Wolfenstein: Youngblood è il quarto tassello della distopia di MachineGames. Parigi, anni Ottanta, nazisti… il mix funziona?

La presente generazione è stata ottima per id Software, che è riuscita a rilanciare quasi tutti i suoi brand principali, ad eccezione di Quake. La chiave del successo è stata occuparsi direttamente di uno, del più importante, cioè Doom, affidando ad altri le serie di Rage e Wolfenstein. Nel primo caso le cose sono andate abbastanza bene, come vi ho raccontato due mesi fa, mentre nel secondo è andata addirittura benissimo: MachineGames ha realizzato un ciclo di reboot avvincente (e tamarrissimo) e ludicamente bilanciato. Questo ciclo attualmente si compone di due episodi principali e due spin-off, tra cui il presente Youngblood, ma è già in sviluppo il terzo capitolo, che dovrebbe concludere la storia di William Blazkowicz, o meglio, di questo William Blazkowicz.

Purtroppo, come mi appresto a illustrarvi, questa volta MachineGames ha fatto un mezzo passo falso e ha sfornato uno spin-off qualitativamente inferiore al predecessore, il consigliatissimo The Old Blood.

Youngblood for two

La grande innovazione pensata per questo spin-off è la modalità cooperativa drop in/ drop out (solo online): l’intera avventura viene vissuta nei panni di Jess o di Soph Blazkowicz, a scelta; l’altra gemella sarà controllata da un altro giocatore umano (che potrebbe essere anche un vostro amico privo del gioco, se disponete del Buddy Pass incluso nella Deluxe Edition) oppure da un’I.A. non  proprio brillante. E qui arriviamo subito alla prima pecca di Youngblood: va da sé che sarebbe opportuno affrontarlo in cooperativa, ma non si possono ignorare così i giocatori solitari, che peraltro costituiscono la maggioranza dell’utenza di Wolfenstein. Il vostro alleato può vanificare gli approcci furtivi oppure morire in un posto pericolosissimo, rendendo un suicidio l’operazione di resurrezione, che è necessaria, visto che le vite (fino a tre) sono in condivisione. E non ci sono più i checkpoint…

Youngblood

Anche a tacere di questo problema e supponendo che venga giocato in cooperativa, Youngblood non spicca, perché di base è un titolo single player affrontato da due persone: non esistono vere e proprie meccaniche di gameplay pensate per due giocatori, oltre alle banalissime porte o casse che si devono aprire in due. Certo, il level design è molto interessante (immagino grazie al contributo di Arkane Studios), ricco com’è di piani e di passaggi più o meno segreti, ma comunque raramente i livelli sono così ampi da invogliare i giocatori a diversificare i percorsi, anche perché non è opportuno essere troppo lontani a causa del succitato meccanismo di resurrezione.

Youngblood versus Nazis

Anche sul piano narrativo e della sceneggiatura Youngblood dà adito a qualche lamentela. Il gioco ci mette nei panni del “sangue giovane”, cioè delle figlie di William Blazkowicz, nate poco dopo gli eventi di Wolfenstein II: The New Colossus. Rispetto a quest’ultimo, è stato fatto un balzo in avanti di quasi vent’anni, che ci consente di ammirare le nuove tecnologie sviluppate dai nazisti (che nel frattempo hanno continuato a dominare l’Europa, nonostante la perdita degli Stati Uniti) in un setting distopico decisamente affascinante e del tutto inedito, cioè Neo Parigi nel 1980.

Youngblood

Ancora una volta va apprezzato lo sforzo di creare un contesto “storico” molto ricco, anche attraverso la lore, usualmente non troppo sviluppata in ambito FPS. Come i predecessori, Youngblood è disseminato di collectible, alcuni dei quali sono delle vere e proprie chicche, come le cassette UVK (che ricordano le vecchie VHS) di 25 film di propaganda nazista, ma anche i più “banali” articoli di giornale, che ci aiutano nella ricostruzione di questo affascinante universo retrofuturista.

Fin qui tutto bene. Peccato che la trama sia banale e affrettata, inconsistente per la prima metà e scontata nella seconda. Stiamo parlando di uno sparatutto in prima persona, per carità, quindi non è il caso di lamentarsene troppo; tuttavia la serie ci ha abituato decisamente meglio, regalando anche delle scene assurde ed esaltanti (l’incontro con Hitler su Venere è qualcosa di eccezionale, NdR), che invece latitano in Youngblood.

Youngblood

Infine, bisogna notare un abbassamento generale del livello di carisma: il buon vecchio Terror Billy da solo “regge il palco” molto meglio delle sue figliolette teenager, poco credibili (non che Wolfenstein cerchi di essere credibile, beninteso) e poco adatte al ruolo, così come la loro amica Abby, figlia di Grace Walker, uno dei personaggi di spicco di The New Colossus. Non aiuta la sceneggiatura, sicuramente un passo indietro rispetto al passato sia per ricchezza, sia per scrittura.

La componente RPG

Anche sul piano ludico, MachineGames ha deciso di osare un po’, ma ha fatto meno danni, soprattutto perché il gunplay è rimasto pressoché invariato. Ciò che è cambiato è tutto il resto, visto che gli sviluppatori hanno voluto sperimentare una contaminazione RPG: uccidendo i nemici si raccoglie esperienza e loot (monete d’argento), che servono rispettivamente per salire di livello – acquisendo così punti abilità da spendere negli skill tree – e per potenziare le armi.

I vantaggi in termini di personalizzazione che garantisce questo sistema (tenendo conto che comunque i sistemi di perk utilizzati dai predecessori non erano perfetti) sono in parte controbilanciati da alcuni inconvenienti, che in parte riverberano anche sul gunplay, seppur indirettamente: ad esempio, in uno sparatutto “coi numeretti” l’headshot viene obliterato, contribuendo a rendere il gameplay meno frenetico e skill-based, assieme al sistema di debolezze dei nemici (non che nei predecessori non ci fossero armi più efficaci di altre per determinati tipi di avversari). E poi, personalmente, ho trovato abbastanza noioso andare in giro a raccogliere monetine sparse un po’ ovunque: ci sono già abbastanza collectible e munizioni, non serviva aggiungere un ulteriore elemento.

Un buco nell’acqua?

Giunto ormai al momento di tirare le somme, non mi sento di bocciare in toto Wolfenstein: Youngblood: è un FPS divertente, che mi ha intrattenuto quasi sempre piacevolmente per una dozzina di ore, fra missioni principali e secondarie (e non le ho fatte nemmeno tutte: ce ne sono in abbondanza). Solamente, quasi nessuna delle sperimentazioni mi è sembrata un miglioramento rispetto agli ottimi predecessori. Se avete un amico con cui giocare in cooperativa, il gioco vale la candela.

Giovanni Ormesi
Scrivo di videogiochi (più o meno bene) dal 2008, dopo una decina abbondante di anni passati fra le pagine delle bellissime riviste cartacee, che purtroppo si sono perse con il tempo e con il progresso. Oltre ai videogame, sono anche un buon lettore, specialmente – per quanto attiene all'ambito nerd – di Dylan Dog. Nel bene e nel male.