complicato, perché ho bisogno di libertà, come tutti gli artisti, per scoprire il percorso da seguire e troppe regole sono dannose. Per fortuna nessuno mi ha mai detto no.

Alla première, i membri della famiglia dello scrittore sono venuti da me in lacrime, abbracciandomi; abbiamo ricevuto molto supporto da quel punto di vista, tutto quello di cui avevamo bisogno.

In seguito al film sono anche diventato ambasciatore negli Stati Uniti per la Fondation Antoine de Saint Exupéry pour la Jeunesse e spero di continuare a lungo ad aiutarli a fare del bene nel mondo. È straordinario quello che stanno facendo per i bambini e sono molto felice di farne parte.

Sappiamo anche che sei molto attivo nella promozione della parità di genere.

Sì, per questo ho creato i personaggi della ragazzina e della madre ne Il Piccolo Principe: nel libro ci sono solo personaggi maschili, se si esclude la Rosa, e io volevo rappresentare un mondo più bilanciato: ancora oggi le donne sono svantaggiate in ambito lavorativo rispetto agli uomini, ma sono convinto che il cambiamento non debba dipendere solo dalle donne, dovrebbe essere responsabilità di chiunque. Il 51% della popolazione è di sesso femminile, eppure ancora oggi sullo schermo rappresentano qualcosa come il 20%. Sembra pazzesco, ma se in un film c’è bisogno di una folla di persone, e la sceneggiatura non specifica, chi si occupa delle comparse recluterà automaticamente il 70% di uomini e solo il 30% di donne. Quella folla non riflette la realtà a meno che lo sceneggiatore non specifichi che la folla deve essere composta per metà da uomini e per metà da donne. Non è altro che un piccolo gesto, che però può fare la differenza.

Il mio desiderio di uguaglianza è anche egoistico: mia figlia da grande vuole diventare una regista, e io voglio che abbia le stesse opportunità che ho avuto io.

Sia in Kung Fu Panda che ne Il Piccolo Principe troviamo due protagonisti che vivono un momento di ribellione nei confronti delle aspettative che i genitori nutrono nei loro confronti: quanto è importante insegnare ai bambini l’importanza del pensiero indipendente?

Credo che in passato fosse molto comune instradare i propri figli verso una carriera. Mio padre, per esempio, era un rivenditore di automobili e io non volevo seguire il suo esempio; per fortuna neanche lui voleva che seguissi il suo esempio. Quando ho deciso di andare alla scuola d’arte lui non mi ha mai impedito di seguire la mia strada, non ha mai messo in dubbio la mia passione. Avevo paura che avrebbe detto di no, credo che succeda a molte persone, ma il suo supporto mi ha dato la libertà di diventare quello che sono. Poi è normale che i figli attraversino una fase in cui sono contrari a tutto quello che dicono o fanno i genitori, fa parte del processo di crescita,la ribellione è necessaria per trovare il tuo posto nel mondo. questo conflitto generazionale è alla base del rock and roll, dei Beatles, è un’incomprensione che esisterà sempre. Il messaggio che spero sia passato dai miei film è che è ok commettere errori, portare avanti le proprie passioni, anche se non sempre si raggiunge l’obiettivo prefissato, anche se ci si può sempre rendere conto che non è come ti aspettavi che fosse, perché la vita non è mai come te la aspettavi. Io sono stato molto fortunato a essere incoraggiato nelle mie scelte e credo di voler aiutare anche gli altri a credere nelle proprie scelte.

Il tuo prossimo progetto prevede l’adattamento della serie di fumetti Bone di Jeff Smith, che in Italia è stata pubblicata da Bao Publishing; l’esperienza de Il Piccolo Principe ha cambiato il modo in cui ti approcci alle opere che stai trasponendo?

Sono un grande fan di Bone e come me ci sono così tante persone in tutto il mondo che amano profondamente questa serie, che ho la stessa paura che avevo nell’avvicinarmi a Il Piccolo Principe. Onestamente stavo cercando di lavorare a questo adattamento dai tempi di Kung Fu Panda, ma c’era qualcosa che non funzionava e a quei tempi non credevo che fosse possibile una trasposizione del genere. Tuttavia, dopo l’esperienza de Il Piccolo Principe mi sento molto più sicuro di me, anzi, forse questo progetto è più semplice: non ci sono cornici narrative, si tratta solo di prendere quella storia e portarla sullo schermo. Il primo passo è stato decidere che sarà una trilogia di film che coprirà l’intero arco della storia, lavorerò con Adam Kline come co-sceneggiatore e sono molto orgoglioso di dire che Jeff Smith ha letto il nostro script e gli è piaciuto molto. Sarà una sfida, ma credo che sia sempre un”ottima cosa affrontare quello che ti spaventa, uscire dalla tua comfort zone.

 

Tu stesso hai sceneggiato una serie a fumetti, la trasposizione del concept album dei Coldplay Mylo Xyloto. Come è nata la collaborazione con Chris Martin?

Tutto è nato dalla scrittura della storia di Mylo Xyloto, poi ho diretto il video diHurts Like Heaven, per molto tempo abbiamo accarezzato l’idea di produrre un film d’animazione che purtroppo non abbiamo ma portato a compimento. Ne abbiamo parlato per anni, e alla fine abbiamo realizzato la serie a fumetti, che conta sei numeri e racconta la storia di Mylo e Xyloto. Il video è stato un mezzo per mettere insieme i pezzi della storia in una sorta di prequel del concept album. La vita va avanti, però, e tra il tour e il nuovo album e poi di nuovo il tour, per il momento non abbiamo progetti all’orizzonte, ma un giorno mi piacerebbe continuare questa collaborazione. Allo stato attuale delle cose comunque ho collaborato a un bellissimo fumetto, un grande video, e un album incredibile, e non è poco. I Coldplay sono un gruppo straordinario e quella con loro è stata una collaborazione divertente e stimolante.

 

 

 

 

 

 

 

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.