Era il 26 ottobre 1970 quando Garry Trudeau diede inizio alla più grande soap opera a fumetti della Storia

La longevità e la continuità nelle strisce a fumetti sono tra i primi ingredienti che gli autori hanno per creare un legame solido e duraturo con i loro lettori. Questo è stato valido per il grandissimo Charles  M. Schulz che ha pubblicato i Peanuts fino all’anno della sua morte, ma anche per Bill Watterson con i suoi dieci anni di Calvin & Hobbes.

Nel caso di Doonesbury, però, possiamo dire che il suo creatore Gary Trudeau si è davvero superato: la striscia, nata nel 1970, ha tagliato il traguardo dei cinquant’anni e non accenna a fermarsi (se non con qualche doverosa pausa di tanto in tanto). Trudeau ha trovato la formula a lui più congeniale portando avanti storie private, ben calate – però – in un contesto pubblico. Così, l’autore segue giorno dopo giorno le vite inventate ma verosimili di alcuni personaggi, raccontandone la crescita, l’invecchiamento, l’avvicendamento generazionale e la morte. Il tutto calato nel contesto sempre ricco di stimoli della politica americana che, negli anni, non ha mai smesso di appassionare, indignare, stupire.

La storia editoriale di Doonesbury

Effettivamente Doonesbury nasce anche prima di cinquant’anni fa. Siamo precisamente nel 1968 quando Trudeau è studente a Yale e inizia a pubblicare le sue Bull Tales sul giornale della prestigiosa università. Due anni dopo, la striscia cambia nome, ispirandosi – tra l’altro – al compagna di stanza del suo autore, Charles Pillsbury, fuso con l’appellativo di doone che significa più o meno “qualcuno che non teme di apparire stupido”. Pillsbury – oltre ad aver ispirato il suo room mate nella sua celebre striscia – è un noto avvocato e attivista del New Connecticut, nonché co-direttore del  Center on Dispute Resolution alla Quinnipiac University School of Law.

doonesburyDue anni dopo l’esordio sul giornale universitario, la striscia viene pubblicata tramite la Universal Press Syndicate (un sindacato indipendente di giornalisti che distribuisce pezzi d’opinione, fumetti e altri contenuti) su 28 diversi giornali. Raggiungerà il suo apice a metà degli anni 2010, con la pubblicazione su 1400 testate in tutto il mondo, spesso travalicando la pagina riservata ai fumetti e arrivando dritto dritto nella pagina dell’editoriale. Il primo a effettuare questo coraggioso passaggio è stato il Lincoln Journal nel 1973. 

Ai tanti record si aggiunge forse il più prestigioso: la vittoria del premio Pulitzer nel 1975, per la prima volta assegnato a una striscia quotidiana. D’altra parte, come dichiarò l’allora presidente degli Stati Uniti Gerald Ford: “Ci sono tre modi per tenersi informati su cosa succede a Washington: i media elettronici, la carta stampata e Doonesbury, non necessariamente in quest’ordine”.

In Italia, attualmente, le strisce di Doonesbury sono pubblicate da Linus e sul Post e un loro storico traduttore era Enzo Baldoni, rapito e assassinato in Iraq nel 2004. 

Di che parla Doonesbury?

Come raccontare “ciò che succede a Washington” se non attraverso le esperienze dirette di chi subisce le scelte della Casa Bianca, ovvero i comuni cittadini? Trudeau sceglie e isola alcuni personaggi-tipo, rendendoli – però – estremamente umani e credibili. Il protagonista che dà il titolo alla striscia, Mike Doonesbury, ad esempio, è il personaggio più equilibrato della striscia, quello in cui il lettore può immedesimarsi più facilmente. Con gli altri, decisamente sopra le righe, questo meccanismo di identificazione è – per forza di cose – più difficile.

Mike, durante gli anni del college (il famoso college Walden, dove tutti i personaggi principali si sono conosciuti) è il classico ragazzo per bene, con un’innata difficoltà ad approcciarsi alle donne. Più estroversi sono i suoi compagni di college: B. D. (abbreviazione per B. John Dowling), con il caratteristico casco da quarterback di football americano sempre calcato sulla testa, l’hippie campione di abbronzatura Zonker e Mark Slackmeyer – speaker radiofonico dichiaratamente omosessuale.

Ovviamente non ci sono solo personaggi maschili: tra le altre, l’ex consorte di B.D., Boopsie è un’attrice di film di serie B, mentre J.J. è un’artista performativa ed è figlia di Joanie, a sua volta prima casalinga, poi studentessa di giurisprudenza e femminista (e segnalata dalla rivista Working Woman nel 1992 come “modello di comportamento per le donne”).  doonesbury

Ogni nuova striscia va a raccontare un nuovo pezzetto delle loro vite, intrecciate da parentele, relazioni, conflitti. Riassumere cinquant’anni di storia sarebbe troppo lungo, o troppo inutile perché ci si disperderebbe nei dettagli così come nelle lunghe, lunghissime soap opere televisive.

La capacità di Doonesbury di analizzare (e anticipare) i tempi

Come si è già detto, però, la prerogativa di questi personaggi è quella di vivere ben calati in un contesto politico attuale. Per esempio, B.D. nel 2003 sarà arruolato per la guerra in Iraq e mandato a catturare un misterioso signore della guerra (un po’ come in Apocalypse Now), che si rivelerà essere l’americanissimo Zio Duke, un altro dei personaggi ricorrenti della striscia. In questo filone narrativo diventa esplicita la denuncia di Trudeau alla politica estera americana post 11 settembre.

Non poteva essere che questa l’occasione ottimale per mostrare B.D. per la prima volta a capo scoperto: si tratta di una striscia pubblicata il 21 aprile 2004, quella in cui il personaggio si accorge, risvegliandosi, di aver perso una gamba in guerra ed esclama – senza troppi filtri -: “Figlio di puttana!”. Il mese successivo Trudeau dedica un’intera tavola domenicale ai caduti americani nel conflitto in Iraq, pubblicando i loro nomi.

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Resta negli annali la polemica che si è scatenata verso una striscia di Doonesbury in cui si prendeva (molto) amaramente in giro la legge texana sull’aborto. Questa non dichiarava illegale l’interruzione volontaria di gravidanza, ma sottoponeva le donne a controlli invasivi e umilianti, con uno strumento per l’ecografia lungo dieci pollici (circa 25 centimetri e mezzo). Il commento di Trudeau non ci girò troppo attorno. In una vignetta di una delle strisce dedicate alla questione, fa pronunciare al ginecologo occupato in questa pratica: “Con l’autorità conferitami dalla base del partito repubblicano, io ti stupro”. 

Attraverso i personaggi, la loro opinione – il loro essere pro o contro – Trudeau trasmette delle analisi lucidissime del contesto che talvolta hanno anche anticipato degli avvenimenti poi accaduti realmente. Un po’ come la capacità profetica dei Simpson, ma ancora più concentrata su un’analisi politica esplicita.

Il senso di Trudeau per Trump (e la politica)

Ovviamente una mente così acuta e critica non poteva che trovare nell’attuale Presidente degli Stati Uniti Donald Trump una sponda perfetta per la propria satira. Circa tre anni fa, nel 2017 una raccolta di strisce ha raccontato il personaggio di Trump così come rappresentato nelle strisce di Trudeau. In Trump! Trent’anni di Donald. Dalle strisce di «Doonesbury», risulta chiaro come l’ipotesi di questa presidenza aveva solleticato la mente acuta di Trudeau già molto prima dell’effettiva candidatura.

In un’intervista all’Huffington Post, Trudeau ha spiegato come la sua intuizione fosse pienamente giustificata dal comportamento del magnate dell’edilizia, che già diversi anni prima della sua prima apparizione in Doonesbury, aveva iniziato a corteggiare il seggio alla Casa Bianca. “La mia prima impressione? Il più grande stronzo di sempre. Dovevo disegnarlo”.

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“Doonesbury,” by Garry Trudeau. MUST CREDIT: Andrews McMeel Universal

Quando Trudeau ha iniziato a includere Trump nelle sue strisce, il magnate si dimostrò prima lusingato, poi offeso. Attualmente il suo visto censorio ha deciso di ignorare il bombardamento satirico a cui l’autore di Doonesbury (e molti dei suoi colleghi) lo stanno sottoponendo. 

Secondo il fumettista, Trump è diverso da tutti gli altri politici di cui si è preso gioco nelle sue strisce, perché “perlomeno gli altri avevano un fondo di umanità”. Il modo in cui il presidente è rappresentato, inoltre, non concede neanche il simbolismo riservato alla maggior parte degli altri politici americani. Quasi tutti loro, infatti, hanno avuto un trattamento metaforico, venendo ritratti con oggetti o simboli (George Bush Jr, ad esempio, era un asterisco con un elmo romano), mentre Trump no: è mostrato in tutto il suo aspetto grottesco, con i suoi capelli cotonati e il doppio mento. La verità non può essere più edulcorata, ma va disegnata in tutta la sua disturbante crudezza. 

“La sua patologia è abbastanza evidente. Lui stesso ha ammesso di essere cambiato poco dai tempi della scuola, quando ha preso a pugni il suo insegnante di musica. Ha i sintomi classici della sociopatia: ha manie di grandezza, un atteggiamento manipolatore, è un bugiardo cronico e non ha empatia. Tutto questo è vero e non bisogna essere uno psichiatra d’esperienza di riconoscerlo. Non sono nemmeno un ornitologo esperto, ma riconosco una papera quando ne vedo una”. Gary Trudeau

 

 

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.