Quali sono le figure femminili dell’arte giapponese?

Quando pensiamo a figure femminili dell’arte giapponese, solitamente, davanti ai nostri occhi non si materializza un volto o un nome ben preciso, ma subito corriamo a immaginare un’ideale di donna elegante e sensuale, con indosso un elaborato kimono. È facile pensare all’immagine della geisha, l’intrattenitrice giapponese per eccellenza, o ad altre figure tipiche delle arti performative, ma cosa succede se invece proviamo a prendere in considerazione l’arte pittorica, cercando nomi di donne che abbiano lasciato il segno nelle pagine della storia dell’arte giapponese?

“Pennelli fantasma”: come vivere d’arte all’ombra di un uomo

Uno dei motivi del vuoto nel nostro immaginario è, a ben vedere, proprio il fatto che, in Giappone, il numero delle pittrici donne è sempre stato decisamente inferiore rispetto a quello dei colleghi di sesso maschile e il loro ruolo nella società molto marginale.

Benché infatti l’istruzione femminile nelle corti prevedesse l’arte della calligrafia, della scrittura e l’utilizzo dei pennelli (che facevano anche parte del corredo nuziale delle spose), alle donne era pressoché impossibile continuare un percorso formativo per affinare la tecnica pittorica. Questo perché l’ingresso nelle scuole d’arte era garantito ai soli allievi uomini. Per molto tempo, quindi, le uniche artiste che sono riuscite a farsi strada in questo campo sono state quelle che hanno avuto la fortuna di essere figlie o mogli di pittori. Questa condizione, all’apparenza privilegiata, ne ha fatto comunque, perlopiù, dei “pennelli fantasma” al servizio di altri artisti. Potevano aiutare nella preparazione dei materiali e nella colorazione delle tele, ma raramente firmare le opere a cui avevano contribuito e ottenere riscontri economici.

Alcuni esempi di donne che hanno vissuto gran parte della loro carriera artistica all’ombra di un uomo si possono ritrovare nel corso del Periodo Edo (1600-1868). È stata questa una lunga fase della storia giapponese che ha visto la fioritura di una ricca cultura popolare e di un’intensa produzione artistica, con la nascita del teatro kabuki e delle opere legate al cosiddetto ukiyo (“mondo fluttuante”).

Lo sviluppo delle più grandi e importanti scuole pittoriche che hanno fissato i canoni dello stile nihonga ha fatto sì, però, che anche alcune donne potessero emergere e che i loro nomi potessero arrivare fino a noi. Tra queste, troviamo Kiyohara Yukinobu, il cui padre apparteneva alla scuola Kano, e Tokuyama Gyokuran, divenuta un modello di indipendenza per tutte le donne con spirito creativo. Non solo infatti Gyokuran ha ereditato la passione della madre e della nonna per la poesia waka (la loro produzione letteraria ha fatto sì che passassero alla storia come “le tre donne di Gion”), ma è divenuta anche moglie di Ike no Taiga, formando con lui una coppia di artisti eccentrica e particolarmente amata già ai tempi.

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L’eredità del più grande maestro dell’arte giapponese

La “figlia d’arte” più nota di tutte è però sicuramente Ōi Katsushika, che ebbe come padre niente meno che il maestro Hokusai. Estremamente famoso anche in Europa già in vita, Hokusai viene ricordato principalmente per le sue opere paesaggistiche, come le Trentasei vedute del monte Fuji, di cui fa parte La grande onda di Kanagawa. Ebbene, forse non tutti sanno che tra i più importanti allievi e assistenti del grande artista vi fu proprio la sua figlia di secondo letto.

Descritta come una donna ambiziosa e anticonformista, Ōi rimase vicino al padre per tutta la sua vita, apprendendone la tecnica e lo stile, ma riuscendo a distinguersi come artista indipendente grazie a un forte tocco personale. La donna infatti sviluppò una particolare sensibilità nell’uso dei colori, utilizzando potenti tecniche di luce e ombra e dipingendo le stelle come puntini rossi e blu, in rottura con la tradizione precedente che le voleva esclusivamente bianche.

La sua figura è talmente nota da aver ispirato il manga Sarusuberi di Hinako Sugiura, che arriverà a breve anche in Italia, e il film d’animazione del 2015 Miss Hokusai, in cui sono mostrati i sentimenti contrastanti che la legavano al padre.

Donne nell’arte giapponese contemporanea

Dovremo aspettare fino agli anni ’40 del Novecento per vedere una donna ricevere riconoscimento ufficiale per la propria carriera artistica. Stiamo parlando di Uemura Shōen, artista attiva a partire dal Periodo Meiji, distintasi per i suoi bijinga, i “ritratti di bellezze femminili”, e passata alla storia come prima pittrice ad essere nominata membro dell’Accademia Imperiale delle Arti e come prima donna ad essere insignita dell’Ordine della Cultura e a vedere un proprio dipinto inserito tra le Opere di importanza nazionale del Giappone.

Dopo di lei, molte artiste di sesso femminile si sono fatte strada grazie a movimenti di avanguardia. Ne è un esempio il Gutai, gruppo artistico fondato nel dopoguerra, che ha visto tra i propri esponenti principali proprio una donna, Atsuko Tanaka, che con le sue sperimentazioni, i dipinti concettuali e la sua “arte indossabile” si è guadagnata la stima di artisti del calibro di Pollok. 

A partire dagli anni ’70 e ’80, troviamo sempre più donne nell’arte giapponese. Si tratta per lo più di figure come  Mahomi Kunikata, Chinatsu Ban, Akane Koide e Chiho Aoshima, che gravitano attorno alla Kaikai Kiki di Takashi Murakami. La loro arte è principalmente basa sulla rielaborazione (ognuna secondo una propria distinta sensibilità) di elementi  tipici della pop culture giapponese a tecniche tradizionali dello stile nihonga. Ma molto spazio è dato anche a pittrici indipendenti. Pensiamo, ad esempio, all’arte malinconica di Miho Hirano. Le giovani donne da lei ritratte mostrano uno stile che richiama quello manga e una scelta di colori tradizionali, con un forte senso erotico dato dalla fusione dei capelli con elementi naturali dettagliatissimi.

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L’arte eccentrica di Yayoi Kusama

Infine, come non menzionare Yayoi Kusama? Con la sua ossessione per i pois e le allucinazioni derivate dalla sua infanzia che si trasformano in un tripudio di colori, l’anziana artista sfugge a ogni tipo di classificazione. Definita pioniera di vari movimenti (dall’arte pop e concettuale, al minimalismo astratto, all’arte femminista) è stata nominata nel 2014 come la più popolare artista vivente al mondo e nel 2016 la rivista Time l’ha citata tra le 100 personalità più influenti su scala globale. 
Insomma, una vera e propria rivoluzione nella storia delle donne nell’arte giapponese.

Sara Zarro
Non sono mai stata brava con le presentazioni, di solito mi limito a elencare una serie di assurdità finché il mio interlocutore non ne ha abbastanza: il mio animale preferito è l’ippopotamo; se potessi incontrare un personaggio letterario a mia scelta questi sarebbe senz’altro Capitan Uncino; ho un’ossessione per la Scozia, l’accento scozzese e i kilt, derivata probabilmente da una infatuazione infantile per il principe della collina di Candy Candy; non ho mai visto Harry Potter e i doni della morte per paura di dover chiudere per sempre il capitolo della mia vita legato alla saga… Ah, ho anche un pony.