In vista dell’ARF! 2019, ormai prossimo, abbiamo intervistato Vinci Cardona e Kalina Muhova, vincitori dello scorso Premio Bartoli, riconoscimento che, in onore del compianto fumettista Lorenzo Bartoli, viene assegnato ogni anno al migliore (o ai migliori, come nel caso del 2018) esordiente, e come di consueto il premio è offerto da Stay Nerd, che crede fermamente in questa iniziativa.

A distanza di circa un anno, eccoci quindi di nuovo di fronte ai due vincitori del 2018. Iniziamo con un po’ di domande rivolte ad entrambi, sia a Vinci Cardona sia a Kalina Muhova.

 

È passato un anno da quando hai vinto il Premio Bartoli… Cos’è cambiato, per te, da quella importante vittoria?

Cardona:

Un po’ tutto… Per me Black Gospel e il Bartoli sono coincisi con una stagione molto positiva e piena di stimoli. Ora che l’adrenalina è tornata a livelli normali, cerco di trovare le radici di quei buoni risultati, restare umile e migliorare il mio rapporto con il medium. Prima dell’esordio si ragiona in modo diverso, forse meno sicuro, ma l’incertezza porta al coraggio e mi piacerebbe mantenere quel tipo di approccio anche coi progetti futuri.

Muhova:

Nell’arco di un anno ho cambiato casa tre volte, ho finito i miei studi, ho pubblicato un altro libro, ho iniziato nuovi progetti e nel frattempo, credo di aver capito un po’ meglio cosa voglio fare con la mia vita.

cardona muhova

Come ti ha aiutato il Premio Bartoli nella tua carriera?

Cardona:

Arf ha nominato per il Premio Bartoli matite e teste che ammiro tantissimo, a partire da Kalina Muhova con cui ho condiviso il premio: vedere il proprio nome affiancato a quello di gente così tira su il morale anche nei momenti bui, e questo è un grande aiuto. Il premio in denaro poi, non meno importante, dimostra che un investimento emotivo è corrisposto da una considerazione di merito, un contributo reale. Fare i fumetti è difficile, ed è bello quando qualcuno ti aiuta con le parole e con i fatti.

Muhova:

Di sicuro è stato un momento importante per me. Non mi aspettavo minimamente un riconoscimento del genere e mi sono stupita di vedere che qualcuno ha letto il mio libro e gli è pure piaciuto (talmente tanto da premiarlo)! Questo, se non altro, mi ha stimolato a lavorare sulle mie cose con più tranquillità e un po’ meno paranoie esistenziali del solito.

Come ti senti pensando all’idea che i tuoi disegni verranno esposti in una cornice prestigiosa come quella della mostra annuale di ARF?

Cardona:

Sono molto onorato! Spero restituiscano l’idea di tante cose che ho iniziato, cercando di donare a ognuna una sua rotondità e un suo stile. Il denominatore comune resta l’amore per ciascuna storia, ciascuna trama che mi ha tenuto sveglio e contento anche quando non c’era speranza di trasformare quell’ispirazione in un libro intero.

Muhova:

Mi rende molto felice.

Parlaci del tuo percorso: cosa c’è di diverso da quando hai iniziato, da quando eri una giovane promessa piena di belle speranze, rispetto ad adesso? Senti ti aver finalmente lasciato il nido?

Cardona:

No! Il nido è ancora lì. Cerco di essere molto sincero su questo aspetto. L’ultimo periodo è stato un po’ critico per tanti motivi che vanno fuori dal fumetto e questo ovviamente si è riflesso sul mio modo di intendere il lavoro. Sono ancora molto giovane e se mi monto la testa adesso è finita. Mi serve considerarmi ancora uno studente, un allievo. Rispetto all’inizio ho guadagnato un po’ di contesto in più, e forse un po’ di furbizia (manco troppa), ma il fumetto è una cosa che voglio fare per tutta la vita e quindi mollare il nido ma non basta, devo pure imparare a costruirne di nuovi!

Muhova:

Ho iniziato più meno 14 anni fa, dopo aver capito che non riceverò mai la lettera di Hogwarts e che è meglio che mi trovo qualche altra soluzione adatta a una babbana come me. Ho deciso di buttarmi sull’arte, perché mi sembrava la materia più vicina alla magia (e lo è ancora per me). Ho fatto il Liceo Nazionale di Belle Arti a Sofia, che è molto diverso dall’idea di liceo artistico qua in Italia. Facevamo tutto alla vecchia maniera, l’insegnamento era basato sulla tecnica e sul realismo. Lì ho imparato a disegnare “bene”, ma questo sinceramente non mi bastava. Mi sono stufata di questo accademismo e mi andava di viaggiare, quindi ho deciso di spostarmi altrove per continuare i miei studi. Mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti di Bologna e mi sento molto felice di averlo fatto. Qui ho fatto sia il triennio che il biennio e questo percorso mi ha aiutato a capire che a parte il disegno bello ci sono altre cose ancora più importanti.
Riguardo la tua domanda, mi sento ancora giovane e piuttosto speranzosa, ma poi si vedrà.

cardona muhova

Che clima c’è, secondo te, intorno agli autori esordienti? Mai come oggi il mercato del fumetto sembra aperto a stili e storie differenti e personali. È un buon momento per provarci?

Cardona:

È un buon momento per leggere e capire cose che magari una generazione fa erano per pochi iniziati. Anche attraverso mostre come Arf, un esordiente può sentire tutte le campane e capire che tipo di lavoro vuole fare avendo a disposizione diversità e qualità nella stessa misura. La fretta però è una bestia nera, per me di sicuro, e se si vuole uscire con un libro bisogna confrontarsi con l’amore che si sente per la storia, che poi è quello che ti permette davvero di lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Con Black Gospel l’ho vissuta così. Non si deve essere per forza così drammatici, ovviamente, ma a me un po’ di slancio amoroso è servito.

Muhova:

Io trovo l’aria che si respira qua molto stimolante. Mi piace circondarmi di altri autori esordienti (e non) per condividere opinioni e storie, ispirarsi a vicenda e creare qualcosa insieme. In effetti, per me, Italia è il posto perfetto per questo ed è uno dei motivi per cui sono tornata qua. Un buon momento per provarci non so se esiste, basta fare quello che ci diverte di più e farlo con costanza.

Parlaci dell’opera con cui hai vinto il premio. Ormai hai raggiunto uno stile molto personale, sia nella scrittura che nella impostazione della tavola e del disegno. Ci sono degli autori in particolare a cui ti ispiri, sia per l’uno che per l’altro?

Cardona:

Uno riassume entrambe: sto sotto con Christophe Blain. Me lo guardo sempre, l’ho fatto durante Black Gospel e lo faccio adesso. Per scrittura, regia e colore (vedi “La rivolta di Hopfrog”!) è uno dei miei autori preferiti: il linguaggio del fumetto al suo massimo. Io non gli somiglio molto, ma questo è bene credo, non sono ancora un imitatore. Forse a posteriore, “Black Gospel” aveva qualcosa in comune con “La rivolta” a livello tematico… ma Blain è infinitamente più buffo, più leggero, più compiuto. D’altra parte è un Maestro! La mia idea di Maestro, quantomeno.

Muhova:

“Sofia dell’Oceano” è stato un progetto a cui mi sono affezionata da subito e che ho realizzato insieme allo scrittore Marco Nucci. È una storia d’avventura classica, con scene sia drammatiche che comiche, personaggi sia buffi che cattivi. Il mondo di Sofia è un mondo immerso nell’acqua, dove abbiamo vissuto per un bel po’ di tempo con Marco. Ogni tanto mi viene voglia di tornarci.
Ormai hai raggiunto uno stile molto personale, sia nella scrittura che nella impostazione della tavola e del disegno. Ci sono degli autori in particolare a cui ti ispiri, sia per l’uno che per l’altro?
Vado a periodi. Mi fisso tanto con qualche autore finché non divoro tutto quello che riesco a trovare di suo. Le mie ultime ossessioni sono stati Nadine Redlich, Matticchio, Miriam Elia, Tommy Parrish, Isabelle Arsenaut, Daniel Handler, Terry Pratchet, Jean Pierre Janet, Jillian Tamaki e Camus. Adesso sono in una fase Taika Waititi, ho recuperato tutti i suoi film e corti. Lui scrive proprio il tipo di storie che vorrei fare io!

cardona muhova

Ti piace più scrivere o disegnare? Cosa vuol dire, per te, essere un autore completo?

Cardona:

Ho periodi in cui non faccio che scrivere, e non solo per il fumetto. È la parte più prepotente all’interno del processo, ma non significa sia la più importante. Disegno e colore per me sono un po’ il Gatto e la Volpe. La storia è sempre Mangiafuoco. Essere un autore completo significa essere un po’ Pinocchi e farsi fregare da questo e da quello finché le cose non hanno un senso. Non è un ruolo felice. Ma alla fine si diventa bambini veri!

Muhova:

Essere un autore completo per me è pretendere totale responsabilità di quello che fai. Non è una cosa facile. Però poi il risultato finale, se è positivo, ti dà più soddisfazione, perché è tutto merito tuo. Se le cose invece vanno male, è sempre merito tuo e qua anche la delusione è più grande (rispetto a lavorare con qualcun altro e avere la possibilità di scambiarsi la colpa a vicenda).

C’è qualche autore, disegnatore o sceneggiatore, con cui ti piacerebbe collaborare? Uno che senti particolarmente nelle tue corde o che ti piace come lavora?

Cardona:

Nomino due irraggiungibili: uno è Bilotta, che con Mercurio Loi ha giocato a pallone in un cortile in cui il pallone te lo bucano le vecchie. E poi in Francia Neijib. Stupor Mundi l’ho anche messo nella mia tesi di laurea, è un libro che mi è piaciuto tantissimo e se potessi disegnare anche solo una vignetta scritta da lui, o lui una scritta da me, schiatterei felice.

Muhova:

Quasi tutti quelli che ho citato prima tra i miei riferimenti sono vivi e non mi dispiacerebbe per niente farci qualcosa di insieme un giorno. Chissà.

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Vinci Cardona

Concentriamoci invece adesso sui singoli, e rivolgiamo qualche domanda a Vinci Cardone poi a Kalina Muhova.
Partiamo da Cardona:

Black Gospel ha fatto molto rumore, anche al di fuori del Premio Bartoli, tant’è che è stato nominato come libro del mese da Games Academy e ha contributo molt a considerarti ben più di una giovane promessa dalle belle speranze. Senti un po’ la pressione? Ti aspettavi questo successo?

Black Gospel è stato un salto di fede. Con Giovanna D’Arco invece ho fatto tutto in un lampo, anche se a detta di molti non era adatto per l’Italia: l’ho fatto lo stesso ed è stato un regalo fatto a me per primo, oltre a chi ha avuto piacere nel leggerlo. Ultimamente la pressione è salita e ho deciso di prendermi un po’ di tempo per me. Come ho detto all’inizio, sto recuperando il rapporto col linguaggio insieme a un po’ di quella mentalità da “studente”. Per fortuna sono partito presto, e non ho rimpianti su quello che ho fatto finora. Ci devo convivere tutta la vita con questa roba, quindi meglio impostare un rapporto basato sul piacere e non sull’aspettativa degli altri.

Black Gospel tratta il tema della religione in un modo non comune attraverso una forte ambientazione western, richiamando così alcuni dei topoi più celebri della letteratura che sono il tratto distintivo di autori come Cormac McCarthy, Micheal Blake e Elmore Leonard. Che visione hai della religione?

Sono un ateo osservatore, credo che questo si rifletta anche nelle storie. Mi piace giocare con quegli argomenti che di solito agli atei non interessano o che vengono trattati con sufficienza da chi non crede. Credo che religione e narrazione siano due tradizioni intrecciate dalla necessità di far entrare nel mondo reale qualcosa di indimostrabile, ma presente nella vita di tutti. A un certo livello, tradizione religiosa ed espressione narrativa sono state la medesima cosa per secoli e in tutte le culture: ora li abbiamo divisi superficialmente, ma autori come McCarthy dimostrano che il campo da gioco è rimasto lo stesso.

Inoltre, il western sta ritornando prepotentemente in auge anche in altri media come la televisione, il cinema e i videogiochi. Tu che rapporto hai con questo genere?

Si sta riesumando il genere, con profondità e sensibilità diverse. È divertente giocare con le ‘corrispondenze’, nel west, perché è un periodo storico alla base dell’epoca moderna e al tempo stesso ha ancora un’ingenuità romantica. Prendi Red Dead Redemption II, io sono un fan sfegatato e giocando mi ero accorto che certi conflitti fra i personaggi rimandavano al ciclo arturiano. Lo stesso protagonista si chiama Arthur Morgan, e il suo arco narrativo parla del paradosso del rappresentare due opposti, buono e cattivo, in un mondo in cui una mentalità romantica (quella della Frontiera) si scontra con una realtà moderna, non cavalleresca, senza dualismi. Alla fine del gioco questa ispirazione è dichiarata, e invece che appesantire la trama sottolinea quello che è già il tema portante. Un bel tocco.

Per Edizioni BD hai realizzato una storia breve inserita nell’Omnibus di Il Corvo: Memento Mori. Che effetto ti ha fatto prendere parte ad un simile progetto e confrontarti col capolavoro di James O’ Barr?

È stata una sfida. La vendetta è un sentimento strano, lo sentivo lontano da me, così ho dato una connotazione disumana alla mia protagonista, che è un’orsa, e subisce un’ingiustizia che non rientra nel ciclo naturale delle cose. Sono contento del risultato, perché O’ Barr è un autore generazionale che ha avuto grandissimo impatto e volevo dare un’interpretazione sincera della tematica che ha sempre trattato.

Dopo Black Gospel e la vittoria del Premio Bartoli non sei certo rimasto con le mani in mano. In particolare, si sta parlando molto del tuo prossimo progetto con Edizioni BD.
Cosa puoi dirci a riguardo?

Non sono rimasto con le mani in mano e anzi, ho lavorato a lungo (contemporaneamente ad altri progetti) a un nuovo libro per BD. Ma ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere su questo progetto che quindi rimarrà in pausa per qualche mese. Per fortuna Edizioni BD, che ormai è una seconda famiglia, mi sta assecondando con continuo interesse e mooolta pazienza. Mi spiace per chi si aspettava qualcosa di nuovo a Lucca di quest’anno, ma prima devo prendermi cura di altre cose e ho bisogno di farlo con più leggerezza e libertà possibile.

E invece, riguardo al tuo progetto su Giovanna D’Arco di cui hai pubblicato degli estratti in rete?

Amo il personaggio di Giovanna D’Arco. Dopo Black Gospel mi sono interessato alla sua storia e ho formulato una mia teoria su come fossero andate le cose, dividendo la storia in tre tomi. Poi ho realizzato il primo, senza pensarci, d’estate. Forse non avrebbe avuto vita editoriale in Italia, così dopo un po’ di tempo nel cassetto l’ho messo su internet, dove chi vuole può leggerlo e dirmi cosa ne pensa. Il titolo completo è “19 – une chanson pour Jeanne Darc”, e il sottotitolo rimanda alla canzone composta per Giovanna da Christine de Pizan, poetessa e storica di origini Italiane che alla fine del Trecento scrisse la prima utopia femminista, “La città delle donne”. La storia di Giovanna è circondata di elementi simili e spesso poco conosciuti.. spero di riuscire a realizzare i tomi successivi, in futuro. Chissà che non possano trovare un terreno di pubblicazione fertile proprio in Francia.

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Kalina Muhova

Passiamo ora alla Muhova.

L’anno scorso, le tue opere sono state selezionate per la mostra internazionale della Children’s Book Fair di Bologna, che è il più importante palcoscenico al mondo per l’editoria per ragazzi. Che effetto ti ha fatto essere al centro di un simile evento?

Ero anche la prima del mio paese di essere presente in quella mostra, infatti per me è stato un onore. Ero molto contenta.

Tu sei anche un’illustratrice di successo. Quali differenze ci sono tra fare l’illustratrice e disegnare fumetti? Come ti approcci al lavoro?

Il linguaggio del fumetto e il linguaggio dell’illustrazione sono due cose diverse, certo, però di base sono due modi di raccontare storie attraverso le immagini e il testo. Ho scoperto la loro esistenza pochi anni fa, quando mi sono trasferita a Bologna e ho imparato (sto ancora imparando) ad usarli nel modo “giusto”. Mi viene spesso da mischiarli, e non mi pongo tanti problemi sull’approccio. Per una tavola a fumetti mi ci vuole lo stesso impegno che per una tavola di illustrazione, anche se prima o poi mi piacerebbe trovare un modo di semplificare il mio segno e fare i fumetti un attimo più veloce.

Sei nata in Bulgaria e sei arrivata in Italia per completare i suoi studi. Come ti ha aiutato vivere in Italia a migliorarti e a crescere, umanamente e professionalmente?

Credo che viaggiare aiuti molto, specialmente agli artisti. Rimanendo sempre allo stesso posto, i riferimenti rimangono sempre gli stessi e diventa sempre più difficile uscirne e creare qualcosa di interessante.
Il fatto di viaggiare spesso da piccola, vivere qua, ma anche in Germania ha cambiato molte cose per me. Sono già un po’ di anni che me la cavo da sola e col tempo credo di aver, se non altro, accumulato abbastanza confidenza nella mia abilità di sopravvivere e adattarmi a ogni situazione (intendo in città, non sarei in grado di affrontare una situazione “Into the Wild”, per adesso). In Italia sono stata particolarmente fortunata perché nel contesto in cui mi trovavo ero circondata da gente molto colta e appassionata di libri. Sono riusciti a passarmi un bel po’ del loro entusiasmo e credo che senza loro non farei quello che sto facendo in questo momento.

Parlaci del libro con hai fatto per Tunuè, “Il balcone”. Da dove nasce lo spunto di guardare alla poetica di Atanas Dalchev, uno dei più celebri poeti bulgari di tutti i tempi?

Il libro è nato, principalmente, dalla collaborazione con Zornitsa Hristova, che è l’editor di Tochitza, la casa editrice bulgara per cui è uscito originalmente “Il Balcone”. Ci siamo incontrate alla Fiera del libro per Ragazzi nel 2016 e ci siamo messe a parlare dei bei libri che abbiamo visto lì, tra cui tanti silent book. Ci piacevano molto e alla fine eravamo tutte e due d’accordo sul fatto che un libro del genere manca proprio in Bulgaria. E così, abbiamo deciso di lavorare insieme. Zornitsa aveva già in mente un idea piuttosto precisa, ovvero partire da una poesia di Atanas Dalcev e sviluppare una storia parallela (ma comunque collegata) all’opera del poeta. Mi ricordo l’entusiasmo che ho provato quando lei mi ha proposto questo progetto: ho sempre voluto lavorare su un libro senza parole e poi, la poetica malinconica di Dalchev era molto vicino al mio mondo. Insomma, non potevo dire di no a questo punto.

La sensazione, leggendolo, è che tu abbia voluto esplorare, sia dal punto di vista filosofico che grafico, il tema del muro, un argomento che negli ultimi anni è al centro del dibattito pubblico. Secondo te viviamo nell’epoca dei muri o dei balconi?

Siamo in un epoca di balconi murati.

Parlaci dei tuoi prossimi progetti.

Vorrei provare di fare qualcosa di totalmente mio, anche se la cosa mi spaventa non poco. Ho qualche idea per un fumetto e un albo senza parole. Non dico niente di più, perché è tutto piuttosto incerto, come anche il resto.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!