Lento e macchinoso. E macchinoso non è un gioco di parole.

È ormai in procinto di uscire nelle sale cinematografiche di tutto il mondo l’ottavo capitolo della saga di Fast & Furious, debuttante nel lontano 2001. Questa serie di pellicole è sul punto di diventare maggiorenne e, anzi, ha già raggiunto la maggiore età americana (sedici anni), conquistandosi il diritto di… prendere la patente. Ma perché questo sproloquio metaforico sullo sviluppo di un film che, fin dal proprio titolo, si preannuncia “veloce e furioso”?

Perché proprio il titolo del franchise è una delle poche cose, negli anni, a non essere cambiata. Chi di voi ricorda la trama dei primi film? Chi di voi, tra quelli che ricordano i primi film, hanno continuato a seguire la saga fino a questo capitolo? I pochi che rientrano in entrambe le categorie, esclusi quindi i fruitori più o meno causali o i fan dell’ultima (ma anche penultima) ora, sanno di cosa parliamo.

Fast & Furious, cinematograficamente, ha percorso tanta, tantissima strada, cambiando, evolvendosi per sopravvivere, e bisogna ammettere che ci è riuscito. Figuriamoci che si parla già di un fantomatico sequel nello spazio. Ma questo incessante mutamento ha un costo che, a volte in maniera particolare, non si può ignorare: la perdita di equilibrio.

Un quarto di genere alla volta

È ormai da tanto che Fast & Furious si è reinventato, da pellicola di macchine e velocità a stunt movie un po’ spy e molto action a la Point Break, un Mission Impossible su quattro ruote. Nel caso del settimo film, inoltre, la direzione narrativa era stata ulteriormente magnetizzata dalla prematura scomparsa di uno degli attori protagonisti, Paul Walker, che aveva quindi forzatamente (ma anche legittimamente) spostato l’attenzione sulla separazione dei due amici inseparabili del roster di personaggi, peraltro in continuo ampliamento: Brian O’Conner, per l’appunto interpretato da Paul Walker, e il Dominic Toretto dell’iconico Vin Diesel.

Questo ottavo capitolo non si ferma, e compie qualche altro passo in direzione del proprio auto-rinnovamento. È curioso che il film scalpiti come una delle sue automobili infarcite di cavalli e potenza e non si voglia fermare un secondo, anche quando sembra aver trovato una sua nuova dimensione di cui potrebbe (dovrebbe?) approfittare per un po’ di “riposo”. Fast & Furious 8, caratterizzato da un’intrigante scelta narrativa di base, è convenientemente costretto a farsi ancora più film corale del solito, quantomeno in talune sue parti. È una scelta che lo ripaga? Parzialmente.

La famiglia si allarga

Come in ogni grande avventura, ad ogni tappa del viaggio qualcuno si unisce alla ciurma, in questo caso la “squadra” di Toretto: è una banda di amici che, ognuno con le proprie eccentricità, insieme funzionano alla perfezione, venendo pertanto assoldati per le missioni più folli e rischiose, che solo dei diavoli su quattro ruote potrebbero affrontare senza battere ciglio. Nessuno si tradirebbe mai, perché la squadra è anche la famiglia, e non c’è niente di più importante della famiglia.

Da questa assiomatica premessa prende il via il conflitto principale Fast & Furious 8, come già ampiamente preannunciato dai vari trailer, che ci mette di fronte al tradimento di Dominic Toretto, il classico burbero dal cuore d’oro che più di tutti teneva ai valori di fiducia e rispetto reciproco. E allora perché sembra diventato cattivo? Fateci caso, è la stessa premessa narrativa del prossimo Transformers: The Last Knight, il quinto della saga, solo che lì a tradire è (o sembra) Optimus Prime. Coincidenze? Noi crediamo… beh, sì, noi crediamo di sì.

Questo, ad ogni modo, divide il film in due filoni: da una parte quello di Dom, alle prese con Cipher, la villain tentatrice di Charlize Theron, e il suo comprimario di poche parole preso di peso da Game of Thrones (Kristofer Hivju), e dall’altra quello della squadra, capitanata dal Luke Hobbs di Dwayne Johnson, rinfarcita di un paio di new entry e impegnata a ritrovare Toretto, farlo rinsavire o, in alternativa, fermarlo ad ogni costo. Sì, perché il buon vecchio Dom viene coinvolto in quello che è un piano malvagio banale quanto nebuloso a base di EMP, codici nucleari e hackeraggio pesante, hackeraggio pesante ovunque.

Non ci aspettiamo che alcun Fast & Furious ci conquisti per la sua trama, anzi. I problemi che derivano da questi elementi, tuttavia, sono di altra natura. Nonostante sul finale ci sia spazio per qualche piccola trovata da spy movie ben piazzata, rimangono qui e là grossi buchi di sceneggiatura. Ci interesserebbe “il giusto” anche di questi, se la pellicola sviluppasse fino in fondo il suo essere auto-ironica, ma purtroppo è tale solo in parte, alternando lunghe chiacchierate e momenti in cui si prende (troppo) sul serio ad altri più euforici e scanzonati che divertono davvero senza fatica. Inutile dire quale delle due facce del film sia quella che brilla maggiormente.

Continuity veloce e Ret-Con furiosa

Quello che sembra ormai un universo coerente raccontato “a puntate”, secondo un metodo sicuramente diffuso e probabilmente abusato da altri lidi cinematografici (MCU? DCU? Monsterverse? Mummyverse?), ma composto da un solo film-franchise, si arricchisce di un ulteriore capitolo di gruppo. Praticamente Fast & Furious è diventato l’Avengers di se stesso. Il problema è che tale capitolo non porta tanto in avanti la saga, impegnato com’è a motivare trama e svolte narrative a colpi, anche troppo furbi, di Ret-Con. Non vi spoileriamo niente, tranquilli, vi basti sapere che dopo otto pellicole l’epica di Fast & Furious ha ormai una genesi, un mito e un pantheon ben definiti, è perciò da biasimare il sotterfugio di aggiungere motivazioni all’indietro (invece di trovarle nel presente o nel futuro), introducendo elementi dal passato di cui tra l’altro nemmeno i personaggi stessi erano a conoscenza, figuriamoci lo spettatore, magari quello che si è visto tutti i film della saga.

Tanto più strano l’effetto che fa, vista la stretta continuity su cui il film poggia e di cui si vale spesso e volentieri. Cattivi di ieri diventano i buoni di oggi, con un Jason Statham che, in coppia con Dwayne Johnson, ci regala momenti gatto-volpeschi tra i più divertenti del film. Il tutto è un tantino forzato, narrativamente, ma qui davvero non ci importa granché, purché si picchi, si spari e si guidi il più possibile e senza troppi pensieri. Per il resto, non ci spingiamo a definire difficile la comprendere del film per chi non abbia visto i precedenti, ma gli auto-riferimenti alla propria cronologia non sono pochi e potrebbero, se non avete buona memoria, farvi alzare un sopracciglio o due qua e là.

E le macchine?

Le macchine ci sono, ma neanche troppo. Insieme ai momenti divertenti, quelli al volante sono, come dovrebbero, il nucleo del godimento più puro del film. Peccato che anche qui non si sia spinto sull’acceleratore fino in fondo, e che le tre maxi-sequenze di guida assurda e davvero spettacolare (più una bonus, slegata ma altrettanto convincente, nel prologo) siano intramezzate da una quantità esagerata di chiacchiere e momenti di pathos costruiti a tavolino, prevedibili e noiosetti.

Oltretutto, ci saremmo aspettati che le motivazioni del tradimento di Dom rimanessero nascoste per qualcosa di più di qualche minuto, e invece eccole là, spiattellate quasi subito davanti agli occhi di tutti, a renderci tutta la pellicola ben più comprensibile e tanto meno intrigante. L’impalcatura del film, complice probabilmente la dimensione corale sì, ma anche elefantiaca del cast, non aiuta il ritmo della fruizione e questa arranca un po’. Come una macchina dal motore potente ma l’intelaiatura troppo pesante.

Verdetto

Ricapitolando: scene di guida promosse, ma potrebbero essere di più; gag divertenti, ma potrebbero essere di più; chiacchiere esagerate, e potrebbero essere di meno. Questo il quadro dipinto da un film che, ancora adesso in fase di cambiamento, si colloca nel mezzo di una transizione. A tratti pare prendersi in giro da solo ed è proprio allora, tra l’altro, che convince di più. Quando invece si prende maggiormente sul serio mostra il fianco a critiche tecniche, per esempio alla trama banale o alla sceneggiatura lineare. La promozione arriva davvero per il rotto della cuffia e non certo perché la storia del franchise abbia fatto un convincente passo avanti, anzi. È soltanto che, nella sua perenne ricerca di se stesso, Fast & Furious continua a mostrare qualche sequenza stupefacente e a farci ridere con parte del suo (fin troppo) nutrito cast. La saga continua…