Un piccolo itinerario fra città fantasma, leggende e la loro presenza nella cultura di massa

Che cos’è una città fantasma?

Il termine deriva dalla locuzione inglese Ghost Town e viene normalmente utilizzato per definire una città abbandona. Talvolta lo ritroviamo per indicare aree o città vittime di un repentino spopolamento; per descrivere quartieri disabitati; luoghi fantasma in cui è però presente una intensa attività turistica o anche veri e propri siti archeologici nei quali ancora sopravvive il labile ricordo del passato.

Numerosissime in ogni parte del mondo, se ne contano circa 6.000 in Italia e 15.000 negli Stati Uniti tanto per avere un’idea, la loro origine (ovvero le cause che portano una “normale” città a diventare una città fantasma) può dipendere da una serie di differenti e numerosi fattori: dalla difficoltà di approvvigionamento idrico-alimentare; al mutare delle vie di comunicazione (come la nascita o lo spostamento di strade e ferrovie), che comportano un calo economico magari in concomitanza a una “delocalizzazione” delle attività di produzione; a piani edilizi che modificano l’assetto di una particolare area (come la costruzione di una diga che letteralmente inabissa un centro abitato); ai disastri naturali come terremoti, alluvioni e frane, fino ad arrivare ai disastri nucleari che tanto popolano l’immaginario collettivo contemporaneo (impossibile non pensare a Černobyl’); al verificarsi di epidemie e morbi; last but not least, all’intervento diretto del Governo di turno che in alcuni casi decide di espropriare il terreno su cui sorge una determinata città in concomitanza con la costruzione di basi militari o di centri sperimentali top secret particolarmente pericolosi (famoso l’episodio della costruzione del Jonh C. Stennis Space Center nel Mississippi che comportò il sequestro di un’area di circa 55 chilometri quadrati per questioni di sicurezza).

Città fantasma: alcune leggende metropolitane

Qualsiasi locuzione che contiene in sé il vocabolo “fantasma” non può di certo esentarsi dal produrre suggestioni e credenze che, lasciato il campo del reale in un cassetto, spingano l’immaginazione a creare miti e leggende intorno a quei luoghi che chiamiamo città fantasma. Storie dell’incredibile che si mescolano al folklore locale creando un’aurea tanto misteriosa quanto piena di fascino.

C’è un paesino fantasma sull’Appennino vicino Parma chiamato Case Scapini (o Ca’ Scapini), dove il tempo sembra essersi fermato: le case di pietra, ormai conquistate dalla natura, nascondono immutati oggetti e beni della vita quotidiana. La popolazione sembra essere fuggita lasciandosi alle spalle tutto quanto.
Un enigmatico abbandono che, nel corso del tempo, ha trovato diverse giustificazioni.

Fra le più razionali e realistiche, troviamo quelle che parlano di una strage nazista o di un bombardamento avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale. Al campo della leggenda appartengono, invece, quelle che riferiscono del ritrovamento di una pastorella senza vita, la cui spaventosa scoperta ha messo in fuga gli abitanti del paesino, o di terrificanti pianti e urla di bambini che ancora riecheggiano fra le case abbandonate durante le notti. Anche l’etimologia del nome Scapini, che in realtà deriva dal cognome di una nobile famiglia, da alcuni viene associata alle scarpine indossate proprio dai bambini.

Non una città ma un’isola, precisamente la Isla de las Munecas in Messico, ci permette di fare la conoscenza dell’eremita Julian Santana Barrera e di una particolare storia che lo riguarda: sembrerebbe che Julian, dopo aver trovato nel canale dell’isola il corpo di una ragazza morta per annegamento, abbia deciso, per placare il suo spirito, di appendere delle bambole in suo onore in tutta l’isola. Un gesto che ha scatenato una vera e propria moda con tanto di tour turistici frequentati da numerosi curiosi che hanno iniziato a portare altre bambola da aggiungere alla collezione. Ad aggiungere un ulteriore tono macabro alla vicenda, il ritrovamento nel 2001, presumibilmente nello stesso punto del canale, del corpo di Julian anche lui morto per annegamento.

Per la serie città fantasma infestate da fantasmi, non possiamo non citare il caso di Bodie, collocata nel complesso montuoso della Sierra Nevada in California. Stereotipo della tipica città del Far West, questo centro minerario è abbandonato da moltissimo tempo, ma gli interni degli edifici sono rimasti intatti così come il loro contenuto. Il fascino del West e il ricordo del glorioso passato (si stima che nel corso degli anni sia stata estratta una quantità di oro pari a 34 milioni di dollari) ne hanno fato una meta turistica di valore tanto da essere dichiarata National Historic Landmark nel 1961 e Parco storico dello Stato l’anno dopo.

Unico problema (ma dipende sempre dai punti di vista) la presunta presenza di fantasmi che vagano per la città spaventando i visitatori e dissuadendo coloro che avessero l’ardire di sottrarre illegalmente qualsiasi oggetto di valore (affettivo o meno) dalla loro legittima posizione.

Città fantasma e dove trovarle: fra leggende e cultura di massa

Dalla realtà al mito: le città fantasma nella cultura di massa

Da Centralia a Silent Hill

Centralia, cittadina mineraria della Contea di Columbia (Pennsylvania), venne fondata nell’Ottocento al di sopra di un gigantesco giacimento di antracite, un carbone fossile purissimo estratto in grandi quantità fino alla fine del secolo. A trasformala in una sorta di città fantasma fu un incendio sotterraneo impossibile da estinguere divampato nel 1962 proprio nella vena carbonifera e tutt’oggi ancora attivo (si ipotizza che lo sarà ancora per centinaia di anni).

Le cause dell’incendio sono tutt’ora sconosciute, ma gli effetti furono devastanti: tra voragini e crepe di decine di metri che si aprirono nel terreno, colonne di fumi tossici e temperature apocalittiche, la popolazione nei decenni successivi fu costretta a evacuare comportando l’inevitabile morte della città. Oggi a Centralia quasi tutto è andato perduto: gli unici edifici rimasti in piedi sono la chiesa, il cimitero e una struttura adibita a stazione dei pompieri; la popolazione, praticamente inesistente, consta di soli sette abitanti. Come rimedio a questo triste destino, ogni Domenica alcuni vecchi abitanti si ritrovano per celebrare la messa nella chiesa di Sant’Ignazio e, in questo momento scandito dal suono delle campane che risuonano per l’intera valle, per ricordare la pace e la tranquillità di un tempo ormai perduto per sempre.

La sua storia, così tragica e peculiare, hanno reso Centralia non solo una singolare meta per i turisti ma anche una fonte di ispirazione per la creazione di città di fantasia. La più famosa, senza ombra di dubbio, è la cittadina di Silent Hill dell’omonimo videogioco pubblicato nel 1999 da Konami in esclusiva per la prima PlayStation e del successivo film del 2006.

La Silent Hill del videogame, è una città costruita su un antico cimitero indiano caduta in declino nel corso del tempo fino a diventare la sede di una setta dedita ai sacrifici umani e alla necromanzia. Tratti caratteristici sono la fitta e perenne nebbia che, insieme alla pioggia, avvolge ogni cosa, rendendo l’atmosfera ancora più inquietante e spettrale, insieme alla sua trasformazione nell’otherworld ogni volta che suona la sirena antibombardamento: una sorta di dimensione parallela distorta dove sangue, ruggine e fuoco ricoprono ogni cosa. La Silent Hill del film, invece, che in parte prende sempre ispirazione da quella del videogioco, è una città fantasma del West Virginia abbandonata dai propri abitanti nel 1974 proprio a causa di un terribile incendio. Vi ricorda qualcosa?

Pripyat a 30 anni dal disastro di Chernobyl

Il 26 aprile 1986 il reattore numero 4 della centrale nucleare di Černobyl’ esplose. Come diretta conseguenza dell’esplosione morirono 65 persone e ci furono circa 4000 casi di tumori alla tiroide confermati (per Greenpeace, invece, il numero delle vittime a causa di tumori sale vertiginosamente a circa 6 milioni). A pochi chilometri da Černobyl’r, la città di Pripyat, costruita negli anni Settanta proprio per ospitare i costruttori e i lavoratori della centrale, fu evacuata dei suoi 50.000 abitanti divenendo a tutti gli effetti una città fantasma.
La pericolosità del luogo, vista la presenza di materiale radioattivo, non ha impedito allo stesso di diventare nel corso del tempo un fortissimo punto di attrazione per giovani ucraini e avventurieri stranieri. Tanto da indurre il Governo Ucraino ad autorizzare delle visite guidate all’area contaminata previa firma di una liberatoria, creando, di fatto, un vero e proprio turismo di massa intorno a quella zona.

In risposta a questa forma di sfruttamento, esistono delle persone che si introducono illegalmente nella “dead zone” e che si fanno chiamare “stalker” (prendendo in prestito il termine dal neologismo coniato dai fratelli Strugackij nel 1971 nel romanzo fantascientifico Roadside Picnic, alla base del film Stalker del 1979, uno dei capolavori di Andrej Tarkovskij): questi individui, muniti di contatori Geiger, esplorano le aree boschive intorno agli ambienti urbani di Pripyat, nuotano nel fiume che scorre all’interno della zona di alienazione e arrivano a berne le acque contaminate (aggiungono del disinfettante senza però arrivare a una reale e completa sanificazione).

L’obiettivo, nascondendosi dai militari che pattugliano il sito, è arrivare all’interno di Pripyat dove sono ancora presenti i numerosi palazzoni sovietici che ai piani più alti offrono riparo e una casa momentanea a questi stalker. La loro è anche un’azione di archeologia moderna che gli permette di recuperare e catalogare vecchi giornali, documenti, oggetti capaci di raccontare le vicende di chi ha vissuti in quei luoghi fino al disastro nucleare.

L’aspetto più interessante è che, ancora prima di penetrare e di influenzare l’immaginario collettivo attraverso la presenza in numerosi film, videogame (impossibile non pensare a S.T.A.L.K.E.R. del 2007 ambientato proprio nella città di Pripyat) o alla recentissima e splendida mini-serie tv Černobyl’r, l’immaginario post-apocalittico di una zona interdetta a seguito di un evento eccezionale sia stato in qualche modo predetto (o influenzato se vogliamo applicare concetti come l’iperstizione) a livello di immaginario dal romanzo dalla penna dei fratelli Strugackij (nel libro la zona di interdizione nasce intorno a una città sconvolta dalla comparsa di creature extraterrestri) e come estetica dal film di Tarkovskij, rendendo la finzione e la (triste) realtà incredibilmente simili.

Città fantasma e dove trovarle: fra leggende e cultura di massa

Scarfolk: come inventare una città fantasma

Finora abbiamo presentato casi di città fantasma nate entro contesti del tutto reali, città fantasma protagoniste di leggende paranormali, ed eventi realmente accaduti che hanno influenzato nel corso del tempo la creazione di prodotti legati a un immaginario fictionale.
L’ultimo caso che vogliamo proporvi è quello di Scarfolk, una cittadina inglese i cui abitanti sono costretti a rivivere in un loop senza fine gli anni Settanta (anche se non proprio esattamente identici a quelli realmente passati). Arrivati al 31 dicembre del 1979 si ricomincia da capo.

Creata dal grafico britannico Richard Littler, prima attraverso un blog e poi sotto forma di libro, Scarfolk (neologismo che nasce dall’unione delle parole scare e folk) si pone l’obiettivo non solo di dimostrare l’abilità dell’autore di imitare lo stile visivo e comunicativo di quell’epoca, ma di fornire, attraverso la realizzazione di un vero e proprio diario-guida riassuntivo degli usi e dei costumi locali, una rappresentazione alterata e soggettiva di un passato trasformato secondo un filtro a tratti horror e a tratti satirico: la città di Scarfolk è una rappresentazione di un mondo parallelo retto da un’atmosfera surreale e bucolica dove tutto l’intrattenimento, la comunicazione, la pubblicità hanno seguito un altro corso storico attraverso cui mettere a nudo il nostro momento storico in cui la nostalgia e il recupero costante del passato recente sono all’ordine del giorno.

Proporre un retrofuturismo divertito e provocatorio, rappresentato da un città fondamentalmente bigotta e provinciale, è un ottimo modo per riflettere sul nostro rapporto con il passato, con il futuro e, naturalmente, con il presente.

Andrea Bollini
Vivacchia fra i monti della Sibilla coltivando varie passioni, alcune poco importanti, altre per niente. Da anni collabora con diverse realtà (riviste, associazioni e collettivi) legate alla cultura e all'intrattenimento a 360 gradi. Ama l'arte del raccontare, meno Assassin's Creed.