Call of Duty – Black Ops Cold War: onorare il passato abbracciando il presente?

Nei primi freddi significativi di un 2020 ancor più che desideroso di lasciare il suo segno, è arrivato finalmente il tanto atteso novembre, un mese molto particolare per tutti gli appassionati della sfera videoludica.
Soltanto pochi giorni separano i giocatori dall’abbracciare l’arrivo di PS5, mentre questa piccola ma intensa gioia è già stata assaporata dagli acquirenti delle nuove macchine targate Microsoft, Xbox Series X e Series S, che hanno debuttato da ormai quasi una settimana, generando in tal modo grande entusiasmo e una sferzata d’ottimismo nella community giocante.

L’arrivo della next-gen, lo sappiamo, fa sempre questo effetto, ma in un contesto difficile come quello attuale ci piace pensare quanto tutto questo abbia assunto una valenza ancor più marcata. Il grande merito di questo novembre super eccitante, però, non va soltanto alle nuove console, ma anche all’arrivo di alcuni tra i software più attesi dell’anno, giunti come “salvatori della patria” e attesi come non mai da ogni tipo di videogiocatore.

Tra questi, spicca sicuramente il nuovo, attesissimo, episodio della saga Call of Duty, quel Black Ops Cold War che nelle intenzioni di Treyarch e Activision doveva rappresentare un ulteriore punto di svolta per la saga, dopo gli ottimi risultati ottenuti dall’ultimo Modern Warfare, arrivato sul mercato esattamente dodici mesi fa.

Per centrare l’obiettivo, il team di sviluppo si è dunque concentrato su un aspetto fondamentale: onorare il passato abbracciando al meglio il presente, con lo scopo ultimo di sfruttare appieno un immaginario variegato e importante come quello dei primi due Black Ops senza però abbandonare l’ottima strada intrapresa nell’ultimo anno.
Ci saranno riuscite? Per rispondere a queste domande vogliamo spaccare in due questa recensione, dedicandoci prima alla parte relativa all’offerta single player e successivamente al multiplayer competitivo, da sempre uno dei pezzi più pregiati della produzione.

Call of Duty: Black Ops Cold War, un ritorno al passato

La campagna di Call of Duty Black Ops Cold War, cronologicamente parlando, si colloca esattamente dopo la fine del primissimo Black Ops, probabilmente uno dei capitoli più apprezzati di sempre da tutti gli appassionati della variante “spionerestica” di uno degli FPS più amati e giocati di sempre.

Ci sono bastati pochi minuti per capire con quanta voglia le software house volevano portare su schermo un lavoro di prima qualità, una volontà che si è tradotta, senza girarci troppo intorno, in un centro quasi completo, con qualche piccola sbavatura che però non preclude il successo complessivo dell’operazione, partendo dal principio.

Call of Duty black ops cold war

Dopo una missione “introduttiva”, in cui si fa (o rifà) la conoscenza di alcuni tra i volti più noti del brand, come il tosto Adler, che ci ha ricordato un po’ il Cliff Booth di Brad Pitt in C’era una volta a… Hollywood, la quale non ha mai smesso di ricordarci la natura spettacolare e “oscura” della linea narrativa tipica del marchio Black Ops, si fa subito conoscenza con una delle novità più intriganti per il brand, che potrebbe fare la felicità di qualche giocatore in più rispetto a quanto si potrebbe immaginare.

Per la prima volta nella saga è infatti possibile creare il proprio avatar, attraverso un editor certamente limitato e non esattamente straripante di possibilità, ma che in ogni caso si lascia apprezzare per via anche di alcune sfumature decisamente riuscite e funzionali alla causa. Cambiando “tratti” della personalità, ad esempio, si possono sbloccare resistenze e abilità differenti in gioco, nulla di clamoroso, ovvio, ma comunque più che apprezzabile e che dona quel tocco di personalità, quella voglia di sentire “proprio” un alter ego che, in una produzione simile, finisce sempre e troppo spesso per recitare il ruolo della comparsa.

Gli anni 80’, sfondo della storia, sono dunque un periodo difficile, fatto di intrighi, cospirazioni e pericoli provenienti da ogni direzione, e ciò sembra avvertibile nell’aria che si respira, sin dalla primissima missione, la quale, proprio sul finale, ci mostra uno spaccato del potenziale di una narrazione adulta, precisa e mai banale, seppur capace di incespicare in qualche cliché di troppo e in situazioni già viste e sentite.

Il peso delle scelte

Fanno sul serio Treyarch e Activision. Vogliono dare un peso specifico alla propria creatura, partendo proprio dalla campagna, sempre più lontana dal concetto di elemento accessorio del pacchetto e mai come in questo caso centrale e di grande importanza.

Figlia di una buona longevità per il genere (oltre 6-7 ore di gioco), a lasciare ottime impressioni per la campagna è soprattutto il modo in cui essa è strutturata. Varietà e diversificazione sono gli elementi cardine di una produzione che rimane sì ancorata ai suoi dogmi strutturali, ma riesce ad ampliare e svecchiare molte situazioni divenute pesanti nell’ecosistema non soltanto della serie, ma di buona parte del genere di appartenenza.

Call of Duty Black Ops Cold War

 

Ci ha convinto anche la scrittura in generale dei dialoghi, certamente a volte banali e “già sentiti”, ma comunque sempre coerenti con la sua natura e mai veramente fuori luogo, capaci di valorizzare il contenuto in modo fresco e genuino. Anche i personaggi hanno rivestito un ruolo fondamentale nell’economia complessiva del prodotto e, nella maggioranza dei casi, ci hanno saputo convincere e appassionare al meglio delle loro possibilità.

A dare poi il tocco finale ci pensa il ritorno di una meccanica troppo snobbata negli ultimi anni, ossia quella delle scelte multiple. In alcuni casi si dovrà infatti decidere come far rispondere al nostro “Bell”, e ciò può influenzare non soltanto il resto della missione ma anche alcune sfumature della campagna stessa.

Peccato però che, alla fine, la scelta “finale” non smuove più di tanto l’economia della storia, ma non vogliamo lamentarci troppo, sarebbe veramente fuori luogo.

A questo, poi, si aggiunge anche la presenza di incarichi secondari e accessori, basati sulla valorizzazione dei classici “collezionabili” che qui diventano un modo per dare la caccia a terroristi, agenti infiltrati e altre potenziali minacce, una meccanica che amplia l’esperienza di gioco, mostrando però il fianco a limitazioni più evidenti, soprattutto in termini di varietà e di longevità.

Scrittura e realizzazione tecnica

Qualora non si fosse ancora capito, sì, la campagna ci ha convinto praticamente sotto ogni punto di vista, compreso quello tecnico.
Da vedere, infatti, Call of Duty: Black Ops Cold War è un prodotto molto valido, e alcuni scenari, “invecchiati” ad hoc, hanno sicuramente reso ancor più semplice l’immersività e la resa qualitativa complessiva. L’IW Engine, già motore pulsante del precedente capitolo della saga, fa la sua figura anche su console di nuova generazione, basandosi in particolare su una cura per i dettagli molto marcata e percepibile con facilità.

Call of Duty

A dare le maggiori soddisfazioni troviamo un sistema di illuminazione sontuoso con l’ausilio del Ray tracing (abbiamo testato la versione Xbox Series X), che in questo capitolo della saga Call of Duty riesce a giocare perfettamente con le luci ambientali e con gli effetti relativi a elementi quali ombre e shader in generale. Ciò si evince maggiormente, per forza di cose, nella campagna più che nelle altre modalità, offrendo nel complesso, grazie anche ad alcune location molto ispirate, un risultato di primissimo livello. I 60fps solidi e costanti, uniti ai 4K delle console di nuova generazione danno al titolo una grossa spinta in tal direzione, a cui si aggiunge un comparto sonoro ancora una volta di primissimo livello, sia per quanto riguarda la riproduzione dei suoni ambientali sia per quanto concerne il doppiaggio, compreso quello italiano, di primissimo livello e molto a fuoco.

Molto valida è anche la colonna sonora: i brani scelti per accompagnare l’esperienza riescono a completare il “salto” nel passato nel migliore dei modi, senza però perdere quella carica di adrenalina che da sempre si sposa perfettamente con i cardini della serie.

Salvatore Cardone
Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.