Da quando sono tornato a Sanctuarium non voglio più andare via, anche se ho un po’ paura degli abitanti…

Era probabilmente l’anno della terza media o giù di lì: i giochi per pc si compravano ancora nei negozi, le sale LAN esistevano ancora i nelle classi giravano dischi masterizzati di giochi che ormai ricordiamo come classici senza tempo. Warcraft 3, le prime partite online a Counter Strike 1.6, Morrowind e infine Diablo II.

Io Diablo II me lo ricordo con la stessa grafica che ha la nuova versione Resurrected: grandi praterie immerse nel buio, orde di mostri da uccidere con il mio esercito di scheletri e un tono dark che all’epoca trovavo anche piuttosto inquietante. Diablo III invece non mi ha mai colpito allo stesso modo. Magari ero più grande, magari non apprezzavo allo stesso modo le atmosfere meno gravi.

Diablo IV al contrario mi ha colpito fin da subito proprio perché mi sembrava un ritorno a quelle atmosfere, a quel dark fantasy specifico. Un mondo praticamente già distrutto in cui l’essere umano non è più padrone ma vive in balia delle razzie di demoni guidati da divinità oscure. E fin dalla prima closed beta rimasi colpito della nuova impostazione MMO che ben si sposa con l’idea di ARPG di Blizzard e anzi, riesce a valorizzare la struttura tradizionale di Diablo.

Diablo IV cambia moltissimo infatti. Cambia moltissimo mentre riesce a restituire le stesse sensazioni.

Il primo e più evidente cambiamento di Diablo IV è la migrazione verso una mappa aperta. Immagino questo possa far alzare un sopracciglio ai fan di vecchia data e soprattutto a chi pensa che ormai i giochi si siano tutti omologati a una struttura open world, non ci sono più idee e signora mia le mezze stagioni.

Invece a Diablo l’open world calza proprio a pennello. Finalmente esploriamo Sanctuarium in tutta la sua decadente e marcescente bellezza. La verticalità delle mappe permette scorci incredibili che riescono a restituire un senso di estensione prima mai visto. E non solo gli scorci, perché la mappa è veramente grande. All’interno di questa ci sono segreti da scoprire, dungeon da esplorare e missioni secondarie da portare a termine.

Sulla mappa ci torniamo poi perché mi vorrei soffermare un po’ sui dungeon: Diablo IV sparpaglia i dungeon per l’open world, rendendo la maggior parte di questi opzionali. All’interno di ognuno troviamo oltre al classico loot una reward specifica per una delle cinque classi disponibili. La cosa più interessante – reward a parte – è l’estetica dei labirinti che dovremo affrontare e come anche questi riescano a restituire un senso di scala incredibile per il quale appaiono molto più grandi di quanto non siano in realtà. Allo stesso modo i dungeon sono estremamente organici al mondo di gioco, coerenti con l’ambiente dell’open world e spesso creativi in modi inaspettati. Ci sono dungeon che sono città infestate e abbandonate, per fare un esempio.

Chiaramente il primo risultato di Blizzard con Diablo IV è quello di aver costruito un mondo di gioco bellissimo e pulsante di vita (o meglio, di morte), divertente da esplorare e pieno di cose da fare sia da soli che in compagnia.

Tra le varie cose da fare, oltre ai collezionabili e i materiali da raccogliere ci sono le missioni secondarie. Diablo IV sembra ispirarsi a World of Warcraft nell’impostazione delle missioni secondarie, spesso distribuite a blocchi relativi ai singoli villaggi o avamposti che incontriamo. Così spesso un villaggio ha una storyline specifica che, attraverso i racconti di diversi NPC con diverse quest, va a creare un racconto unico che esplorare una parte della vita degli abitanti di Sanctuarium. Se l’esecuzione delle quest è sempre molto semplice (raccogli tot oggetti, uccidi tot nemici, trova oggetto X), il racconto che gli sta dietro e le location che così possiamo scoprire valgono assolutamente il tempo speso in missioni sì sostanzialmente ripetitive, ma che si sposano con la struttura di un ARPG di questo tipo che è per sua natura sostanzialmente ripetitivo.

La storia di Sanctuarium quindi è più ricca che mai, e non solo per le missioni secondarie ma anche per come è raccontata: ci sono molti meno log audio rispetto a Diablo 3 (grazie a Dio) e molti più dialoghi e cinematiche. E le cinematiche sono veramente incredibili.

Chiunque abbia giocato qualcosa sviluppato da Blizzard sa bene il livello che possono raggiungere le cinematiche realizzate dalla software house. Solo per rimanere su titoli recenti i filmati che raccontano il background dei personaggi di Overwatch o di World of Wacraft sono dei piccoli capolavori che fanno desiderare un film d’animazione dedicato ai suddetti giochi.

Diablo IV si inserisce nello stesso solco e inizia subito col botto con un filmato iniziale splendido che introduce Lilith, l’antagonista del gioco.

Questo non significa che Diablo IV sia un gioco story driven: la storia è piacevole e interessante ma serve soprattutto, se non unicamente, a settare il mood del gioco più che a raccontare qualcosa di importante. Il core del gioco è sempre quello di massacrare orde di mostri, preferibilmente in compagnia, dopotutto. Creare però l’atmosfera giusta è importante, ed è impossibile muovere critiche al gioco sotto questo punto di vista.

Il fatto che la storia non sia centrale è evidente anche da alcune meccaniche di progressione del gioco: è possibile saltare la campagna con i personaggi successivi al primo e molto di quello che è legato all’esplorazione viene sbloccate a livello di account e non di singolo personaggio. L’obiettivo di Blizzard è sì quello di raccontare una storia alla prima partita, ma anche di creare un ambiente comodo per continuare a giocare l’endgame con più personaggi diversi senza doversi tediare a ripetere con ognuno di questi le medesime cose.

Dell’endgame però ne riparleremo più avanti. Deve ancora uscire la prima season di Diablo IV e vorrei fosse disponibile per capire “cosa c’è da fare” nel gioco in maniera più precisa una volta finita la storia principale.

Al netto di queste novità l’ossatura del gioco rimane sempre la stessa come accennato: massacrare orde di nemici, raccoglierne il loot, pregare che sia quello che serve per la propria build, ripetere. Preferibilmente in compagnia di qualcuno.

Diablo è sempre stata una serie multiplayer, quindi non c’è da stupirsi che si sia passati a un modello dichiaratamente MMO. La struttura stessa di gioco invita alla cooperazione, e fare all-in così è una scelta ovvia che è strano Blizzard non abbia preso prima (per quanto pare ci fossero piani anche per Diablo III per andare in questa direzione). Questo però non significa che Diablo IV sia diventato World of Wacraft: prende alcuni spunti dall’altro titolo Blizzard, ci fa giocare in un mondo condiviso con altri giocatori, abbiam dei bonus quando siamo con altri e ci sono degli eventi nell’open world da affrontare preferibilmente con altri giocatori di passaggio.

Detto questo, il gioco è completabile anche in single player – anche se è sempre necessaria la connessione a internet. Nonostante, quindi, lo spostamento verso un modello da multiplayer di massa Diablo IV non lascia indietro chi vuole finire il gioco in solo e anzi, è strutturato come una piattaforma a cui di volta in volta si aggiungeranno pezzi di storia affrontabili anche in single player.

Il rovescio della medaglia è l’inserimento di microtransazioni (anche piuttosto costose) e di un battle pass, come ormai da tradizione di qualsiasi gioco online. Riguardo il battle pass ancora non è possibile pronunciarsi perché la prima stagione deve essere ancora pubblicata, mentre riguardo le altre microtransazioni bisogna constatare come, seppure siano solo cosmetiche, i prezzi sono piuttosto altini: in set completo costa anche 25€ (praticamente un terzo del gioco).

Così, quindi, Diablo IV è contemporaneamente qualcosa di nuovo e un ritorno al passato. Ha meccaniche nuove, un maggior dinamismo, un ritmo più veloce e la possibilità di condividere il mondo con altri, ma ha anche la stessa atmosfera decadente e grondante sangue. Che siate nuovi giocatori o fan di vecchia, Sanctuarium è più bella che mai. Anche se “bella” forse non è la parola giusta…

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.