La felicità è una scelta

Nel 2016 usciva su Steam l’Accesso Anticipato di We Happy Few, titolo survival sviluppato da Compulsion Games, che durante questi due anni ha più volte modificato la sua creatura fino a questo 10 agosto, data in cui finalmente vede la luce su PC, PS4 e Xbox One.

Della base iniziale, un survival dalle meccaniche estremamente punitive, resta poco e niente. Il nuovo We Happy Few risulta infatti profondamente cambiato in un’avventura che fa della narrazione il suo punto centrale. Il risultato di tutti questi cambiamenti è un titolo con una scrittura profonda e ben riuscita ma che presenta molte lacune in un gameplay che non sa bene quale direzione prendere e in un comparto tecnico disastroso.

Orwell 1964

Ci troviamo in Inghilterra, e mentre il resto del mondo affronta le conseguenze di una Seconda guerra mondiale vinta dai tedeschi, la città di Wellington Wells, costruita su un’isola, decide di isolarsi e costruire una società basata sull’eterna allegria e sull’annichilimento del passato. Per ottenere questo doppio risultato, i cittadini assumono periodicamente una droga sintetica, la “Gioia”, che rende felici, crea allegre allucinazioni (come le mosche che ronzano intorno alla spazzatura che si trasformano in farfalle), ma soprattutto, causa una profonda amnesia. Chi si rifiuta di prendere la Gioia viene additato come “musone” e cacciato dalla città, insieme a chi per un motivo o per l’altro non può assumere la droga, costretti a vivere come straccioni tra le rovine.

Questo è solo un primo sguardo ad un’ambientazione ben scritta e curata nei suoi dettagli, che spinge il giocatore a curiosare in giro per scoprire tutti i risvolti del passato, i segreti e i lati oscuri di Wellington Wells.

Noi giocatori seguiremo questa ambientazione attraverso gli occhi di tre protagonisti, che purtroppo non potremmo scegliere, ma andranno giocati nell’ordine imposto dalla narrazione. Il primo di cui faremo la conoscenza è Arthur Hastings, un censore che si occupa di rimuovere dai giornali tutte quelle notizie tristi e spiacevoli, nonché quelle che riguardano il passato e la guerra. Un giorno però, gli capita tra le mani un articolo che gli riporta alla mente il ricordo di una promessa fatta ad un amico, e decide quindi di non assumere più Gioia e fuggire da Wellington Wells, impresa tutt’altro che semplice. La storia si dirama attraverso quest principali e quest secondarie, che seppur risultano particolarmente ripetitive, riescono a spingere il giocatore ad andare avanti con la scusa del poter scoprire di più sull’ambientazione. Per quanto riguarda gli altri due protagonisti, Sally e Ollie, posso dire soltanto che nel momento in cui lasceremo Arthur per passare a Sally e da Sally passeremo a Ollie, ci sarà un sensibile aumento della difficoltà di gioco, oltre qualche piccola differenza nell’approccio di gameplay relativo alle differenti caratteristiche dei tre.

 

Prendi una Gioia

Nonostante la narrazione di We Happy Few riesce a tenere incollati i giocatori allo schermo, non si può dire lo stesso dell’esperienza di gioco, fatta da meccaniche superflue e da continui cali di frame. Nel passaggio dal genere survival ad uno più avventuroso e narrativo, qualcuno deve essersi scordato di rimuovere le barre di sonno, sete e fame, che risultano del tutto inutili ai fini di gioco: anche se dovessero svuotarsi completamente, non portano in alcun modo alla morte, e si ottengono invece alcuni malus alle statistiche così insignificanti che non ci si accorge nemmeno della loro presenza. Sempre dalla sua prima incarnazione di survival ci resta il sistema di crafting, che invece si rivela particolarmente utile per craftare medicinali, grimaldelli o bombe.

Il vero cuore del gameplay però è lo stealth, mezzo con il quale ci ritroveremo ad affronteremo tutte le missioni, anche a causa di un sistema di combattimento corpo a corpo legnoso e impreciso che ci farà desistere da un approccio più aggressivo. Non che lo stealth sia molto meglio, ma se si considera che l’intelligenza artificiale non è particolarmente brillante, è facile intuire quale sia il metodo più semplice e rapido per risolvere le missioni. Oltre ai classici nascondigli, ci troveremo a dover scegliere vari capi di abbigliamento da indossare per conformarci con l’ambiente che ci circonda, in modo da non essere visti come nemici, e quando gireremo per la città sarà necessario assumere la Gioia per non venire accusati di essere dei musoni, e bisognerà tenere sempre sotto controllo gli effetti collaterali che potrebbero portarci all’intolleranza dalla sostanza. Peccato che tutto questo vada a perdersi nel momento in cui ci ritroviamo a camminare davanti NPC che non si accorgono minimamente della nostra presenza, tranne ovviamente in cui per sbaglio premiamo il tasto per saltare o quello per abbassarci, situazione in cui ci ritroviamo circondati dall’intera città pronta ad ucciderci. Poco male, rispawneremo nelle vicinanze, senza aver perso nulla e lasciando attivi tutti i progressi raggiunti, come porte scassinate o trappole disattivate. Tra le tante cose superflue vi è anche un albero delle abilità, di cui è facile dimenticarsi la presenza dato che l’impatto sul gioco è davvero minimo.  

We Happy Bug

L’isola di Wellington Wells resta comunque un luogo affascinante, ricco di segreti ed easter eggs da scoprire. Nonostante la cura iniziale riposta, ci si accorge velocemente come tutti i modelli siano stati riciclati fino alla nausea, creando una ripetitività visiva che conduce ad un pesante senso di ripetitività. Capiterà molte volte di trovarsi ad aprire la mappa chiedendosi se si stia girando in tondo, per scoprire che si è svoltati soltanto ad un angolo. A peggiorare il senso di confusione resta dall’accesso anticipato un sistema di generazione procedurale che si avvia solo tra il passaggio da un protagonista all’altro e che rimescola completamente le zone della città, nonostante dovrebbe essere la stessa per tutti e tre i personaggi.

Oltre alla pessima ottimizzazione poi non mancano i glitch e i bug, e ce n’è per tutti i gusti, da persone che improvvisamente prendono il volo a nemici che improvvisamente si stufano di picchiarti e rimangono lì fermi a fissarti. Questi problemi si verificano tanto su PC quanto su console.

Verdetto

We Happy Few merita di essere giocato soltanto per esplorare la meravigliosa distopia che è stata creata, ma necessita al più presto di una patch che risolva tutti i problemi tecnici presenti per essere quanto meno goduto tranquillamente. Certo, tutto questo sempre se si può chiudere un occhio sul gameplay riduttivo. È davvero un peccato vedere tutto questo potenziale andare così sprecato, colpa forse di una troppa fretta nel far uscire il gioco o nel percorso di sviluppo che ha visto troppi cambiamenti drastici in un così breve periodo.

 

Se vi stuzzica We Happy Few…

Se si parla di distopie nel mondo dei videogiochi non si può non parlare della magnifica trilogia di BioShock, che potrete recuperare integralmente con BioShock: The Collection, mentre se cercate meccaniche stealth in prima persona, allora Dishonored ,e il suo seguito Dishonored 2, sono la vostra scelta.

 

 

Mattia Alfani
Nato a Pescara nel'94 e diplomato in sceneggiatura alla Scuola Internazionale di Comics, dice di essere un grande appassionato di fumetti, videogiochi, cinema e serie tv, ma in realtà adora tutto ciò che è in grado di raccontare una storia, anche un semplice sasso. Ancora meglio poi se queste storie sono fantasy, horror o supereroistiche. Attualmente è alla ricerca della sua strada, saltando tra un università e l'altra, e nel frattempo da sfogo alle sue passioni scrivendone e condividendole su internet. Il suo modello di riferimento è il Dottore. Critico di natura ma non di professione, vorrebbe un mondo tutto suo, ma per ora si accontenta di quelli nei fumetti.