L’ultimo film di Peter Berg tra dramma e attualità

Mai come in questi ultimi mesi il tema degli attacchi terroristici riempie la cronaca dei giornali e incute paura nelle persone. Nessuno può restare impassibile di fronte ai numerosi attentati che stanno creando scompiglio in Europa. Sapere che luoghi tranquilli e a noi familiari possano diventare il teatro di orrori e nefandezze simili è inconcepibile, tuttavia è proprio partendo da questi presupposti che un film come Boston: Caccia all’uomo assumono un significato superiore, fermo restando che l’ultima opera di Peter Berg riesce con maestria e con un cast eccellente a raccontare una storia ancora fresca nei nostri ricordi, ricordandoci che l’unico modo di combattere il terrorismo è restare uniti.

Boston: Caccia all’uomo narra i fatti relativi al doppio attentato dinamitardo avvenuto durante l’annuale Maratona di Boston il 15 aprile 2013, ripercorrendo le 105 ore intercorse tra l’esplosione dei due ordigni, piazzati nei pressi della linea del traguardo fino alla cattura dei responsabili. Gran parte del racconto si basa sul libro Boston Strong, oltre a una corposa documentazione che ha permesso una ricostruzione tanto fedele quanto credibile delle varie operazioni messe in atto. La scelta di mescolare riprese del film con materiale originale di quei giorni permette al film di essere molto più di una storia romanzata, donando alle scene una potenza enorme e mettendo lo spettatore all’interno dell’orrore, senza però andare fuori dal seminato alla ricerca della lacrima facile e lasciando al potere dirompente delle immagini di impressionare, negativamente e positivamente. Al netto di ciò la regia di Peter Berg sfrutta una serie di riprese a spalla e movimenti di camera sempre adeguati, sfruttando ogni possibile dettaglio offerto dai luoghi di ripresa in modo attento e bello da vedere.

Il film ovviamente non manca di rimarcare quel classico orgoglio patriottico che spesso e malvolentieri si impossessa delle pellicole, tramutandole in una sorta di marchetta pro USA: tuttavia il ritmo misurato impedisce di giungere a questa conclusione, o almeno non lo fa in modo immotivato ma porta avanti il concetto con molta più dignità, imponendo un certo rispetto nei confronti delle controparti reali che hanno vissuto sulla pelle quei giorni interminabili e che nel film sono interpretati da un cast decisamente importante.

Ogni personaggio riesce, grazie anche ad una storia solidissima alle spalle, ad imporsi nel corso del film lasciando una traccia, creando un equilibrio che permette al film di essere godibile e senza avvertire un qualche vuoto di performance. Tra i vari attori troviamo ad esempio un John Goodman in grande spolvero nei panni del commissario Ed Davis, in bilico tra la paura di mandare nel panico Boston ma altresì costretto a seguire le regole dell’anti-terrorismo, personificate dal grande Kevin Bacon. Impossibile inoltre non citare J.K. Simmons, che interpreta un personaggio inizialmente nascosto per gran parte del film ma che, una volta al centro dell’azione, non mancherà di farsi coraggio e rischiare la propria vita per un bene superiore. Ultimo ma non meno importante è l’agente Tommy Saunders, interpretato da un Mark Wahlberg che fa una delle sue migliori performance drammatiche di sempre, in un ruolo che nasce appositamente per il film ed è incaricato di raccogliere gran parte delle sensazioni ed emozioni che hanno provato tanti cittadini e membri delle forze dell’ordine di Boston, impresa ancor più complessa se si pensa che lo stesso Wahlberg è nato a Dorchester, uno dei quartieri più antichi della città. Un’esecuzione sentita e che trapela in modo vivido nei momenti più carichi di emozione, rivelandosi uno degli attori più convincenti del cast e con indubbio merito.

Anche sotto il profilo tecnico il film non riesce a mostrare il fianco a delle critiche rilevanti, sfruttando una fotografia pulita che permette di cogliere ogni dettaglio ma senza esagerare, ponendosi l’obiettivo di risultare vera e convincente come la realtà che si trova a mostrare, lavorando a piè pari con il sonoro del film, crudo e convincente, con un ottimo lavoro anche in fase di presa diretta.

Se volessimo trovare dei difetti potremmo parlare di alcune lacune della sceneggiatura, legate soprattutto a dei personaggi la cui presentazione fa supporre una presenza più massiccia sullo schermo, ma che invece si riducono a macchiette che, a conti fatti, lasciano davvero il tempo che trovano e che magari avrebbero permesso al film di avere una durata minore, fermo restando che al netto delle emozioni personali, non si faticherà ad arrivare alla fine dei 133 minuti di durata del film.
Altro difetto è invece la colonna sonora, che vede tra i compositori due nomi molto importanti nella scena rock alternative mondiale come gli Atticus e Trent Reznor, mente i Nine Inch Nails, lasciando presupporre una soundtrack molto più potente e caratterizzata, ma che invece si rivela tutto sommato anonima e non sempre in grado di supportare la messa in scena.

Verdetto

Boston: Caccia all’Uomo potrebbe essere definito il film giusto al momento giusto, soprattutto se lo si volesse accusare di capitalizzare sul dolore e su un tema tristemente di attualità. Per fortuna, però, il film di Peter Berg riesce ad elevarsi e ad essere un racconto filmico convincente e scevro di doppi fini, limitandosi a mettere in scena una versione romanzata di uno degli attentati più recenti della storia americana in modo pulito e rispettoso. Un film la cui visione si rende quasi obbligatoria di questi tempi ma che, seppur non potrà rinfrancare, non potrà deludervi.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.