Dopo diciannove anni (e l’acquisizione del franchise da parte di THQ Nordic), la serie Comanche fa di nuovo capolino con un titolo fortemente incentrato sull’esperienza multigiocatore online. Gli elicotteri di NovaLogic riusciranno a volare ancora alti, ora che hanno genitori diversi?

Per qualche videogiocatrice o qualche videogiocatore Comanche potrebbe riecheggiare un’epoca videoludica molto specifica. Quella dei simulatori di più o meno qualunque cosa, rigorosamente su PC e venduti in scatoloni di cartone sproporzionatamente grandi. Sicuramente qualcuno di voi ricorderà quei tempi – e la serie in questione – con affetto e non vi biasimo affatto. Chi vi scrive, però, non ha quel legame emotivo con questi giochi che anzi ho sempre trovato eccessivamente sfacciati ed espliciti circa la loro correlazione con le forze armate e la propaganda militarista.

Insomma, erano altri tempi e i videogiochi erano decisamente meno cauti nel riversare sull’utenza i loro messaggi e quindi una domanda viene abbastanza spontanea: come può sopravvivere, oggi, una proprietà intellettuale come questa?

La risposta che è venuta a Nukklear Digital Minds, incaricata da THQ Nordic di occuparsi di questo reboot dopo l’acquisizione della serie dalla ex-proprietaria NovaLogic, è – allo stato attuale di early access – a metà strada tra lo svilente e l’offensivo. Come ho già precisato prima, non sono mai stato particolarmente appassionato di simulazioni di volo o di titoli bellici ma non serve un occhio particolarmente allenato per rendersi conto del disastro che è venuto fuori su moltissimi livelli in questa nuova iterazione di Comanche. Prima di scendere nel dettaglio di quanto non funzioni nel gioco (e sono tante cose) facciamo un piccolo passo indietro per capire qual è l’offerta proposta.

In un modo, sulla carta, non dissimile a quello dei precedenti capitoli della serie, questo nuovo Comanche si presenta come un simulatore di battaglie aeree con elicotteri. Scontri a fuoco su scala più o meno larga a seconda dell’arena in cui si svolge il livello, possibilità di personalizzazione dei mezzi e grande spazio all’esperienza multiplayer. Non mancano ovviamente novità, re-implementazioni e modifiche alla formula.  Quindi sembrerebbe che l’obiettivo che gli sviluppatori volevano ottenere con questo titolo è quello più o meno classico dei reboot: riportare in auge un brand del passato, attirando gli appassionati, ma contemporaneamente fornire ai neofiti un prodotto fruibile in modo autonomo.

È però dopo molto poco tempo che l’operazione nostalgia inizia a mostrare le sue crepe. Le prime avvisaglie arrivano quando, aperto il gioco, ci si para davanti la possibilità di scegliere come calibrare il gameplay, scegliendo se preferiamo un approccio più arcade o uno più simulativo. Certo, oggi qualche aiuto è necessario e di fatto questo è un dettaglio di poco conto ma è decisamente emblematico di quello che è il più grosso problema di Comanche: non riuscire a far capire a chi gioca cosa sta giocando. Un titolo simulativo? No è troppo imperfetto e irrealistico nella gestione delle altezze e gli spazi di gioco hanno davvero poco a che vedere con l’ipotetico. Allora un gioco arcade? Nemmeno, perché alcuni movimenti rispondono a una fisica troppo particolare e sensibile. A prescindere dal livello in cui si gioca si è sempre in un limbo che è troppo o troppo poco, mai abbastanza per soddisfare la nicchia o il grande pubblico.

Comanche

Questa sensazione di non capire bene a chi sia rivolto il gioco è un gusto che rimane in bocca in ogni momento. Anche se si lasciasse da parte l’assolutamente superflua modalità singleplayer e ci si dedicasse al competitivo non è affatto chiaro quale sia il pubblico di riferimento. Perché sembra praticamente impossibile che ci sia qualcuno davvero interessato a sfrecciare in un cielo che ad un certo punto diventa troppo alto per dei bestioni ipertecnologici ma che contemporaneamente ti obbliga a fare manovre al millimetro in arene che definire poco ispirate sarebbe un eufemismo. Comanche vuole piacere a troppi pubblici diversi senza riuscire a convincere nessuno di essi, nascondendo goffamente mancanze di progettazione dietro alla necessità di dover imparare a giocare.

In un periodo come questo, però, la frustrazione e l’allenamento vanno resi più dolci e a piccole dosi e soprattutto costruiti con coerenza. E a proposito di coerenza a rompere definitivamente ogni equilibrio arrivano i droni, che in qualsiasi momento la giocatrice o il giocatore può decidere di sganciare prendendone il possesso. In poche parole in qualunque momento chi gioca può decidere deliberatamente di distruggere il ritmo di gioco (a spese sue e degli altri) spostando la bilancia fino ad allora calibrata su manovre fatte da mezzi di dimensioni importanti a infiltrazioni in cunicoli e spostamenti all’interno di spazi chiusi. Ancor di più, con questa aggiunta, si percepisce la totale imprecisione nella definizione di un target a cui sottoporre questo titolo.

Comanche

Allo stato attuale, Comanche è un titolo fortemente castrato dall’imprecisione e da una quasi assoluta mancanza di identità. Il gioco è incerto su se stesso, non riesce a far capire a chi sta giocando quale sia il punto su concentrarsi portando solo a una discreta noia che si converte in un dimenticarsi del titolo in poco tempo. Ho trovato davvero ben poco che mi portasse a considerare il titolo come un possibile nuovo blockbuster del mondo competitivo, perché troppo approssimativo in tutto quello che propone e mai abbastanza calibrato verso un modo specifico di giocare.

In buona sostanza siamo di fronte all’ennesimo reboot che vuole portare un franchise ormai dimenticato su un mercato in cui potrebbe avere uno spazio, se solo sapesse qual è quello che gli spetta. Un tentativo che non convince né come revival né come nuovo titolo su cui dedicarsi e che non fa altro che comunicare una generale e estremamente percepibile approssimazione ludica, visiva e progettuale.

 

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.