Bravery Network Online, dello studio canadese GLOAM, è il sogno proibito per le e i millennial che cercano character design accattivante e gameplay à la Pokémon

Potrebbe chiudersi con la frase scritta qua sopra la recensione di Bravery Network Online. Basterebbero quelle poche parole, se volessi racchiudere e condensare il più possibile l’esperienza che mi si è parata davanti dal momento in cui ho avviato il gioco fino a tutta la durata della prova. Sarebbero però uno spreco, perché il titolo in realtà va anche più in là della sua descrizione e della sua premessa. O meglio: le esalta, le espande e le porta a punto di rottura talmente critico da farle esplodere. Raccoglie ciò che vuole dimostrare non solo come una caratteristica, ma come una vera e propria missione e punto di riferimento. Non solo una questione di ispirazioni, suggestioni e identità artistiche a cui ispirarsi e derivarne una propria, dunque.

Bravery Network Online non è soltanto un videogioco che vuole portare sugli schermi un’estetica coloratissima, una colonna sonora particolarmente potente e una struttura ludica che strizzano l’occhio al suo pubblico di riferimento per catturarne l’attenzione. Quello di GLOAM non è solo un picchiaduro a turni che orienta le sue meccaniche su un sistema che guarda da vicino Pokémon e derivati. Vestiti, mosse, caratteri e caratteristiche dei personaggi non sono solo una strizzata d’occhio verso chi gioca per far intendere che tutte le persone coinvolte hanno colto quella specifica citazione alle opere di Brian Lee O’Malley e dello Studio Trigger. Ciascuna nota non è stata scelta solo per richiamare sentori synthwave, hyperpop e tutto quel mischione di musica nata e cresciuta su e per internet. Il senso stesso del gioco – e quindi le sue componenti – è totalmente orientato verso la creazione di un contesto credibile, che non potrebbe essere espresso in modo differente perché totalmente immerso in quelle fascinazioni.

Quel che viene presentato su schermo a chi gioca, infatti, è un’ambientazione futuristica (o per dirla come i suoi creatori post-post-apocalyptic) in cui le connessioni, le interazioni tra uomo e macchina e la tecnologia in genere assumono un sottotesto pop che inevitabilmente si inserisce in quelle suggestioni e che senza di esse non potrebbe proprio esserci. Stesso discorso vale per la gestione degli incontri e i turni di combattimento: che sono tematicamente e narrativamente connotati all’interno di Bravery Network Online. Sarebbe ben difficile pensare a un’eventualità in cui questo titolo non abbia specificatamente quello stile grafico, non eserciti su chi gioca quelle sensazioni o non venga supportato da quel gameplay.

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Un televisore in panchina

L’incipit narrativo alla base di Bravery Network Online è contemporaneamente folle e assolutamente credibile per il tipo di prodotto proposto e per gli obiettivi che si pone di raggiungere. Saremo chiamati a impersonare un becker, uno dei piccoli televisori che fungono da allenatori per le lottatrici e i lottatori che popolano il mondo di gioco, risvegliato dopo un malfunzionamento per poter avviare la sua carriera nel campionato di combattimenti più seguito e famoso che dà il nome al gioco. No, non è neanche la cosa più matta del gioco e sì, è solo l’inizio di una spirale di pazzia sempre più profonda.

Da qui si spalanca infatti un susseguirsi di metanarrazioni, consapevolezze e giustificazioni varie per cui il gioco è anche per la nostra controparte digitale nient’altro che uno spettacolo di intrattenimento. Tra schermate utente che sono letteralmente ciò che il nostro becker vede, lottatrici e lottatori che si ripetono in team differenti perché esiste una tecnologia che permette loro di sdoppiarsi su più combattimenti (quindi con il rischio di incappar contro loro stesse e stessi giustificato narrativamente, sì): ogni singolo pixel del gioco è presente perché ha un senso non soltanto per chi sta giocando, ma anche per chi non esiste e viene giocata o giocato e ne è perfettamente consapevole.

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Tutto questo, ovviamente ha delle implicazioni anche strettamente nel sistema di regole e meccaniche del gioco. Come già ampiamente dibattuto il gioco è a tutti gli effetti un picchiaduro a turni con elementi di personalizzazione del team scelto, caratteristiche che quindi lo avvicinano molto ai giochi di Game Freak sui mostri collezionabili più famosi del mondo. Gli incontri per reclutare nuovi membri del team e le esplorazione dei vari luoghi per scoprire i personaggi di supporto che sbloccano le opzioni di personalizzazione mantengono lo scheletro narrativo di cui sopra contribuendo alla crescita della credibilità del contesto.

Discorso analogo per il gameplay vero e proprio, con le solite e tipiche caratteristiche del genere che vengono però declinate nel mondo di gioco. La classica struttura basata su buff, debuff e aliment viene capovolta su stessa per essere coerente con la posizione metanarrativa di Bravery Network Online. Questo si traduce in una consapevolezza dei personaggi di tutto quello che chi gioca fa: dalle scelte di composizione della squadra, agli attacchi compiuti e all’allenamento a cui si sottoporranno per migliorare. Giocatrici e giocatori non controllano il becker ma in un certo senso assistono al suo punto di vista in senso assoluto. Ovviamente in questo solco si inserisce anche il termine “online” del titolo: che indica sia la connessione interna al gioco, con lottatrici e lottatori che combattono attraverso un intricato sistema di reti, sia quella esterna che porta il gioco a una dimensione multiplayer.

Un gioco, quindi, che si rende conto di se stesso non soltanto per un vezzo ma proprio perché non potrebbe fare altrimenti. Non si tratta di metanarrazione fine a se stessa che non vuole nient’altro che abbozzare ammiccamenti verso chi gioca per dare appagamento estemporaneo ma, al contrario, costruire la soddisfazione come sostituto dei riferimenti o delle battute. Badate bene: le citazioni ci sono ma è il loro ruolo e gestione a cambiarne totalmente il senso. La struttura di gameplay, per esempio, ricorda certamente quella di altri giochi ma attraverso la nozione di sé Bravery Network Online va oltre la semplice citazione o rielaborazione.

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Postestetica del retrofuturo

Il discorso sui futuri possibili, che ormai in ottica tardocapitalista non sono mai esattamente futuri ma sempre e soltanto interpretazioni dietrologiche di questi, è ormai stato affrontato in lungo e in largo e attraverso tutti i medium possibili. Siamo ormai talmente ossessionati e invasi dall’avvenire come proiezione del ricordo di un passato che ci è stato tolto e svuotato che anche quello che sembrava l’unica prospettiva salvifica, il futuro, è ormai dentro il sistema. Sarebbe quindi sbagliato dire che dal punto di vista strettamente estetico Bravery Network Online proponga qualcosa di totalmente nuovo. Però, come per i riferimenti e i ragionamenti visti avviare dal gameplay, l’estetica del gioco è consapevole della sua presenza e del suo valore anche di quanto scritto fino a qua.

Non voglio dire che volontariamente lo studio GLOAM abbia voluto riflettere sulle condizioni economiche e culturali in cui versa il nostro mondo e che inevitabilmente hanno influenzato la cultura, perché non lo so. Quel che sicuramente c’è, nel gioco, è però tanto colore e divertimento futuribile che racconta qualcosa anche quando non c’è trama. Che porta al ragionamento, piuttosto che derivare da esso. E questo, per me, è una vittoria della creatività sulla ridondanza e lo svuotamento di significati a prescindere.

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Per concludere: Bravery Network Online è un gioco estetizzato ed estetizzante non solo per colpire ma anche per (far) capire. Per proiettare ragionamenti e aprire pensieri. Un prodotto che – forse – inavvertitamente ci parla di noi attraverso se stesso e la consapevolezza fittizia di esistere. Stringere connessioni vere o finte che siano, e perché no fare a botte con le proiezioni di queste persone (e qui i riferimenti con gli avatar virtuali che tutte e tutti abbiamo affrontato, si sprecano), è il punto di partenza e di arrivo: l’inizio e la fine del viaggio chiamato internet sono gli esseri umani.

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.