Netflix produce e distribuisce il nuovo film di Will Ferrell, Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga, debole commedia che ruota attorno alla competizione musicale più grande d’Europa

Se c’è qualcosa di europeo che gli americani ignorano spesso e volentieri è sicuramente l’Eurovision Song Contest, l’annuale concorso canoro che celebra la musica di tutti i paesi componenti dell’Unione Europea. Il sentimento statunitense nei confronti della competizione è infatti snobista e a tratti ingenuo, se consideriamo che nel corso della storia sono usciti dall’Eurovision artisti come Celinè Dion o gli ABBA. Quest’ultimi sono infatti una delle primissime immagini che vedremo nel nuovo interpretato da Will Ferrell, e distribuito da Netflix, Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga.

 

Il concept di Eurovision Song Contest

Will Ferrell ha l’idea del film nel 2018, quando partecipa come spettatore alla finale dell’Eurovision a Lisbona. Chiama David Dobkin alla regia e si fa accompagnare in scena da Rachel McAdams, splendida attrice che dai tempi di Means Girls sembrava aver abbandonato il genere della commedia. La storia, scritta dallo stesso Ferrell, ruota attorno al fittizio gruppo dei Fire Saga, duo islandese con l’unica aspirazione di poter partecipare alla famosa competizione europea. Per una serie di (fatali) coincidenze, riusciranno a veder il proprio sogno realizzato. Nonostante l’incipit indubbiamente originale, sintomo di una genuina volontà di portare il mito del concorso al pubblico americano, Eurovision Song Contest non si distingue particolarmente dal resto delle commedie americane dell’ultimo ventennio. Rimane anzi un prodotto mediocre, che dà l’impressione di esser stato confezionato in alcune occasioni con molto ingegno, mentre in altre fin troppo frettolosamente.

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Pochi alti e molti bassi

Quest’impressione ritorna durante la visione della pellicola in diverse occasioni. Ad esempio, l’intero aspetto culturale dell’Islanda è trattato in maniera superficiale, quasi stereotipata, senza l’occasione di dare respiro agli aspetti più suggestivi della tradizione islandese. In questo senso si avverte anche una sorta di retrogusto nel vedere attori americani recitare in inglese con uno strampalato “accento islandese”, più simile alla caricatura che alla caratterizzazione. Dall’altra parte l’apparato che circonda le esibizioni musicali dell’Eurovision è sorprendentemente ben orchestrato, pur mettendo in scena canzoni pop assai mediocri e dimenticabili. E ancora certi momenti comici si basano sull’ormai stantio stile volgare di Ferrell, fortemente fuori luogo all’interno di questo film, mentre è apprezzabile la velata critica al governo russo e alla sua politica anti LGBTQ+ tramite l’ausilio in uno dei personaggi secondari più interessanti dell’opera.

Il nuovo film di Netflix è quindi un continuo alternarsi di pregi e difetti dove alla fine della fiera vediamo l’ago della bilancia virare fortemente verso quest’ultimi, sintomi non tanto di un’incapacità dei membri coinvolti nel progetto quanto un generale disinteresse verso le varie materie di riferimento. Tematiche e aspetti culturali sempre accennati ma mai approfonditi, meravigliosi inserti della band islandese Sigur Rós ma completo appiattimento musicale nella prospettiva diegetica del film, interessanti sequenze narrative susseguite da momenti comici di basso livello e così via.

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Strutture ricorsive e apparati stantii

Quello che Eurovision Song Contest suggerisce è un problema profondo nella struttura delle produzioni contemporanee. Per avere commedia di qualità è ormai raro potersi rivolgere all’America, poiché il genere si è ormai standardizzato in una coltre di mediocrità che non lascia molta speranza per il futuro. Attenzione, non è che il film di Dobkin sia un completo fallimento, è solo sconfortante doversi sforzare di trovare il lato divertente in una pellicola della durata (fortemente esagerata) di due ore.

eurovision song contest netflixLo sconforto è quindi la sensazione predominante, in grado di far tornare alla mente l’ormai classico luogo comune “su Netflix non c’è niente di bello”. Chi scrive cerca spesso e volentieri di combattere quest’ultima affermazione, ma è anche vero che Netflix non fa molto per provare il contrario. Vista la mole di contenuto originale che la piattaforma produce e distribuisce, è forse normale che la maggior parte dei prodotti non superi la soglia della mediocrità.

Ma quando si è letteralmente il colosso in un settore che vede relativamente pochi competitori, è facile adagiarsi sui propri allori e continuare a finanziare un apparato industriale stantio più simile a un fast food che a vero cinema. E forse proprio qui risiede il fulcro del problema di Eurovision Song Contest, di Netflix e del sistema produttivo in generale, ovvero l’aver completamente dimenticato di avere davanti degli spettatori intelligenti che, si spera, prima o poi smetteranno di mangiare cibo spazzatura e opteranno per qualcosa di un po’ più sano.