Don’t Deal with the Devil

Nella grande storia della Disney le Silly Symphonies rappresentano un vero colpo da maestro per il papà di Topolino, oltre all’inizio di un’innovazione tecnologica quasi senza precedenti. Nati come mero esperimento, si riveleranno uno dei prodotti di maggior successo dello studio, permettendo la realizzazione del primo lungometraggio Disney, Biancaneve e i Sette Nani. Esattamente come negli anni ‘30, Cuphead lasciò a bocca aperta tutti coloro che lo ammirarono durante l’E3 2014 e, nonostante non fosse ancora giocabile, si tramutò immediatamente in una delle esclusive Xbox One più affascinanti ed attese, grazie ad una forte componente hardcore mescolata a un design unico ispirato proprio alle “sinfonie allegre” e non solo. Finalmente, dopo tre lunghi anni, Cuphead è pronto a sbarcare e, tra occhi lucidi e imprecazioni irripetibili, possiamo dirvi che ne è davvero valsa la pena.

La trama ruota attorno ai due protagonisti del gioco, Cuphead e Mugman. Le due tazze antropomorfe vivono nella placida Isola Inkwell, senza preoccupazioni. Un giorno però decidono di disobbedire al loro “tutore”, Elder Kettle, per andare nel Casinò del Diavolo. Giocando a dadi i due vincono una fortuna senza mai perdere finché il proprietario del casinò, il Diavolo in persona, gli propone una scommessa rischiosissima: vincere tutto il bottino del casinò con un tiro oppure, sbagliando, lasciare le loro anime a lui. Cuphead lancia i dadi con foga, realizzando poco dopo il grave errore commesso: il tiro va male e il Diavolo è pronto a reclamare la sua vincita, tuttavia le due tazze pregano di essere salvate. Il Diavolo ci pensa e propone loro un nuovo accordo: i due fratelli dovranno recuperare le anime dei numerosi debitori del casinò e, in cambio, saranno salvi. Ovviamente accettano e, dopo aver parlato con Elder Kettle, si preparano ad esaudire il Diavolo, o forse ad ingannarlo.

La storia ordita da StudioMDHR è un mero canovaccio, necessario a motivare i giocatori il giusto e prepararli solo parzialmente al vortice di follia che gli sviluppatori hanno messo in piedi, poiché il cuore dell’esperienza di Cuphead è un gameplay che pesca a piene mani da quel mondo arcade fatto di Metal Slug, bullet hell e un pizzico di platforming, con risultati che ci hanno soddisfatto alla grande. La base di gioco è l’Isola Inkwell, che sostanzialmente funge da hub e collega tutti i livelli: divisa in tre aree, ognuna di esse ospita i vari boss debitori che dovremo affrontare con le nostre abilità di base. I comandi di Cuphead lasciano infatti spazio a numerose meccaniche tipiche degli sparatutto 2D, partendo dai classici tasti per saltare e sparare per arrivare ad una funzione di locking che ci permetterà di mirare in modo più preciso bloccando i nostri movimenti, nonostante l’azione ci lasci esposti ai colpi nemici, andando dunque usata con prudenza. Abbiamo inoltre uno scatto che potremo direzionare a piacimento, unamossa difensiva e il parry, che permette di bloccare alcuni proiettili vaganti garantendoci non solo dei movimenti extra che possono rivelarsi determinanti per sopravvivere, ma anche dell’energia bonus per i nostri colpi, generalmente in ricarica perpetua fintanto che colpiamo i nostri nemici. Eh sì, abbiamo detto “nostri” perché ci saranno ben due modalità offensive speciali a disposizione, le quali tuttavia differiranno in base al nostro equipaggiamento, che approfondiremo più avanti.

Cuphead mantiene fede alle sue origini: di fatto, siamo di fronte ad un titolo che è una perenne boss rush, tutto articolato in un numero di fasi variabili e che ci costringeranno spesso a cambiare il nostro approccio grazie alla diabolica (ehr) inventiva degli sviluppatori. L’articolazione dei livelli è incredibile dal punto di vista ludico: non ci ritroveremo mai a combattere un nemico due volte nella stessa maniera ma saremo spinti ad una sperimentazione continua, in parte anche grazie alle numerose volte in cui moriremo. La componente trial and error va d’altronde a braccetto con un gameplay che non ci vergogniamo a definire hardcore, dove l’abilità del giocatore fa sempre la differenza. Allo stesso modo, però, Cuphead non lascia nulla al caso e suggerirà sempre ai giocatori attenti numerosi indizi per stare al passo con il nemico, salvo poi spiazzarlo con qualche trovata geniale. La stessa morte si rivela utile in quanto, prima di riprovare o cambiare livello, avremo modo di capire in quale fase del boss abbiamo perso, permettendo dunque di sviluppare nuove strategie e, perché no, prepararci meglio. A questo servirà il negozio che troveremo nel mondo di gioco, dove acquistare numerosi power-up per il nostro personaggio che però, come è (in)giusto che sia, offriranno dei bonus solo sacrificando alcune delle nostre caratteristiche: ad esempio, potremo acquistare una vita extra, che porterà a 4 il numero di colpi massimi prima del game over, ma ridurrà leggermente la nostra potenza di fuoco; oppure dei colpi traccianti che seguiranno ogni bersaglio ma che saranno comunque meno potenti della nostra arma iniziale, oltre ad essere decisamente imprecisi nel caso in cui ci siano numerosi minions. E non è tutto: per guadagnare i soldi necessari per acquistare i potenziamenti dovremo cimentarci nelle Run ‘n’ Gun, ovvero le infernali sezioni platform del gioco, dove valgono più o meno le stesse regole dei boss ma con un numero ben più alto di nemici e dove la precisione di tiro lascia spazio a quella di movimento. Nonostante il numero sia minore rispetto alle altre tipologie, queste sezioni si sono comunque rivelate eccellenti e ben caratterizzate, aiutano a spezzare il ritmo, soprattutto quando comincia a subentrare un naturale senso di frustrazione dopo l’ennesima morte stupida in altri frangenti. Ammesso e non concesso che proprio le sequenze platform potrebbero ingigantire il problema. Insomma, il titolo sa essere punitivo quando vuole.

Ma lo ripetiamo, per dovere di cronaca: Cuphead non è un titolo impossibile, tuttavia la vostra abilità di base con questo tipo di giochi sarà determinante per la longevità generale. Parliamo di un gioco che sa offrire contenuti di ottimo livello a chiunque, anche coloro che sono navigati con il genere o chi lo ha appena scoperto, con buona pace di Super Mario e gli altri colossi. Tenete sempre a mente che la pratica vi renderà perfetti. Siamo comunque intorno alla decina di ore per completare il gioco alla difficoltà normale, scelta obbligata, giacché i livelli semplificati non garantiranno il completamento al 100%, ma chi inizia può comunque farsi un’idea a questa difficoltà per poi passare alla successiva. Se poi siete animi completisti, Cuphead vi offrirà delle grandi sfide a punti, che conteggeranno anche la vostra abilità nell’effettuare parry e nel finire i livelli senza essere colpiti, lasciando ai patiti dell’high score e delle speedrun ancora tanto da sudare.

Laddove Cuphead è un piccolo capolavoro di gameplay, il lato artistico di questo gioco è qualcosa di davvero meraviglioso. Come citato nell’introduzione, il titolo trae la sua ispirazione dallo stile animato dei cartoni anni ’30, caratterizzati da animazioni molto più complesse rispetto al passato e coadiuvate da una componente musicale che dettava il ritmo dell’azione, portando anche a storie molto più articolate e non sempre dai toni allegri. Il tutto nel gioco si sposa poi con un’estetica che pesca anche da altri grandi disegnatori del passato come Max Fleischer e in generale verso un surrealismo che ha permesso ai tanti creativi dell’epoca di avere letteralmente carta bianca per ogni idea, tramutando l’animazione da mero divertissement a qualcosa di più vicino al cinema vero e proprio. La realizzazione tecnica di Cuphead segue pedissequamente i canoni dei cartoni anni ’30, proponendo fondali magistralmente disegnati a mano e animazione che rasenta la perfezione per fedeltà visiva a quanto si può ammirare in opere di 80 anni fa. Partendo dai movimenti del nostro protagonista e arrivando all’incredibile lavoro svolto su ogni singolo boss, Cuphead è un capolavoro visivo senza mezzi termini, aiutato anche dai vari rumori visivi e uditivi classici delle pellicole di una volta che immergono il giocatore in questo folle mondo abitato da ortaggi antropomorfi, fiori malvagi, api regine furiose, treni infestati e tanto altro, manifestando al tempo stesso una creatività che non potrà lasciarvi indifferenti. L’unica cosa che contrasta con il passato è una scelta obbligata, dettata dalla tipologia di gioco e operata dai fratelli Moldenhauer, ovvero far girare il tutto a 60 frame per secondo: d’altronde la precisione richiesta nei movimenti è tale che renderebbe i 24 fps cinematografici un autentico incubo per ogni platform che si rispetti, fermo restando che questa scelta non inficia la qualità generale dell’opera che, ribadiamo, è davvero un unicum nel panorama attuale e segnerà sicuramente un nuovo standard che potrebbe aiutare non poco il mondo indie, spesso intrappolato nel vortice della pixel art che, per quanto bella, comincia ad essere vista come uno specchietto per i nostalgici.

Allo stesso modo, la colonna sonora accompagna egregiamente le azioni di gioco abbracciando la musica jazz e la sua evoluzione ballabile, quello swing creato da Benny Goodman per sopravvivere alla Grande Depressione che spopolò nei bar proibizionisti e nei primi jazz club dell’epoca. Il ritmo incalzante rende le partite scoppiettanti e divertenti, con composizioni che meritano di essere godute anche da sole e che permeano il gioco di un’aura davvero speciale, rendendo la caratterizzazione davvero completa.

Verdetto:

Nonostante si sia lasciato attendere più del dovuto, Cuphead è un’autentica perla sotto tutti i punti di vista. Ludicamente parlando è l’ennesimo omaggio ai titoli arcade di una volta ma dotato di meccaniche e caratteristiche che non lo fanno cadere nel mero citazionismo, rendendolo capace di stare in piedi sulle sue gambe. Dal punto di vista tecnico siamo invece di fronte ad un cartone animato in movimento che lascia tutti a bocca aperta, grazie anche ad una cura maniacale di ogni dettaglio per trasformarlo in autentico gioiello vintage degli anni ’30 da godere sulle nostre TV piatte e sui dispositivi moderni del 2017. Forse non sarà l’esclusiva definitiva ma, se avete una Xbox One o un PC, non è permesso tergiversare: compratelo.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.