Una storia senza principio e senza fine

Per quanto l’immagine tipica del pirata, quella tramandata da opere letterarie come L’Isola del Tesoro o dai blockbuster hollywoodiani con Jack Sparrow ci abbia abituati a uno scenario di età moderna, la pirateria è un fenomeno antichissimo, di cui è quasi impossibile determinare un’origine.

Testimonianze di predoni dediti alle razzie sulle acque esistono da quando esiste la navigazione e sono numerose le testimonianze che ci tramandano di pirati in diversi periodi storici.
Gli antichi egizi, ad esempio, ebbero a che fare con l’invasione non meglio determinati popoli del mare, forse una confederazione di tribù dell’Europa meridionale dedita al saccheggio. Secoli più tardi anche i greci ebbero i loro problemi con la pirateria, così come i romani, i quali furono impegnati in una vera e propria “Guerra Piratica” condotta da Gneo Pompeo Magno.
Nel medioevo le cose non cambiarono, visto che abbiamo notizie di continue incursioni da parte di predoni provenienti dal mare, come i famosi “saraceni”, termine con cui nel tempo sono stati designati in maniera abbastanza indistinta tutti i pirati di origine islamica, o i vichinghi, che si dedicavano a razziare le fiorenti città dell’Inghilterra fino a giungere, nella celeberrima spedizione di Ragnar, alla Senna e a Parigi.
Ancora oggi, di fronte a persone che vivono al di fuori della legge e assaltano navi nell’Oceano Indiano, nel sud est asiatico e in altri mari, parliamo di atti di pirateria.

Sorge perciò spontanea la domanda: i pirati a cui pensiamo tutti noi, quelli del capitano Flint e della Perla Nera, chi diavolo erano? Come si è venuta a creare l’età dell’oro della pirateria (senza bisogno dello One Piece…)?

Benvenuti ai Caraibi

La pirateria è perciò un fenomeno antico e duraturo, diffuso in tutte le epoche storiche e in tutti i mari. Quella che conosciamo, associata ai Caraibi, è solo una piccola parte di una storia ricca e complessa, un frammento che resta tuttavia uno dei più affascinanti nel panorama marittimo.
Se vogliamo cercare una causa, dobbiamo – come spesso accade – pensare a ragioni meramente commerciali.

La storia della pirateria nei Caraibi, inizia con la grande età delle esplorazioni. La scoperta dell’America nel 1492 aveva portato con sé anche l’apertura di nuove rotte commerciali, un intero continente in cui si prospettavano ricchezze inestimabili.
In un primo momento, tuttavia, le uniche due potenze a potersi permettere le esorbitanti spese di viaggio verso le americhe erano le due monarchie iberiche, Spagna e Portogallo, che si erano spartite il mondo in un vero e proprio duopolio, il Trattato di Tordesillias del 1494, mediato da papa Alessandro IV.

Spartirsi la torta in due comporta vantaggi e svantaggi. Da un lato hai pochissima concorrenza, conosci bene il tuo nemico, sai che non devi fidarti di lui e che tenterà costantemente di violare i patti per portare sotto la propria sfera d’influenza territori che spetterebbero a te; d’altro canto devi aspettarti ogni meschinità da parte sua ma, soprattutto, devi temere l’ira di quelle potenze che al momento del trattato erano rimaste alla finestra.

Il ‘500 vide così un grande afflusso di uomini di mare e avventurieri diretti verso il Nuovo Mondo. Le ricchezze di quelle terre sembravano essere infinite a dar credito ai viaggiatori, così chiunque riuscisse a restare in piedi su una nave, o fosse anche solo in grado di brandire una spada (e più tardi uno schioppo) partì alla volta del nuovo mondo. Altri ancora erano condannati (il termine galeotto deriva, secondo una tradizione di epoca classica, da “galea”) che avevano ottenuto una commutazione della pena.
Ma le loro aspirazioni sarebbero presto state frustrate. Le ricchezze non erano così numerose e molti dei marinai, ormai sbandati, decidevano di restare e darsi al saccheggio.
Verso la metà del XVI secolo la monarchia spagnola iniziò a dare segni di cedimento. Il re, Filippo II, fortemente indebitato con i banchieri genovesi, si trovò costretto ad applicare una politica conservatrice e a dichiarare più volte la bancarotta per evitare di saldare i propri debiti. Il tutto mentre Francia e Inghilterra, dopo essere state escluse dal Nuovo Mondo, iniziavano poco alla volta a fondare le proprie colonie nelle Americhe, cambiando radicalmente gli equilibri economici e politici.

La grande trovata di Filippo fu quella di vietare agli stranieri di commerciare con le proprie colonie americane. Una politica che noi oggi definiremmo protezionista, ma che come spesso accade si rivelò un’arma a doppio taglio. Le colonie si ritrovarono impossibilitate a scambiare molte materie prime che non avevano a disposizione, i prezzi aumentarono, conseguentemente anche alla svalutazione dell’argento dovuta alle grandi quantità estratte nel Nuovo Mondo, cosa che portò a un’unica via di uscita: il contrabbando.

I coloni, potendo scegliere tra la merce legale, a prezzo maggiorato, e quella rubata e immessa sul mercato dai fuorilegge a costi concorrenziali, non ci pensarono due volte a andare sulla seconda opzione. Oltre a questo, l’altissimo numero di navi che trasportavano l’argento nel vecchio continente portava sempre più persone a scegliere di darsi alla pirateria.

I pirati, per gli spagnoli, erano un problema, ma nella stessa misura in cui lo erano sempre stati per altre popolazioni. Fu solo quando anche inglesi e francesi iniziarono a stabilire colonie nel Nuovo Mondo che le cose si complicarono e la pirateria divenne un vero e proprio stile di vita.
I sovrani di Francia e Inghilterra decisero di iniziare una politica aggressiva contro le altre potenze colonizzatrici, applicando un concetto che era già diffuso nel vecchio continente, alla pirateria. Nascevano così le prime lettere di corsa, da cui il termini, ormai famoso, di corsari. I primi pirati del Nuovo Mondo, quindi, furono soprattutto corsari autorizzati dalle corone Europee, figure leggendarie come il toscano Giovanni da Verrazzano per la Francia e Sir Francis Drake per l’Inghilterra.

Non ci volle molto perché si raggiungesse vi fosse escalation in questa stato di cose, portando anche la Spagna a dotarsi di propri corsari, i quali iniziarono a depredare le navi francesi e inglesi. A loro si affiancavano i pirati ordinari, marinai che, dopo aver visto fallire le proprie speranze di ricchezza nel Nuovo Mondo, si erano dati a una vita di saccheggi. Entrambi i due gruppi erano definiti con il termine generico “bucanieri”, lo stesso che designava i cacciatori di frodo che erano soliti affumicare la carne secondo un metodo appreso dagli indigeni Arawak.

L’evento che forse segnò la vera nascita dell’epoca d’oro della pirateria avvenne nel secolo XVII e fu legato alla colonizzazione dell’isola di Hispaniola. L’insediamento, che oggi comprende Haiti e la Repubblica Dominicana, era stato il primo luogo colonizzato dalla corona di Spagna (il forte La Navidad fu fondato dallo stesso Colombo) ma nel tempo aveva perso la sua importanza con l’avanzare delle conquiste spagnole nel Nuovo Mondo.
Fu qui che intorno al 1629 giunsero, quasi contemporaneamente, due corsari, il francese Monsieur D’Enanbue e l’inglese Sir Thomas Warner. I due, invece di farsi la guerra, decisero di convivere, iniziando poco alla volta a creare una vera e propria colonia pirata, di cui facevano parte sia contadini che marinai dediti alle razzie.
Hispaniola, prima colonia spagnola nel Nuovo Mondo, era diventata per uno strano gioco della sorte la base dei peggiori nemici della corona di Spagna. Divenuta una base pirata rinomata, ben presto gli spagnoli non poterono più ignorare il problema e furono costretti ad attaccare e distruggere la colonia, guidati da Don Fabrique de Toledo nel 1629.
I sopravvissuti si ritirarono nella vicina isola “La Tortue”, oggi nota a tutti come Tortuga, forse il luogo che più evoca, nell’immagine di tutti noi, scene di pirateria, grazie alle avventure del Corsaro Nero narrate a Emilio Salgari.
Il luogo era sede di una colonia dal 1625, ed era presidiato dal governatore francese Jean Le Vasseur, politico abbastanza spregiudicato, un vero proprio tiranno, stando a quanto ci viene raccontato. Il governatore era comunque un uomo d’affari e all’arrivo dei pirati coloni nel 1629 vide una nuova opportunità economica per la propria isola. Strinse patti con i pirati e li guidò alla stregua di un sovrano. L’accordo fu vantaggioso per entrambe le parti: Le Vasseur osservò le proprie casse riempirsi, mentre i bucanieri poterono contare su una base più sicura di quanto non fosse Hispaniola. Tortuga, dopotutto, era un porto naturale, ulteriormente protetta dal forte che i francesi avevano fatto costruire all’imboccatura della baia. La cosa fu corroborata da Le Vasseur, che nel 1645 pensò bene di aprire un buon numero di case chiuse sull’isola.

I bucanieri di Tortuga si riorganizzarono: fu qui che, attorno al 1640, nacque la Fratellanza della Costa, gruppo che rendeva i pirati una vera e propria organizzazione, dandosi un codice e iniziando a solidarizzare per uno scopo comune, quello di depredare le navi cariche di oro e altri beni. È sorprendente pensare al fatto che un gruppo di persone dedite al saccheggio e all’omicidio potesse dotarsi di una regola morale, alla stregua di un ordine cavalleresco.
Molti bucanieri di comprovata fama fecero parte della Fratellanza, alcuni di loro cercarono anche di imporre la propria figura come leader, tra tutti Henry Morgan, il quale invitò nel 1670 tutti i pirati a navigare sotto la sua bandiera, costituendo una flotta. Ma questo stato di cose non poteva perdurare.
Nel 1684 Francia e Spagna firmarono il trattato di Ratisbona, con il quale si rendeva illegale ogni forma di pirateria, compresa quella concessa dalle patenti di corsa. Il motivo è presto detto: la politica del derubarsi a vicenda non era più redditizia. Di fronte all’intenzione di costituire delle colonie solide e duratura nel Nuovo Mondo, la pirateria, in qualsiasi forma e maniera, costituiva ora un ostacolo da abbattere e, intorno al 1688, l’epoca d’oro di Tortuga e quindi della pirateria, cessò di esistere.

Questo non pose fine alla pirateria, ovvio. Il fenomeno perdurò, mutando radicalmente, non più protetto dalle autorità, almeno ufficialmente.
Pochi furono coloro che scelsero di continuare a praticare la pirateria e quei pochi erano, per lo più, personaggi in qualche modo legati ad accordi fatti sottobanco con i potenti. Il caso più emblematico è quello di Nassau, popolare rifugio per i pirati all’inizio del secolo XVIII.
Tra questi vi era anche la figura più famosa della pirateria, il leggendario pirata Edward Teach, il Barbanera, il quale mantenne il completo controllo delle acque caraibiche tra il 1716 e il 1718.

Capace di catturare quasi cinquanta navi in appena diciotto mesi, Barbanera è noto per la sua mentalità da leader e le sue capacità di stratega. A bordo della Queen’s Anne Revenge, terrorizzò i mari finché non fu fermato, al termine di una sanguinosa battaglia, dal tenente di vascello Robert Maynard, a bordo della sua nave, Pearl.
La figura di Barbanera rappresenta, sotto molti punti di vista, l’emblema dell’epoca d’oro della pirateria. In lui si uniscono tutte le anime del bucaniere: quella del marinaio che, dopo aver lavorato per la corona, si ritrova abbandonato, dandosi alla pirateria; il brutale assassino con una forte tendenza alla teatralità; lo stratega freddo e calcolatore, capace di stringere accordi coi potenti; il leader capace di trattare con gentilezza i suoi sottoposti e di guidare con carisma un gruppo di pirati all’arrembaggio. La fine di Barbanera, insomma, rappresenta anche la fine di un’età “eroica” della pirateria, di cui a noi restano immagini ammantate di romanticismo e nostalgia.

Il Codice della Pirateria

Una delle cose sopravvissute nell’immaginario collettivo sui pirati, tramandatoci nella cultura di massa da cinema e letteratura, è il fatto che essi si fossero dotati di una serie di regole. Può sembrare una contraddizione (e in effetti lo è) che dei fuorilegge seguissero una serie di leggi, ma ci sono giunte testimonianze certe del fatto che la Fratellanza della Costa si fosse dotata di un codice. Discussa è la paternità di queste undici regole, ma è probabile che nel tempo ogni figura di spicco della Fratellanza abbia aggiunto qualcosa. Quella che sembra essere la versione approvata dallo stesso Henry Morgan ci è pervenuta da una copia del 1721 sottoscritta da Black Bart Roberts.
Prima dell’imbarco, al futuro pirata veniva chiesto di visionare il Codice Etico dei pirati e sottoscriverlo. Poi, il modo in cui il capitano avrebbe gestito le cose sulla sua nave, era tutto da vedersi.

Colpisce la modernità di alcune di queste idee. Pur basandosi su punizioni corporali, discriminazione verso le donne e pena di morte, sembra strano pensare che vi fosse un simile rispetto per le diversità religiose, fosse previsto un indennizzo per le ferite e una forma di democrazia nelle questioni di bordo (.  

I. Tutti marinai a bordo hanno diritto di voto sulle questioni; diritto a provvigioni fresche e liquori forti, potendo usufruirne in ogni momento, salvo che in momenti di penuria.

II. Ai marinai è permesso chiedere una parte del bottino e un cambio dei vestiti. I ladri di valuta, gioielli, oro o altro preziosi, sono condannati all’abbandono. Per il furto ad altri marinai, il colpevole viene punito col taglio delle orecchie e del naso.

III. Divieto di giocare d’azzardo a bordo, vietate le carte e i dadi.

IV. Le luci spente alle otto di sera. Bere dopo quell’ora è concesso sui ponti scoperti.

V. Mantenere armi, pistole e coltelli puliti e pronti per essere usati è un obbligo.

VI. Niente donne e bambini a bordo. Portare donne travestite a bordo è punibile con la morte.

VII. La diserzione e la codardia sono punite con la morte o l’abbandono.

VIII. Viene fatto divieto di colpire altri uomini a bordo. Le dispute vanno risolte a terra.

IX. Chi dichiara che un ordine porterà alla morte sarà punito con mille colpi. La perdita di un arto o le ferite saranno risarcite dal bottino comune. 

X. Al capitano e al secondo di bordo spettano due parti del bottino; all’ufficiale anziano, al nostromo e al cannoniere una parte e mezza; agli altri ufficiali una parte e un quarto.

XI. In base alla proprio fede si può riposare il giorno del Sabbath; negli altri sei giorni e notti, non è concesso nessun tipo di favore.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.