Il suono illumina il cammino nel nuovo atipico survival horror di Gattai Games

Al sempre più ricco e sperimentale parco titoli per PlayStation VR si aggiunge l’ultima opera di Gattai Games, che prova a dare una nuova interpretazione del genere horror in prima persona con Stifled.

La cosa che più colpisce di questo gioco fin da subito è la fondamentale funzione del sonoro, che viene utilizzato nel gameplay in una maniera del tutto inedita. La storia che ci mette nei panni di un misterioso personaggio, comincia in maniera pacata nel mezzo della stanza da letto della sua abitazione. La prima cosa di cui ci rendiamo conto è che l’ambiente circostante è annebbiato, ma questo si materializza con l’incedere delle onde sonore provocate o dai rumori interni al gioco stesso, come per esempio i passi del protagonista, oppure dalla nostra voce.

Stifled infatti permette di sfruttare uno dei microfoni della console, riconoscendo l’intensità del nostro parlato. Più sarà di volume alto, più sarà larga la diramazione dell’onda che svelerà momentaneamente i dettagli delle stanze e dei corridoi in cui ci muoveremo. Naturalmente, non è obbligatorio ricorrere al microfono, ma si potrà sostituire il nostro input vocale con alcune esclamazioni più o meno forti attivabili con un grilletto del pad. Dopo una breve introduzione, molto criptica, che permette di intuire tramite vari dettagli ricavati in giro per la casa la situazione narrativa (in maniera estremamente parziale e poco chiara), veniamo catapultati in un mondo oscuro. Letteralmente oscuro. Non vedremo assolutamente nulla finché non provocheremo un rumore o un suono, come detto precedentemente, che evidenzi parte della location. A differenza del prologo nella casa, che intervallerà le sezioni di gioco vero e proprio, tornando come ambientazione reale sovente in brevi fasi di pura esplorazione alla ricerca di indizi che in qualche modo rivelino il contesto del gioco e ne facciano progredire la trama (niente di speciale purtroppo), in questo scenario totalmente avvolto dalle tenebre, l’unica cosa che potremo svelare saranno i contorni delle strutture e degli elementi sullo schermo.

Questi non solo ci indicheranno la via altrimenti totalmente invisibile, ma in qualche modo ci permetteranno di intuire la natura del posto in cui troviamo. In questo modo, in maniera estremamente lineare, attraverseremo quello che sembra un impianto fognario, un complesso di grotte, l’interno di una nave e un altro paio di location più o meno surreali. L’inquietudine generata da questi ambienti totalmente impalpabili viene accentuata dalla presenza di indefinite creature, che nel corso del gioco assumeranno diverse forme e si aggireranno intorno a noi. Esse sono altrettanto invisibili e l’unico modo per individuarne la presenza è produrre dei rumori che però, come rovescio della medaglia, le allerteranno e le attireranno verso di noi. Come procedere quindi senza collidere con questi macabri mostri e di conseguenza perire? Le strade sono sostanzialmente due, non esistendo nessuna forma concreta di difesa. La prima è non provocare rumori, e quindi muoversi accucciati con passi più leggeri cercando al contempo solo di sussurrare, per svelare unicamente pochi metri di strada intorno a noi e permetterci di orientarci. Molto spesso questo non è possibile perché il gioco ci mette di fronte a percorsi troppo stretti, a terreni rumorosi o ci costringere a camminare sull’acqua. Tutte situazioni in cui è impossibile non farsi sentire.

Qui entra in gioco l’unica meccanica vera e propria di Stifled, ovvero il lancio di  un oggetto come diversivo. Troveremo infatti a terra pietre o altri oggetti con cui è possibile interagire, da raccogliere. Lanciandoli a distanza potremmo allontanare le disturbanti creature per poter procedere. A volte poi dovremmo anche girare delle leve o perdere alcuni istanti per azionare congegni i quali a loro volta attirano l’attenzione con i rumori provocati dal loro movimento. Inutile dire che la strategia sarà sempre la stessa: agire nel momento in cui le minacciose sagome rosse sono ben distanti da noi grazie al nostro operato, o semplicemente attendendo che la loro ronda li porti a distanza di sicurezza. Come detto a queste sezioni, si alternano costantemente spezzoni nel mondo “reale” in cui non dovremmo far altro che raccogliere foto, documenti e oggetti per far progredire le speculazioni del protagonista, il quale, pur essendo un tipo di poche parole, pian piano riuscirà a farci avere un quadro complessivo di una situazione che fino all’epilogo rimarrà comunque altamente surreale e impalpabile.

Verdetto

È chiaro come lo scopo di Stifled sia quello di trovare una nuova formula per spaventare il giocatore, focalizzandosi al 100% su due fattori. La paura dell’ignoto, più che mai potenziato dalla stessa struttura di gioco che letteralmente ci nasconde quasi completamente qualsiasi input visivo, e l’inquietudine provocata da un comparto sonoro non solo come spiegato parte attiva del gameplay, ma anche prezioso espediente per creare tensione. I mostri, le creature, o come vogliamo chiamare le minacce che si porranno dinnanzi al nostro camino, non spaventano più di tanto a livello visivo. Esse sono infatti troppo indefinite e poco sviluppate per crearci una reale sensazione di ansia, sia per quel che riguarda le animazioni, veramente dozzinali, sia nella loro intelligenza artificiale, praticamente inesistente (reagiscono in maniera totalmente automatica ai rumori e nient’altro). Allo stesso tempo però strillano, si lamentano e generano dei suoni veramente raggelanti che non potranno non farvi salire un brivido lungo la schiena, almeno durante le prime apparizioni. Il problema di Stifled però è che da uno stile originale e un gameplay interessante, riesce a tirare fuori un’avventura surreale che sfrutta veramente troppo poco le proprie potenzialità. Il gioco è veramente molto breve, in 3 o 4 ore lo finirete. Per quanto si affidi come avrete ormai intuito, sulla suggestione creata dal suo comparto estetico minimalista, fa veramente troppo poco a livello visivo per immergerci nel mondo creato, anche in VR. Inoltre, il gameplay risulta ridotto all’osso e porta a situazioni così ripetitive e superficiali, che smorzano per forza anche un pochino l’atmosfera, facendoci sentire tutta la sua artificiosità. Eppure, l’idea non è davvero niente male e tutto sommato, vista la brevità dell’esperienza, si riesce comunque ad apprezzare il concept creato fino al suo finale, che giunge troppo presto perché ci si possa dire veramente stufi o annoiati dalle dinamiche di gioco. Sicuramente consigliato agli amanti dei giochi horror e a chi ha PlayStation VR, con cui banalmente dà il meglio di sé in quanto a immersione. Se non amate particolarmente il genere e dovete giocarlo in maniera tradizionale sullo schermo della tv invece, penso possiate tranquillamente rinunciare.

 

 

 

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!