Il talento di Junior e l’elogio del silenzio

Editori che pubblicano autori, autori che cercano editori per i loro progetti. Nell’Olimpo di ciò che già funziona nel variegato mondo del fumetto, è solo un esercizio filosofico capire se è nata prima la gallina o l’uovo. Ma quando le cose sono ai loro inizi, riconoscere le rose che fioriranno potrebbe essere attività densa di dubbi.
Stefano Bonfanti, che nel suo bipolarismo autore-editore vede spesso entrambi i lati della medesima barricata, si duole pubblicamente di tutti quei dubbi che sorgono quando i dubbi… non ci sono.

Junior ha talento.
Junior ha molto talento. Questo è quello che viene continuamente ripetuto dai suoi genitori, amici e compagni di scuola. E, oggettivamente, guardando i suoi lavori sembra del tutto evidente.
Quello di Junior è un talento indomito e innato: sa disegnare sin da quando si ricorda, ha uno stile unico e personale, nato semplicemente dall’osservazione del mondo e dalla sua profonda passione. Non ha avuto bisogno di studi, Junior. Studia chi qualcosa non la sa, non chi l’ha sempre saputa. E, diciamocelo, alla fine tutte quelle cose imparate meccanicamente, “a pappagallo”, rendono tutti omologati, magari precisi esecutori ma di uno stile che non è loro, quand’anche non restino completamente negati nonostante gli sforzi.
Oppure magari Junior può anche studiare, però giusto per sapere di aver rispettato tutta la barbosa procedura, che è tanto amata dalle cariatidi del settore, in modo da mettere a tacere sin da subito le loro paranoie accademiche.

Ma ora per Junior è il grande momento. Ormai da tempo – giorni, forse settimane – ha in mente il suo grande progetto. Il progetto che finalmente gli farà fare il salto della barricata e che permetterà al mondo di venire a conoscenza del suo enorme irrefrenabile talento.

Non resta che tornare a casa, mettere mano alle matite e prendere coraggio per proporre il tutto a un editore. Un danaroso mecenate che renderà Junior ricco e famoso non appena si renderà conto dell’esplosivo potenziale del suo progetto. Se l’editore sarà abbastanza lungimirante, è ovvio.
Perché sappiamo che alla fine, gli editori non pubblicano necessariamente ciò che vale, quanto piuttosto il grande nome, ormai famoso, che però non ha più niente da riservare.
Ma ci penserà Junior a far capire all’editore di quale grande occasione si tratta.

Ecco, questa è la realtà. La realtà secondo Junior, è ovvio.
E in ogni paese, in ogni città, in ogni quartiere, c’è sempre uno Junior in agguato.
Ragazzi, se non è un problema.

Anch’io ho avuto la mia piccola fase da Junior, lo confesso.
E quando siamo Junior, non ci rendiamo conto di quanto immacolate e intellettualmente disoneste siano le nostre menti imberbi: il mondo è un videogioco e stiamo iniziando dal primo schema, quello facile. Ma già con la prima monetina contiamo di portarci avanti ben più di tanti concorrenti che – poveretti! – non si rendono conto che quel posto spetta sin da adesso a noi. Farebbero meglio a far largo e accontentarsi delle briciole che lasceremo.

Ma insomma, anche Stefano Junior ha dei trascorsi che il Senior preferirebbe rinnegare. E se non lo fa è perché alla fine, fra colpi di fortuna o educativissime mazzate nei denti, il suo spaziettino se l’è conquistato anche grazie all’imbarazzante intraprendenza del suo precedente sé.

Magari, con un po’ di bella autoironia, può sbeffeggiarlo e far finta di essere ormai qualcun altro, non senza un misto di tenerezza e di nostalgia dei bei tempi, in cui si pensava che le rose e i fiori fossero così fitte da celare completamente il fitto strato di concime animale che li fa crescere.

La fortuna della mia posizione è che potrò dipartirmene da questo mondo con la soddisfazione di aver guardato bene entrambi i lati della barricata: tanto il giovane di belle speranze – più o meno fondate – quanto l’anziano esaminatore, quello a cui tocca il lavoro sporco.

Stefano Junior viveva la sua passione in maniera estremamente giocosa, con l’alibi di aver scelto la strada del fumetto umoristico. Quasi restava stupito di quanta sobrietà avevano ostentato illustri esponenti della medesima arte – seppure mediante lupi, paperi, topi e ratti anziché cinghiali – le volte che li aveva incontrati di persona. Non perdeva occasione di scherzare e trasporre nel suo atteggiamento personale le gag che si dilettava a mettere su carta.

Con altrettanta leggerezza, un editore illuminato avrebbe fatto bene a non esitare un attimo prima di rendere Stefano Junior il suo autore di punta. E, il caso volle, che un editore di un certo peso – da numerosi punti di vista – facesse l’errore di essere fin troppo leggero.

Fiera del settore, secolo scorso. Vedendosi porgere il colorato fumettino autoprodotto di Stefano Junior, l’editorone esclamò un cortese “oooh!”. Ma ancor più masochisticamente, non ricordo bene come, buttò lì una sorta di invito ad approfondire la conoscenza.
E se l’entusiasmo di Stefano Junior andava già a così tanti giri da fondere il motore di una Lamborghini, un “ti telefono!” sussurrato dal magnate, con tanto di manina a forma di cornetta telefonica, lo fece schizzare oltre il sistema solare.

Stefano Junior aveva letto “Come si diventa Autore di Fumetti”, l’imperdibile saggio che quel saggio di Alfredo Castelli aveva scritto tempo prima e quindi sapeva che – per le persone normali – era fortemente sconsigliato riempire di telefonate le redazioni delle case editrici, dato che è completamente inutile per accelerare i tempi e riesce solo a creare un discreto imbarazzo.
Ma il saggio del saggio non diceva niente in merito alle e-mail.
Insomma, forte del fatto che quell’imprudentissimo “ti telefono!” lo avesse fatto entrare di diritto nella schiera dei privilegiati, Stefano Junior iniziò a martellare.

junior

Adesso, che il nuovo secolo è già abbondantemente intrapreso, posso solo provare comprensione per l’editorissimo in questione, specie per quando fu messo alle strette e inviò una paziente e-mail di spiegazioni, ricche di dettagli come i dati di vendita in calo di un – fino ad allora – forte titolo di licenza o l’imminente “addio, mi metto in proprio” di un maxi-autore che fino ad allora gli aveva riempito le casse.

Alla fine, di fronte a un’orgia di prove del genere, dovetti cedere e desistere, non senza un certo rammarico e sicuramente dopo un’agonia estenuante. Chissà cosa sarebbe stata la mia vita se un editore autolesionista avesse accolto le mie produzioni ancora assolutamente immature, cullandomi nella falsa consapevolezza di una qualità che non c’è e gettando la mia reputazione per sempre in pasto al grande pubblico. Pericoloso per me partire senza rodaggio, non oso pensare per le sue casse, già prosciugate dal periodo di magra.
Ma il punto non è se avermi reclutato o meno. Il punto è la goffaggine con cui ha gestito le mie avances quando era ovvio che non facevamo sul serio.

Ed eccomi qua dalla barricata, a fare tesoro più dei suoi errori che dei miei.
Chiaro che vado a parlare solo di una parte delle proposte che mi vengono avanzate perché, ringraziamo il cielo, mi passano davanti anche progetti dignitosi e atteggiamenti professionali.
La domanda che, come da prassi, nasce spontanea è: quando ti capita uno Junior, qual è la cosa giusta da fare? Prendere tempo incoraggiandolo con promesse di telefonate future? Tagliare corto con un “no” più o meno circostanziato? O un più semplice, meno dispendioso e più elegante silenzio?

Colleghi di varia fatta e natura decantano molto la prassi in vigore negli altri Paesi: anche se è un “no”, va comunque detto esplicitamente. Nobile, invero. Dà valore e dignità alla persona che ti si presenta e ti mette al riparo dalle accuse di spocchiosità.

Ma guardando all’iter che Stefano Junior ha percorso, e non solo prima di diventare una persona seria, i miei dubbi sorgono eccome.
In realtà, per quanto inizialmente sopravvalutassi le mie capacità, non mi sono mai esposto troppo. Le proposte di progetti che ho avanzato a editori terzi si contano sulle dita di una mano e solo il dito medio è stato verso un editore francese.
Tra l’altro, fu addirittura qualcosa di molto soft: già col ruolo di disegnatori per quell’editore ma solo su progetti altrui, a una fiera parigina chiacchieravamo con un’editor e l’argomento volse su ciò che abitualmente facevamo come autori completi al di qua delle Alpi.
“Dai, prepara un dossier e mandacelo, che lo valutiamo!” fu detto in madrelingua francese.
Di fronte a una proposta del genere riuscimmo a vincere la ritrosia accumulata negli anni e, nel giro di una settimana, il dossier era già sulla scrivania dell’editeur.

Ecco, se ogni medaglia ha il suo rovescio, posso dire che – abituati all’italico atteggiamento – quell’apertura per noi già suonava come una proposta di matrimonio.
Salvo che, il “non, merci” pervenuto qualche tempo dopo, suonò come un divorzio prima ancora di aver consumato le nozze.
E allora, i seri dubbi di Stefano Senior, quando un qualche Junior gli propone il progetto che lo farà diventare ricco ma lui non lo sa, sembrano diventare piuttosto fondati.
È la teoria dei giochi: quando la maggior parte dei colleghi a vario titolo non ha l’abitudine a gettare acqua fredda sulle illusioni di Junior, perché devo diventare io il cattivo con un “no” esplicito?

Chiaro che, nel momento in cui ho davanti un professionista, so bene che l’unico mio onere è trovare quel minimo di diplomazia per comunicargli qualcosa che è semplicissima parte del gioco. Tu proponi, io valuto e niente è scontato. Entrambi sappiamo che con un “no” siamo amici come prima.

E comunque, anche fra professionisti non è così abituale compromettersi con risposte definitive. Dall’altro lato della barricata ho visto progetti che nascevano, finivano nel limbo, ripartivano dopo mesi, si modificavano, finivano in nuovi e ancor più incerti oblii, per poi – a volte – concretizzarsi. Personalmente non mi sono mai sentito denigrato da una mancata risposta (salvo casi in cui gli interlocutori si sono dati esplicitamente alla macchia), anche perché le occasioni estemporanee di riaprire le parentesi abbondano. E altrettanto mi aspetto dai professionisti che mi si interfaccino quando sono da quest’altra parte della barricata.

Ma con Junior è ancora diverso. Con lui la risposta sarebbe istantanea e tassativa, se non che i motivi che rendono d’oro il silenzio sono altri.
Junior, nel momento stesso in cui si fa avanti, dà la prova del nove dell’assoluta incapacità di valutarsi impresentabile e le sue scarse competenze gli renderanno incomprensibile un rifiuto. Sì, lo so che a qualcuno stanno ronzando in testa le parole “Dunning-Kruger”: esatto, è proprio quella roba lì.
Ma, nella pratica, se per Junior la propria superiorità tecnica e artistica è un fatto, come può interpretare un rifiuto? A occhio e croce direi come qualcosa che sta in un punto indefinito fra l’insulto e l’atto di guerra.
Ricordo ancora quando, in una fiera, un sedicente disegnatore mi mostrò il suo portfolio. Una sequela di goffe copie di personaggi disneyani, assolutamente dilettantesche. Le pagine si susseguivano come un disco rotto e mentre lo sfogliavo sotto il suo sguardo interrogativo, il mio imbarazzo cresceva. Pensai che, se forse mi fossi buttato sul commento tecnico, l’oggettività delle mie rimostranze avrebbe reso scontata la risposta globale. “Guarda, qui il personaggio è sproporzionato, l’attaccatura del busto è scorretta, manca la tridimens…” – “Sì, ma…” mi interruppe bruscamente lui: “Mi prendete a fare le matite?”
Non riuscivo a parlare, dato che la mia bocca era troppo impegnata a spalancarsi dallo stupore.
Pronunciai un “eh?!” che suonava quasi un “oh?!”, al che Junior ripeté: “mi prendete a fare le matite?”

Cosciente di non avere un reparto in cui legno e grafite venivano combinati in piccoli utensili da scrittura, compresi la portata della domanda e, di getto risposi lo stesso “no” che si direbbe a qualcuno che ti propone di scambiare tua figlia con una collezione di dischi di Gigi D’Alessio.
Al che, rullo di tamburi, Junior chiese con candido stupore “perché?”
Non ricordo bene cosa gli risposi: i miei neuroni si ingolfarono di concetti basilari, entusiasti di esser finalmente degni di un fiato che li esprimesse. Ma l’ingorgo ne fece uscire solo una piccolissima frazione, mentre il linguaggio corporale probabilmente ebbe la meglio, dato che il tizio si allontanò bofonchiando indispettito.

Per un po’ ho meditato su cosa, di preciso, mi abbia fatto perdere l’aplomb.
Forse era il carico delle nottate passate a sgobbare e a darci di gomma ogni volta che saltasse fuori una prospettiva sbagliata, un errore anatomico, una composizione non convincente: mi sentivo scemo ad aver versato ogni singola goccia di sudore, quando evidentemente bastava così poco per pretendere un posto a “fare le matite”.

E allora, al suddetto dubbio su come affrontare gli Junior, non posso certo rispondere con una regola generale, ma sicuramente so qual è la mia strada.
Potrei essere franco e diplomatico, potrei portarci avanti un carteggio e in qualche modo comporre pacificamente la disputa. Potrei, sì, ma solo se fossi qualcun altro, magari pagato per farlo.

E invece, per la mia piccola esperienza personale, preferisco depennare le promesse di telefonate o le partite a scacchi contro i piccioni, accodandomi senza remore – ora posso dirlo con cognizione di causa – alla prassi più elegante e comune che vige qui nel Bel Paese.
D’altronde, se dall’altra parte delle Alpi esiste il “no, grazie” noir sur blanc, da questo versante ricordiamoci che siamo la patria del Sommo Poeta.
Che elegantemente ci insegnava: “non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.

Stefano Bonfanti
Disegnatore, editore e scrittore di cose buffe. Laureato con lode in Economia in un attimo di smarrimento, si è gettato nel mondo delle nuvolette di carta con lo pseudonimo Dentiblù assieme al suo alter-ego al femminile Barbara Barbieri. Disegnatori ed editori, uniscono questa doppia natura nel loro Zannablù. Illustratori e creativi per il marketing, potrebbero aver progettato la sorpresina dell’ovetto al cioccolato che stai mangiando adesso.