Giappone Feudale e Pixel Art

Probabilmente pochi lo sanno, ma quella di Cladun, letteralmente “Classic Dungeon”, è una serie nata diversi anni fa, iniziata su piattaforma PSP nel 2010, con tanto di seguito l’anno seguente, e sviluppata dai ragazzi di System Prisma, casa figlia di Nippon Ichi Software (la serie Disgaea vi dice nulla?). Dopo ben sei anni, la serie giunge anche su console casalinghe e PC con il terzo capitolo, mantenendo i suoi dogmi: il genere hack ‘n’ slash dungeon crawler con qualche spruzzata di gioco di ruolo, ma soprattutto lo stile rétro pixel art che fa molto anni ’80 e ricorda per certi versi quello del browser game roguelike Realm of the Mad God.

Invece, seguendo quello che sembra essere un trend abbastanza in voga nell’ultimo periodo soprattutto nella terra del Sol Levante (basti pensare ai vari Musou o al recentissimo Nioh), decide di ambientare il tutto sul finale della guerra civile nel periodo del Giappone feudale conosciuto come Sengoku, come facilmente intuibile dal titolo del gioco e come viene ribadito in una brevissima presentazione all’inizio.

Un’anima errante

Il gioco si apre dunque con l’editor del personaggio, dove potremmo scegliere, tra varie preimpostazioni, il sesso e l’estetica. Si passa poi per la classe tra le varie selezionabili che ricoprono i ruoli standard del gioco di ruolo: dal guerriero corpo a corpo resistente, qui denominato Samurai visto il periodo storico, a maghi specializzati nei danni. Infine vi è persino una scelta riguardante lo stile dei dialoghi del nostro personaggio, anche se non andrà ad influire in modo significativo sul gameplay di gioco.

Creato il nostro alter ego, ci ritroveremo al cospetto di un figuro ammantato, che ci spiegherà che siamo deceduti e ci troviamo nel mondo di Arcanus Cella (il mondo tipico della serie, già esplorato nei precedenti capitoli, ove le anime dei morti si radunano in attesa della reincarnazione) durante l’epoca Sengoku. Il nostro compito sarà quello di accettare le quest di altre anime erranti come noi, in modo da riguadagnare il ritorno al mondo dei vivi. Arcanus Cella, funzionando da vero e proprio Hub centrale, ci permetterà di intraprendere dunque varie mansioni. La più importante è proprio quella riguardante i dungeon affrontabili, nei quali racimolare esperienza per salire di livello e migliorare le statistiche del personaggio, e monete per acquistare e potenziare l’equipaggiamento in uso.

Altro aspetto importante del gameplay è quello riguardante il cosiddetto “Magic Circle”, dove potremo scegliere i compagni che ci forniranno miglioramenti vari alle statistiche. Non saranno attivi in combattimento, si limiteranno a dare poteri e buff vari, sviluppandone ulteriormente gli effetti con artefatti nelle battute avanzate di gioco. I nostri alleati andranno posizionati nei modi più disparati per donare vari tipi di supporto, proprio come se si mettesse in formazione un esercito in battaglia, decidendone persino il leader tra quelli disponibili e facendolo diventare, di fatto, il nostro nuovo alter ego. Vi è poi lo Shop che, come dice il nome, sarà il solito negozio adibito all’acquisto e al potenziamento di nuovo equipaggiamento, tramite monete o materiale lasciato a terra dai nemici nei dungeon. Ma non è tutto, all’interno del vilaggio/Hub di gioco vi saranno anche due sfiziosi editor: uno riguardante la musica in 8-bit, dove sarà possibile comporre delle tracce audio e condividerle con gli altri giocatori, l’altro riguardante l’estetica del nostro personaggio, completamente modificabile pixel per pixel ed anch’essa condivisibile tra tutti i possessori del gioco. Un piccolo, ma divertente sistema di scambio di creazioni che è senza dubbio un’aggiunta frizzantina per chi vuole lasciar galoppare la fantasia in Cladun.

Dungeon pixellosi

Usciti dal villaggio di Arcanus Cella, ci troviamo dinnanzi alla parte del titolo predominante: l’esplorazione dei dungeon. Come in un Diablo che si rispetti, sarà possibile affrontare livelli a difficoltà sempre maggiore e abitati da nemici di diversa fattura, danni visualizzati su schermo, trappole nascoste, semplici rompicapi che utilizzano l’ambiente di gioco e gli immancabili boss al termine del dungeon.

Nei dungeon inoltre sarà possibile trovare nuovi lord dell’epoca Sengoku, utilizzabili nel sistema Magic Circle o facendone il nostro nuovo personaggio controllabile. Riguardo il gameplay nudo e crudo, prendiamo come esempio quella che è considerabile come una classe da novellini: il Samurai. I tasti utilizzati sono relativamente pochi, come rimando ai cabinati da sala giochi; uno per l’attacco, uno per la parata, uno per il salto (combinabile con l’attacco per effettuare attacchi in volo), uno per la corsa (combinabile con quello per la parata per effettuare una scivolata evasiva a terra). E qui è riscontrabile forse il più grande problema del titolo: una certa ripetitività di fondo che sopraggiunge dopo qualche ora. E sì che il gioco prova in ogni modo ad allontanare il fattore noia, inserendo dungeon già affrontati con un livello di difficoltà aumentato, dungeon potenzialmente infiniti e generati casualmente come i RanGeon a 99 piani (vera e propria impresa per hardcore) e una modalità cooperativa dove confrontarsi con le orde di mostricciattoli pixellosi con l’aiuto di compagni in carne ed ossa.
Ma ahimè, la linearità nell’approccio a tutto ciò rimane e pesa sempre di più ora dopo ora, considerando anche gli improvvisi picchi di difficoltà dovuti al pessimo scaling tra un livello e l’altro. Non è bello passare da un piano all’altro e ritrovarsi con il personaggio distrutto in un colpo solo, insomma, costringendo anche i più svogliati al grinding selvaggio per procedere.

Anche il sistema di combattimento non è certo dei più complessi sul genere e nonostante sia ampiamente personalizzabile tramite il sistema di Magic Circle, affrontare l’ennesimo dungeon con pad alla mano si traduce in un ripetere le solite azioni, mazzolando mostri e raccogliendo monete e soldi utili solo a potenziarsi per affrontarne un altro, una sensazione chiaramente soggettiva che chiunque non sia un appassionato rischierà di provare. Concludiamo la serie di difetti con la totale mancanza di un tutorial utile a comprendere le varie possibilità che il gameplay offre, lasciando al giocatore l’onere di scoprire un po’ tutte le meccaniche utili per tentativi. Mancanza sinceramente poco comprensibile.

Gioco “troppo” portatile?

Come detto all’inizio, la serie nasce e cresce su piattaforma PSP. Ne conseguono limitazioni e soprattutto tempi molto differenti da ciò a cui i giochi per piattaforme fisse ci hanno abituato. Non travisate, per completare il titolo saranno necessarie diverse decine di ore, scendendo a patti con il possibile fattore ripetitività di cui sopra. Parliamo invece della durata di un singolo livello, che si attesta ad una manciata di minuti o di HUD, menù e controlli con uno stile tremendamente spartano.

Si tratta chiaramente di scelte di design utili ad assicurare la fruibilità e l’istantaneità di un gioco portatile, che necessita appunto di un gameplay immediato e rapido, nonché dell’obbligo di dover essere giocato su schermi di grandezza e risoluzione esigue. Tutte cose che stridono se si vuole stare comodamente seduti sul divano con una console e si possiede un pannello grandicello, dove i pixel si dilatano all’inverosimile, a volte rendendo fastidiosi i fondali di gioco e facendo storcere il naso ai puristi dell’immagine. Grande peccato, perché con uno scaling diverso e/o magari la possibilità di inserire qualche filtro all’immagine, il tedio per l’occhio si sarebbe potuto quantomeno attenuare. E grandissimo peccato poiché la grafica di gioco in alcuni scorci è davvero di fattura pregevole dal punto di vista grafico, con ricostruzioni che riprendono edifici, costumi ed ambienti presi a piene mani dal folklore e dalla storia del Giappone dell’epoca.

Le musiche infatti potranno essere riprodotte in versione originale, con una qualità audio dei giorni nostri, oppure in modalità rétro, stesse tracce ma con un audio che ricalca i vecchi sintetizzatori utilizzati nei giochi di un tempo. Un’altra piccola, ma sfiziosa aggiunta che non manca di strizzare l’occhio a tutti gli amanti delle sale giochi e del videogioco di qualche decennio fa.

Verdetto:


“Cladun Returns: This is Sengoku!” è un titolo con molteplici luci ed ombre e alcune scelte inspiegabili. Se da una parte la fattura artistica è innegabilmente un punto forte, con pixel art e composizioni musicali ottime, dall’altra il suo porting su PC e PS4 non è davvero niente di entusiasmante, considerato come il titolo sia effettivamente nato per essere portatile. In ogni caso, sia che lo si giochi su PS Vita (con qualche calo di framerate) che in casa, la struttura di gioco tende – dopo qualche ora – verso la ripetitività e a picchi di difficoltà frustranti nei livelli avanzati. Cose che possono essere spezzate solo se siete appassionati del dungeon crawling o del “grind” nei videogiochi. In alternativa, mollate per qualche istante i dungeon generati casualmente, lasciandovi naufragare negli editor pixel art e in quello per la composizione musicale con relative condivisioni, per far conoscere al mondo le proprie creazioni.

Gianluca Boi
Recensore seriale, blogger, giocatore di ruolo decennale, hardcore gamer, groupie di Alan Moore. Amante dei Souls, di Castlevania e di Banjo-Kazooie e fanboy di Jet Set Radio. Ha visto Matrix almeno 42 volte, segue il wrestling ed è fissato con lo studio della musica tutta, con una piccola predilezione per gli Ulver, i Fair To Midland e le OST. Nasconde purtroppo un terribile segreto: non sa proprio come leggere gli orologi con le lancette (non scherzo).