Ars Scribendi – Undicesima puntata

La fantascienza

Là dove il fantasy si focalizza di fatto sulla magia e sull’esoterismo come elemento fantastico di riferimento, con un’ambientazione che si rifà in genere alla storia e alle civiltà antiche, ovvero al passato, la fantascienza è proiettata verso il futuro, avendo come elemento centrale la scienza e la tecnologia.

Pensare tuttavia che per scrivere un buon racconto o un romanzo di fantascienza basti costruire un’ambientazione tecnologica o aliena d’effetto è un errore. Perché una storia sia valida deve avere una trama solida, e quest’ultima deve essere poi realizzata con una buona tecnica dal punto di vista letterario. Uno scrittore è, prima di essere uno scrittore di fantascienza, fantasy, horror o quant’altro, uno “cantastorie”, appunto. Non bisogna dimenticarlo mai.

Una buona storia è fatta di personaggi e situazioni. I primi devono essere comunque realistici, per quanto alieni o “estranei” possano essere; le situazioni devono essere coerenti, ben costruite, attendibili, anche in un’ambientazione fantastica. Le storie sono fatte di sentimenti, di emozioni, di paure, non di meri fatti e avvenimenti. Quella è cronaca. Uno scrittore non è un giornalista, che riporta accadimenti e circostanze, ma un artista che cerca di coinvolgere il lettore nella propria opera. Questo vale per qualsiasi genere e in particolar modo per quelli fantastici, dove la tentazione è di giocare eccessivamente su questo elemento, dimenticandosi di metter su una buona trama.

In che cosa allora l’elemento fantastico aiuta o su cosa influisce? Sostanzialmente sulle possibilità o, se si preferisce, sulle opportunità. Introdurre una civiltà aliena può creare le condizioni adatte a parlare, ad esempio, di “diversità”, in un modo che non sarebbe possibile in un romanzo realista. Se ci appoggiamo alla realtà siamo costretti a usare ciò che esiste; possiamo portarlo all’estremo, addirittura arrivare al paradosso o all’assurdo, ma sempre all’interno di determinati confini. L’elemento fantastico ci offre l’opportunità di uscire da questi confini e di provocare il lettore portandolo a confrontarsi con situazioni alle quali non aveva pensato.

Esistono molti tipi di fantascienza: da quella più tradizionale legata allo spazio e a civiltà extraterrestri, a quella sociologica e politica, proiettata su un un futuro più o meno remoto, con tutte le ibridazioni possibili, storiche, poliziesche, horror e chi più ne ha più ne metta. Non esistono limiti.

Per semplificare, possiamo tuttavia classificare la fantascienza in due tematiche: quelli in cui la tecnologia è un elemento centrale, oppure quelli in cui lo è il modello sociale e/o comportamentale. Questa categorizzazione può interessare in realtà ogni sottogenere e i due temi possono anche essere presenti contemporaneamente, anzi, spesso lo sviluppo tecnologico viene visto come un fattore capace di modellare la società e quindi i comportamenti degli individui.

Consideriamo ad esempio l’incontro con una civiltà aliena, quello che si chiama “il primo contatto”. Potremmo puntare l’attenzione del lettore sulle conseguenze sul piano tecnologico, ad esempio l’introduzione di una tecnologia avanzata su una civiltà, quella umana, ancora arretrata rispetto a quella extraterrestre. In questi casi non è neppure necessario che la civiltà aliena in questione sia ancora viva. Magari il contatto avviene con dei manufatti antichi, dei quali si impara col tempo a capire il funzionamento. Potremmo pensare a dei “cancelli” per poter saltare da un mondo a un altro, ad esempio.

Oppure potremmo puntare tutto sulla diversità, sull’impatto sociale, sulla reazione di questo o quel gruppo religioso all’arrivo degli alieni, su come il primo contatto possa sconvolgere una serie di valori e certezze acquisite nel corso di secoli. Sempre che non si sia noi gli alieni, e la civiltà arretrata essere quella extraterrestre.

La fantascienza sociale può lavorare su molte dinamiche diverse: dal semplice futuro come evoluzione della società che conosciamo, a storie alternative, a futuri post-apocalittici, a evoluzioni parallele o divergenti di colonie terrestri che hanno mantenuto o dimenticato il legame con la terra d’origine.

Chiunque abbia letto fantascienza avrà riconosciuto in questi esempi molti dei romanzi che ha letto. Sarebbe un errore tuttavia decidere di scrivere un romanzo partendo da questi schemi. Lo schema viene dopo. Prima viene la storia.

Come si sviluppa quindi una storia di fantascienza? Spesso dalla domanda “cosa succederebbe se…?”. In pratica si costruisce una situazione e ci si pone il problema di come potrebbe svilupparsi. Spesso si sa già come finisce: le migliori storie sono quelle che si scrivono dalla fine, non dall’inizio. Far partire una storia è facile, farla finire no. Se si parte dall’inizio poi ci si troverà nell’imbarazzante situazione di dover trovare un finale che sia all’altezza della trama che si è sviluppata e quindi delle aspettative che si sono create. Se si parte dalla fine, e la fine è affascinante, sorprendente, rispondere alla domanda “Ma qui come ci sono arrivato?”, è molto più facile.

Una volta definita la fine di una vicenda e quindi aver ripercorso a grandi linee i passi che ci hanno portato a tale esito, possiamo decidere quale ambientazione sia più adatta a “vestire” la trama che abbiamo ipotizzato: meglio un mondo alieno o un futuro remoto? Il “diverso” è più opportuno che sia un extraterrestre oppure una creatura artificiale, un essere cibernetico? Ci troviamo in un mondo ad alta tecnologia oppure in un ritorno al passato dopo una catastrofe di qualche genere? Ognuna di queste scelte deve aiutare la trama a svilupparsi. Non introducete mai un elemento se non è davvero funzionale alla storia. Tra l’altro, troppi elementi diventano in breve ingestibili. Cercate di mantenervi sul semplice all’inizio: a complicare il tutto o ad allungare il brodo, se serve, c’è sempre tempo.

Quindi, ricapitolando: prima si stabilisce un esito della storia, poi la si svolge al contrario fino all’inizio, infine la si immerge in un’ambientazione.

A questo punto entra in gioco la parte “tecnica”. Bisogna sapere di cosa si stia parlando. Tenete presente che spesso anche grandi scrittori o registi hanno preso strafalcioni per aver sottovalutato questo aspetto. Certo, se la storia è buona, aver detto una fesseria da un punto di vista scientifico potrebbe persino passare inosservato, ma un buon scrittore di fantascienza dovrebbe sempre essere attento ai dettagli, soprattutto a quelli relativi alla tecnologia.

Un esempio è il film “Alien Covenant”, di Ridley Scott, splendido regista, ma che proprio all’inizio della pellicola fa colpire l’astronave da una tempesta di neutrini. Di tutte le particelle che poteva scegliere è andato a prenderne una che interagisce così debolmente con la materia da attraversare la Terra senza neanche accorgersi di averlo fatto. Sarebbe bastato usare una particella dotata di carica per rimediare allo svarione che, tuttavia, sarà stato notato solo da pochi. Peccato veniale, quindi, ma facilmente evitabile.

Quando si scrive un libro non si può sapere chi lo leggerà, quindi essere accurati è un atto dovuto. Non si deve diventare maniacali a riguardo, ma deciso, ad esempio, che un’astronave debba essere danneggiata da un’ondata di “qualcosa”, basterà fare due chiacchiere, anche per telefono, con uno studente di astrofisica, per decidere cosa.

Più complesso è il discorso relativo agli alieni. Tanto per cominciare l’aspetto. Può essere antropomorfo, basato su un animale oppure ibrido. Alieni davvero alieni sono piuttosto difficili da realizzare, perché inevitabilmente finiremo per introdurre nella loro morfologia qualcosa di terrestre. Ad esempio gli insetti di “Fanteria dello spazio”, peraltro molto ben realizzati. Oppure i tanti alieni umanoidi di Star Trek o Star Wars, persino eccessivamente antropomorfi. Uno dei migliori è sicuramente Alien di Ridley Scott, appunto, che ha saputo anche sviluppare tutto il ciclo vitale dello xenomorfo.

Se l’alieno si trova su un pianeta, tuttavia, assicuratevi una certa coerenza fra le caratteristiche del pianeta d’origine, ovvero gravità, pressione e composizione atmosferica, illuminazione, temperatura, cicli stagionali e via dicendo, e la forma dell’alieno stesso. Esiste una scienza chiamata esobiologia che studia proprio queste cose, ovvero si pone, fra gli altri, il problema di quali forme di vita potrebbero svilupparsi a partire da determinate condizioni planetarie. Fare due chiacchiere con un esperto del settore potrebbe tornare utile prima di avventurarsi in questo campo.

Lo stesso vale per il filone dell’intelligenza artificiale, della cibernetica, delle tante e varie tipologie di rivolte di robot, androidi e forme di vita digitali. Parlare con un esperto di informatica e, soprattutto, di reti neurali, potrebbe aiutare e non poco.

Ci sono tuttavia anche altri modi di sviluppare un soggetto fantascientifico. Uno di questi si rifà alla realtà. La nostra storia è piena di esperimenti sociali, spesso molto circoscritti che, estremizzati od opportunamente modificati, possano a tutti gli effetti essere presentati come fantastici. Analogamente esistono molte creature strane sul nostro pianeta, soprattutto nel mondo del microscopico, che possono essere utilizzate come modello per una morfologia aliena. Un esempio è il famoso tardigrado, adottato anche nella recente serie Star Trek: Discovery.

I problemi maggiori, tuttavia, si riscontrano quando si vogliono fare i conti con teorie complesse, spesso travisate, che se non ben conosciute possono portare a situazioni paradossali e poco sostenibili. Parlo di teorie come quelle della relatività ristretta o generale, oppure della meccanica quantistica. Affrontare questi argomenti senza un’opportuna preparazione può persino creare situazioni ridicole e senza senso. Quindi prendete in considerazione queste discipline solo se strettamente necessario. Domandatevi sempre “Posso usare qualcosa di più semplice per giustificare la mia trama?”. Spesso è così, quindi fatelo.

Torniamo agli alieni. Abbiamo creato la nostra specie aliena, ma cosa la contraddistingue a parte l’aspetto? Ha tre sessi diversi, con tutta una serie di implicazioni nei rapporti interpersonali? È votata a una religione “guerriera”, rendendola così particolarmente aggressiva? Sono ottimi commercianti? Pirati spaziali? Non si è alieni sono nella forma, ma nella personalità. Fare degli alieni che sono solo esseri umani rivestiti con un’altra pelle è banale. Lavorate sulla struttura sociale, su quella politica, sugli usi e sui costumi. Disegnate l’abbigliamento, il modo di nutrirsi, di riprodursi, i tabù e gli atteggiamenti “normali” di quella specie. Usate la tecnica “un giorno con un alieno”, ovvero immaginate la giornata tipo del vostro alieno dalla mattina al giorno dopo. Non importa se ne userete solo una parte nel vostro romanzo. Vi servirà per creare un alieno credibile.

Altri filoni sono quelli dell’ucronia, dell’utopia e della distopia. Qui la competenza di base è quella storica. Prendiamo l’ucronia, ovvero la storia alternativa. Cosa sarebbe successo se non avessero ucciso Giulio Cesare, se la Rivoluzione Francese fosse fallita, se Hitler avesse vinto la Seconda Guerra Mondiale. A queste domande si può rispondere in modo banale oppure no. Ad esempio, non è detto che se Hitler avesse vinto ora l’Europa sarebbe nazista. Magari il nazismo avrebbe imperato per altri dieci anni per poi dar luogo alla Rivoluzione Centroeuropea, portando per assurdo ad avere quella Federazione Europea che oggi noi stiamo cercando di costruire con molta fatica. La Storia non è mai lineare nel suo svilupparsi.

Le società utopiche e distopiche sono modelli alternativi, il primo ideale, o pensato tale da chi ci vive, il secondo spaventoso, delirante. A volte le due cose coincidono, ovvero ciò che è ideale per una civiltà può essere inaccettabile per un’altra, e questo offre lo spunto per un confronto fra modelli e culture differenti.

Senza buone basi di storia, sociologia e antropologia, scrivere un romanzo di questi sottogeneri può essere molto rischioso. Una serie televisiva molto interessante, basata sui racconti di Philip K. Dick è “Electric Dreams”. La consiglio vivamente.

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Ma torniamo alla costruzione della storia. Nella fantascienza esistono due formati tradizionali: il romanzo e il racconto breve. Il racconto esiste ovviamente in tutti i generi letterari e può essere breve, ovvero sotto le 10 cartelle, lungo, fino a 50, per poi diventare romanzo breve, sotto le 150 cartelle, o lungo, dalle 150 in su. Tuttavia nella fantascienza il racconto breve ha una sua importanza, dato che è perfetto per la pubblicazione sui quotidiani. In effetti è proprio su questi che vediamo, verso la fine dell’Ottocento, la prima fantascienza. I giornali sono stati sempre un canale importante per promuovere questo genere letterario, poi consolidatosi nel romanzo d’autore.

Scrivere un racconto breve è relativamente facile: serve un’idea. Può essere fatto di getto, se si è bravi. Quello che è difficile è saperla riassumere in poche cartelle, ma di fatto un racconto breve è “una fine con un prologo”, ovvero si parte dall’idea specifica, per poi costruirgli un qualche esordio che porti il lettore a qualcosa di inaspettato, sorprendente. Pensate a “The Sentinel” di Arthur C. Clarke oppure al primo “Enemy Mine” di Barry B. Longyear.

Un racconto lungo o un romanzo, richiedono invece maggiore impegno, perché mantenere l’attenzione a lungo è sempre più difficile. Non basta un’idea, per quanto originale. Bisogna saper costruire un’ambientazione, dei personaggi, dare loro spessore e soprattutto non dare mai al lettore troppi elementi per comprendere il finale. Da questo punto di vista un romanzo di fantascienza è simile a un poliziesco: non c’è necessariamente un assassino da scoprire, ma il finale deve colpire il lettore. Col fantasy è più facile: in genere la fine della storia è un ritorno a casa con un risultato più o meno positivo, ma la fantascienza deve sempre sorprendere.

Quando scrivete un romanzo di fantascienza dovete giocare molto sulla tensione e sulla curiosità. Ogni capitolo deve spingere il lettore a leggere il successivo, a domandarsi: “E poi, che succede?”. Non preoccupatevi troppo di essere originali. Una buona storia non deve necessariamente essere originale, ma ben raccontata. Essere originali è oggettivamente difficile dato che fino a oggi è stato scritto di tutto e di più. Persino se pensate di esserci riusciti, potrebbe prima o poi uscire fuori uno sconosciuto scrittore, qualcuno che nemmeno pensavate esistesse, che l’ha raccontata prima di voi. Quindi, concentratevi sulla storia, non sull’idea brillante. Datele solidità.

Un ultimo aspetto tipico soprattutto della fantascienza ma ritrovabile in parte anche nel fantasy è quello della creazione di universi che diventano poi l’ambientazione ideale di tutta una serie di storie, vostre o di altri. Se riuscirete a creare tali mondi, è possibile che altri autori decidano di ambientarvi le loro storie. Non offendetevi, anzi, consideratelo un motivo d’orgoglio. Ispirare altri scrittori è forse la cosa più bella che possa succedere a un autore. Voi stessi potreste poi essere tentati di scrivere nuovi romanzi o racconti che potrebbero essere slegati del tutto dalla storia originale, o riprendere personaggi secondari che siano venuti particolarmente bene, generando così degli spin-off.

Molti critici letterari considerano la fantascienza una letteratura da intrattenimento, non paragonabile alle opere più o meno “impegnate” ambientate nella realtà moderna o nella storia. È un errore di fondo che nasce dal fatto che inizialmente, molta fantascienza, era stata scritta appunto per intrattenere in modo “leggero” il lettore di quotidiani. Ma una storia è una storia e, se ben scritta e ben strutturata, quale sia l’ambientazione è del tutto secondario.

Per questo non amo i premi letterari di genere: perché finiscono per diventare una sorta di autoghettizzazione della narrativa fantastica. A mio avviso i romanzi di fantasy, fantascienza e horror dovrebbero competere a pari dignità con altri generi letterari nei concorsi letterari nazionali e internazionali, perché una buona storia merita sempre di essere letta, qualunque sia il genere. Chissà, forse un giorno un bel romanzo di fantascienza vincerà un Premio Campiello o Strega, ma prima bisognerà aspettare una nuova generazione di critici letterari, meno “ingessati” su certi pregiudizi.

A cura di Dario de Judicibus