Ricordami.

Da molti anni a questa parte, ogni film Pixar inedito si trasforma in un evento vero e proprio. Eccezion fatta per il clamoroso Toy Story 3, infatti, spesso sono proprio i film non basati su mondi già esplorati a rendere lo studio di John Lasseter un’icona del cinema mondiale, al punto da essere considerato il corrispettivo occidentale a quella fucina di sogni giapponese chiamata Studio Ghibli. E il paragone è d’obbligo, poiché molte delle ultime produzioni uscite sono portatrici di messaggi toccanti e critiche importanti, mescolate in universi capaci di affascinare tanto i giovanissimi quanto gli adulti. E Coco, ultima opera diretta da Lee Unkrich è l’ennesima consacrazione Pixar: un film capace di parlare della morte con il rispetto e la delicatezza necessaria in un’esplosione di colori senza precedenti.

La storia del film ruota attorno a Miguel, un ragazzo messicano con uno sconfinato amore per la musica. Un amore che però la famiglia ha sempre cercato di stroncare sul nascere, tramandando di generazione in generazione l’odio per ogni genere di musica dopo l’abbandono della famiglia da parte del bisnonno e che ha portato la bisnonna a rimboccarsi le maniche creando quella che è diventata l’azienda di calzature Rivera. Miguel coltiva la sua passione di nascosto, adorando nel frattempo il popolare cantautore Ernesto de la Cruz e, spinto dall’ardore nei confronti del suo idolo, decide di partecipare alla gara musicale del paese nonostante il divieto familiare. Questa scelta, tuttavia, lo condurrà fino al mondo dei morti, dove una serie di eventi e scoperte lo porteranno a cercare il suo bisnonno in cerca di una benedizione per tornare tra i vivi e poter suonare in libertà.

Sulla carta, potremmo quasi parlare di un banalissimo film on the road, ma in realtà c’è molto di più: Coco è un film di formazione che parla di sogni e famiglia, due temi molto difficili da bilanciare ma che emergono in modo più che solido grazie ad una sceneggiatura impeccabile e che, al netto di alcuni eventi prevedibili, riesce a mantenere sempre alta l’attenzione dello spettatore, accompagnandolo in modo eccellente durante lo svolgimento grazie ad una coerenza narrativa che, come da tradizione Pixar, permette di approfondire tematiche che raramente vengono maneggiate con una cura simile, prima fra tutte l’idea della morte. La morte in Coco non viene mai vista come una fine, ma anzi l’opportunità di vivere una felice esistenza ultraterrena fintanto che qualcuno si ricordi dei defunti: sfruttando l’escamotage del Dia de los Muertos, anche la tematica più cruda riesce ad essere somatizzata in modo positivo, ovviamente senza rinunciare a momenti di commozione autentica e ben lontani dall’essere forzati o scomodi, diventando automaticamente uno dei film più umani di sempre dello studio, quasi paradossale se si pensa che gran parte del film si svolge tra i morti.

La paura della morte si tramuta infatti nella paura di essere dimenticati e dunque l’idea del ricordo diventa automaticamente la colonna portante di ogni evento, emergendo prepotentemente nelle fasi finali del film e che permette ad una storia non proprio brillante di rivelarsi come perfettamente incastonata nel contesto, capace di offrire un messaggio tenero e dolce sia per gli adulti che per i bambini. A tal proposito vi precisiamo che non siamo di fronte ad un dramma: nonostante gli elevati messaggi, Coco fa anche ridere di gusto, grazie ad una caratterizzazione dei personaggi ottima e che fa divertire anche senza abusare della linea comica rappresentata da Dante, il cane giuggiolone di Miguel, offrendo dunque una pletora di personaggi e situazioni che sfruttano l’immancabile citazionismo Pixar per offrire spunti gustosi, immersi però in un contesto messicano che rende credibile ogni scelta narrativa e contestualizza un’avventura destinata a diventare un nuovo classico della casa. Menzione speciale per un omaggio all’artista messicana Frida Khalo e richiami tanto alla cultura popolare che a quella tradizionale dell’ambientazione, che testimoniano il grande lavoro realizzato in preproduzione per essere il più fedeli possibili ai tanti volti del paese centroamericano.

Un altro esempio di grandezza di Coco è inoltre il comparto tecnico: è una cosa che non dovrebbe stupirci più di tanto, in realtà, visti i passi da gigante che l’animazione e la tecnologia hanno compiuto di pari passo, tuttavia la resa visiva di Coco è semplicemente straordinaria. Ogni animazione gode di un’attenzione certosina ai dettagli più trascurabili e l’ambientazione messicana ha permesso al team artistico di giocare con i colori in modo stupefacente tanto nel mondo dei vivi che in quello dei morti, offrendo allo spettatore panoramiche e sequenze mozzafiato in termini di bellezza e complessità. Impossibile non restare rapiti dai numerosi giochi di luce e l’ingresso in scena degli allebrije, gli spiriti guida messicani, è semplicemente spettacolare e mostra le sempre più indiscutibili velleità creative dello studio, al punto da rendere quasi obbligatoria una seconda visione per osservare nuovamente quello che è considerabile un nuovo standard artistico da superare.

Il comparto musicale vive invece su due strade ben distinte: da un lato abbiamo Michael Giacchino, autore di una colonna sonora fatta di temi orchestrali sapientemente mescolati alla tradizione musicale messicana del mariachi e non solo, in grado di caratterizzare in modo distinto numerose sequenze del film. Dall’altro, invece, canzoni realizzate ad hoc e che vengono utilizzate nel modo più disneyano possibile ma senza sfociare nell’effetto musical tipico delle produzioni della casa di Topolino: le canzoni sono infatti sempre contestualizzate all’interno del film attraverso esibizioni musicali oppure in momenti topici dove la musica diventa il veicolo principale di informazioni ma soprattutto emozioni. Una scelta decisamente inedita ma necessaria visti i preamboli della pellicola e che tocca il suo picco massimo in Ricordami, canzone cantata in italiano da Michele Bravi e tema portante del film, presumibilmente già superfavorita alla corsa agli Oscar per il suo messaggio toccante e talmente potente nei momenti risolutivi, che sarà impossibile non trattenere le lacrime, cosa che è accaduta anche durante la nostra anteprima stampa (si, ho pianto un po’ anche io, ndr).

Parlando dell’adattamento italiano Disney come sempre è foriera di alta qualità: ogni voce è perfettamente azzeccata, soprattutto nel caso dei talent che, nelle mani sapienti di Massimiliano Manfredi riescono comunque ad offrire una buona performance. A voler trovare il pelo nell’uovo, la versione originale del film offre un ulteriore spunto di coerenza narrativa, in quanto si avvale di un cast latino che rende la pellicola ancor più fedele alla sua ambientazione. Tuttavia, il lavoro di doppiaggio nostrano si conferma comunque lodevole e di alto livello.

Verdetto

Coco è destinato a diventare l’ennesimo capolavoro di Pixar. Nonostante una sceneggiatura a tratti prevedibile, il film affronta tematiche estremamente delicate e riesce ad essere leggero e godibile per tutti, portando un messaggio di speranza incredibilmente bello. Il livello tecnico setta inoltre un nuovo standard nell’animazione e l’utilizzo inedito della musica rendono il film qualcosa di davvero difficile da dimenticare.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.