Guadagnino ora piace a tutti?

Che regista particolare Guadagnino.
Il suo cinema, come spesso accade per artisti un po’ eccentrici e costantemente fuori dagli standard, vive e si crogiola in un perenne limbo in cui convivono amanti e detrattori.
Chiamami col tuo nome (nelle sale dal 25 gennaio), di recente candidato all’Oscar come miglior film e nominato anche in altre tre categorie, può essere il lavoro in grado di far avvicinare questi due schieramenti, perché si tratta probabilmente del film più riuscito del regista siciliano.

Il paradosso più grande è che Luca Guadagnino riesca a farsi apprezzare portando all’estremo il suo cinema e la sua cifra stilistica. Questo film puzza di borghesia in maniera spropositata, dalla prima all’ultima scena, dal modo di vivere di questa famiglia che sembra collocato al di fuori dal tempo, in un luogo x e in una dimensione temporale che ci viene indicata con la data del 1983 ma che potrebbe essere prima, dopo, nei nostri giorni, in un’epoca indefinita. La famiglia Perlman si gode l’estate in questo paese del nord Italia, tra la musica, il vino, il sole, i tanti discorsi effimeri, anticonformisti, borghesucci, da Bettino Craxi ad Eraclito, da Bach alla filologia, con la servitù sempre al seguito.
L’atmosfera radical chic e per certi versi quasi bohemien permea tutta l’opera, delineando la cornice all’interno della quale prende vita il disegno Eakinsiano di Guadagnino.

Al di là di tutto questo, Chiamami col tuo nome è indubbiamente una storia d’amore, forte, viscerale, in cui c’è tanta carne e tanta passione, la scoperta di un proprio lato della sessualità da parte del protagonista Elio (un grandissimo Timothée Chalamet, candidato all’Oscar) ma anche e soprattutto della sessualità in senso generale. Con l’interpretazione di Chalamet scopriamo un attore vero, ben più maturo di quanto dimostri la sua carta d’identità e che conferma quanto di buono si era già visto nelle sue precedenti performance. Lanciato in un certo senso da Nolan con Interstellar, abbiamo poi avuto modo di apprezzarlo timidamente in Hostiles durante il Festival di Roma 2017 e successivamente in Lady Bird. Qui invece il grande ruolo, di vera responsabilità, a cui Chalamet risponde presente, prendendo spunto dalle precedenti interpretazioni un po’ compassate, da quell’animo oscuro e quel modo di parlare e lo sguardo da rockstar consumata che ci aveva colpito in Lady Bird, ma che ci sembrava a tratti forzato. In Call me by your name emerge invece tutta la naturalezza del suo saper stare in scena, probabilmente anche per i meriti di Guadagnino, uno che sul set lascia molta libertà di azione agli attori, i quali cercano il proprio equilibrio e la propria dimensione, come nel caso di Chalamet, che è a proprio agio col suo Elio, muovendosi dinoccolato e danzante, regalandoci una perfomance autentica e credibile di un 17enne alla scoperta di se stesso.

Il lavoro attuato sullo script da Guadagnino e James Ivory, che hanno adattato per il grande schermo il romanzo di successo di André Aciman è corposo e fondamentale, anche se di certo partire da una base così importante abbia facilitato il tutto.
Il racconto incredibile del delicato momento della vita di Elio affonda le sue radici in quella dimensione un po’ senza tempo a cui abbiamo accennato prima, dove Guadagnino è abile ad inserirsi, descrivendoci il particolare rapporto del ragazzo con la sua famiglia, molto comprensiva, persino troppo per i tempi in cui è l’opera è ambientata, ma che ci consente di capire appieno i desideri e i tormenti del giovane ed anche quelli della controparte, cioè Oliver (Armie Hammer).

Nella fase conclusiva del film, il discorso di Michael Stuhlbarg a suo figlio Elio raggiunge un picco emozionale disarmante, struggente, mostrandoci anche la vera natura di un personaggio, quello di Lyle (Stuhlbarg, appunto) che fino a quel momento ci sembrava un padre quasi insignificante e fuori contesto, e che ora appare come un uomo incredibilmente saggio e dalle spiccate doti umane e comprensive. Il messaggio di Lyle abbraccia tutti gli esseri umani, uscendo da qualsiasi tipo di categoria, etichetta, genere, orientamento sessuale, perché ognuno di certo potrà riconoscersi in quelle parole e forse persino imparare qualcosa.

La fantastica colonna sonora in cui spiccano i brani di Sufjan Stevens (Mistery of Love è anche nominata agli Oscar nella categoria Miglior Canzone) accompagna le nostre riflessioni dopo un simile intenso discorso, mentre ragioniamo sulla bancarotta delle nostre emozioni e magari in un sussulto comprendiamo di volerci riprendere quelle che ci meritiamo, senza soffocarne nessuna, nemmeno la sofferenza, e cercando di fare in modo che il nostro cuore non sia esausto, ma che batta ancora.

Con la sua natura boriosa, Chiamami col tuo nome è un film che di certo non piacerà a tutti, qualcuno lo troverà esagerato nelle sue ostentazioni, qualcun altro potrebbe restarne persino infastidito. Ma probabilmente saranno molti meno di quelli che avevano detestato l’animo snob del suo A Bigger Splash, pur se a dirla tutta il film risente a tratti dell’eccessiva durata, laddove Guadagnino avrebbe potuto probabilmente limare un po’ di estetismi. Non l’ha fatto consapevolmente, poiché il suo obiettivo era quello di mostrare fino alla fine questa travolgente passione, e nei momenti un po’ piatti riesce comunque a stupirci con dei guizzi che ci destabilizzano e ci sconquassano, come appunto il famoso discorso del padre o la scena conclusiva del film, di una potenza riflessiva immane. Non sarà quindi il film che unirà chi ama e chi detesta Guadagnino, ma se non altro riuscirà ad avvicinare le parti.

chiamami col tuo nome recensione

Verdetto:

Chiamami col tuo nome è probabilmente il film più riuscito di Luca Guadagnino, e lo testimoniamo le 4 nomination ricevute agli Oscar 2018. La sua natura fortemente radical chic e borghese pervade l’opera, con un’atmosfera che ci porta quasi fuori dal tempo, ma paradossalmente riesce a far amare questo film anche da chi solitamente non apprezza Guadagnino, e questo grazie alla travolgente e passionale storia d’amore che supera ogni concezione e ogni etichetta, tra interpretazioni incredibili e guizzi registici. Forse in qualche frangente tutto sembra un po’ “troppo”, e persino in termini di durata complessiva, ma c’è sempre qualcosa di buono e inaspettato che alla fine ci fa riappacificare con Guadagnino.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.