Il romanzo La saga di Geirmund si inscrive nella tradizione crossmediale di Assassin’s Creed, con qualche inciampo e molta curiosità.

Al di là del primo, rivoluzionario capitolo, il brand di Assassin’s Creed è sempre stato caratterizzato dall’uso, da parte di Ubisoft, di tutte le forme espressive a disposizione dei moderni produttori creativi. Dai libri ai cortometraggi, dai giochi ai fumetti, passando persino da pubblicità e applicazioni dei social network, l’universo della millenaria lotta tra Assassini e Templari è stato espanso in varie direzioni e usando mezzi molto diversi tra loro, cercando di estrarne il massimo possibile nel tentativo di restituire al fan un mondo in cui immergersi completamente. L’ultimo romanzo dedicato alla serie, “La saga di Geirmund“, si inserisce proprio in questa tradizione.

Il romanza narra la storia di Geirmund Hjörrsson e delle “Pellacce di Hel”, e del loro tentativo di mostrarsi degne di gloria agli occhi del grande Guthrum, che incontriamo in vari momenti anche in versione videoludica nell’ultimo capitolo della saga. Infatti, le parti centrali e finali del libro si sviluppano in parallelo con gli eventi del gioco, e nel testo incontreremo anche la stessa Eivor (che nel romanzo è una donna): la lettura del libro serve dunque da potenziale risposta alle domande che chi gioca si può esser posto mentre incontrava Guthrum, Halfdan o altri personaggi.

Il compito che intende svolgere il romanzo sembra dunque essere quello di fungere da “collezionabile” edulcorato, piuttosto che da contributo autonomo della saga. Sia chiaro, il libro è leggibile e comprensibile nella sua interessa senza dover attingere alle informazioni del gioco (anche se si deve dare per scontata almeno una minima conoscenza dei cardini della saga, soprattutto nelle fasi finali del testo), ma in generale leggendolo si ha la sensazione di intuire una sorta di “tendenza” verso la creazione di ipotesi, dubbi e curiosità per chi non ha giocato Valhalla, e di risposte, aneddoti e riferimenti per chi invece lo ha completato.In qualche modo questa sua natura di oggetto parallelo e complementare al gioco si manifesta nella quasi identica sovrapposizione dei destini familiari dei protagonisti, Eivor e Geirmund: un dramma familiare ne spezza la (monotona) quotidianità, obbligandoli o spingendoli verso una esaltante (prima) e terribile (poi) lotta per il potere, l’onore e la gloria. Anche l’elemento mistico/magico (che il fan della saga saprà inserire nel “realismo” che caratterizza il brand) diventa strumento di turbamento dell’equilibrio e di scoperta di una natura interiore diversa da quella di chi li circonda: come per Valhalla con Eivor, anche La saga di Geirmund ci mostra un protagonista che, abbracciando gli stili di vita norreni, impara a metterli in discussione.

Inoltre, c’è anche da considerare la firma che ha dato i natali alla produzione: dopo aver lavorato alla trilogia di romanzi The Last Descendants e a uno spin off a fumetti, Matthew Kirby mostra di saper gestire la materia trattata, sia in termini puramente qualitativi che (cosa ben più importante per un prodotto simile) di coerenza al brand. Chiaro, non troverete Ursula K. Le Guin tra le pagine de La saga di Geirmund, ma non è questo l’obiettivo del testo.

Complessivamente, dunque, La saga di Geirmund propone un testo che può essere vissuto nella sua intenzione originale solo se accostato al gioco di riferimento, ossia Assassin’s Creed Valhalla. In assenza di questo supporto crossmediale, leggerete un “semplice” racconto di vichinghi e antichi e magici misteri, privo di particolare mordente o forza immaginifica, proprio perché in realtà nasce da un universo immenso e già ben strutturato, e risulterebbe ridondante riproporne le basi. Piccola nota finale per i fan di lungo corso: sì, ci sono riferimenti agli ISU (Homo Sapiens Divinus), ma sono più che altro delle intriganti strizzatine d’occhio, piuttosto che dei corposi passaggi narrativi.