Dal sonno all’oltreuomo: la filosofia e Bloodborne

Cosa hanno in comune Bloodborne e la filosofia occidentale? Apparentemente poco, salvo forse la curiosità necessaria per entrambe le attività. Indagare i segreti del gioco di From Software richiede quella volontà di scoprire che già Aristotele indicava come fondamento dell’amore per il sapere.

Ma oltre questo? Possono i mondi della filosofia e di Yharnam incontrarsi? La risposta, sorprendentemente, è sì. Non solo perché Hidetaka Miyazaki mostra da sempre una grande passione nell’inserire riferimenti dotti all’interno delle sue opere, siano essi di mitologia o di letteratura. Ma anche perché buona parte della lore di Bloodborne sembra trovare riscontri in diversi tipi di filosofia, come quella greca, inglese e tedesca.

Proviamo allora ricostruire il nostro percorso nell’incubo tenendo a mente gli insegnamenti dei grandi pensatori della nostra civiltà. Facciamo della filosofia il nostro filo di Arianna, uno strumento che ci permetterà di scendere nel labirinto di Bloodborne per emergerne più saggi e più maturi. Pronti, un domani, ad affrontare una nuova avventura in quella strana dimensione sospesa tra il sogno e l’incubo, tra la meraviglia e l’orrore.

Prima di iniziare questo viaggio desideriamo fornire ai nostri lettori alcune avvertenze. Innanzi tutto questo non ha la pretesa di essere un articolo filosofico. Non vogliamo fare di Bloodborne una filosofia di vita. Al contrario cerchiamo di applicare alcuni insegnamenti filosofici alla lore di questi gioco (ci è utile rimandarvi al testo “I Simpsons e la filosofia” per creare un parallelo).

In secondo luogo attenzione agli spoiler. Prenderemo in considerazione la descrizione di diversi oggetti, alcune linee di dialogo del gioco, oltre ai tre i finali e al DLC The Old Hunters. Per quanto ormai siano passati diversi anni dall’uscita del gioco, riteniamo corretto sconsigliarvi di proseguire la lettura nel caso siate tra i giocatori ancora in attesa di mettere le mani su questo titolo.

filosofia bloodborne

Il sangue, il sogno, il grande incubo

Il primo passo nel mondo di Bloodborne contiene già in sé una piccola dose di filosofia. Da millenni il sangue è parte integrante di culti di ogni tipo, e la nostra ricerca avviene per la necessità di ottenere il Sangue Curativo. Il nostro arrivo a Yharnam è perciò segnato da necessità materiale. Siamo malati e abbiamo bisogno del sangue per poter guarire, cosa che ci porterà a scivolare nell’Incubo della Caccia e delle Bestie.

Al nostro “risveglio” ci troviamo così a dover affrontare l’orrore. Ma non siamo realmente in uno stato di veglia. Siamo addormentati in un incubo di cui non abbiamo alcuna conoscenze e da cui sarà impossibile fuggire senza trovare il “Sanguesmunto”. Il nostro bisogno materiale di guarire ci ha condotti al sonno e il sonno all’incubo. Dobbiamo quindi cercare la via verso il Mondo della Veglia. Svegliarci da questo incubo che ci tiene avviluppati e per farlo l’uccisione delle belve è solo una parte. Dobbiamo capire, acquisire conoscenza (o Intuizione).

Sembra quasi di rivedere in questo contesto l’insegnamento di Eraclito di Efeso, il primo sapiente a utilizzare il termine filosofia a cavallo tra i secoli VI e V a.C. Da sempre avverso alla morale comune e critico verso la scuola di Mileto che dominava il pensiero di quel periodo, Eraclito si distaccava dal solco della loro tradizione cercando l’archè, l’origine delle cose, in un concetto che era più metaforico che fisico.

Pur parlando del fuoco come origine, era il lògos il centro del pensiero del filosofo efesino. Oltre al mondo materiale, quello dei sensi, esisteva il pensiero, ovvero il discorso interiore capace di accomunare tutti gli esseri umani. Coloro che riuscivano a rivolgersi a esso, abbandonando il mero mondo dei bisogni materiali per ottenere conoscenza, erano i filosofi, gli svegli, intesi come persone che vivevano nel mondo della veglia. Gli altri erano i dormienti, ancorati alla materia e alle superstizioni. Persone avvinte dall’Incubo.

Tra queste è curioso notare come sia proprio il sangue uno dei centri della critica di Eraclito. Per il sapiente è ridicolo pensare che qualcosa di corrotto, come il sangue animale sparso sopra gli altari, possa portare a una purificazione dell’anima. Chissà cosa avrebbe pensato Eraclito a vedere qualcuno cercare la guarigione grazie al Sangue Curativo di Yharnam. Certo avrebbe ritenuto l’incubo e la caccia diretta conseguenza di questa superstizione.

Tendere la mano verso il cielo

Se è certo che per Eraclito lo scivolare nell’incubo sarebbe stata solo una nostra colpa, forse avrebbe apprezzato di più la nostra ricerca della conoscenza una volta giunti a Yharnam. Scoprire nuovi posti e assistere a determinati eventi aumenterà la nostra Intuizione, ovvero la nostra capacità di comprendere la dimensione dell’Incubo.

Il primo a comprendere questa necessità fu Mastro Willem (nome che nasconde una citazione a Goethe). La sua ricerca sulla Verità Straordinaria, i Grandi Esseri e l’elevazione della razza umana lo condusse ad alcune ardite teorie, prima tra tutte che fosse possibile raggiungere la conoscenza e l’ascensione a livello delle divinità grazie al mero esercizio della mente. Qualcosa che lo mette in comunione con un altro grande pensatore dell’antica Grecia, Platone.

Tra i precetti insegnati nell’Accademia di Atene c’era quello per cui la conoscenza dovesse essere ottenuta per gradi. Quattro piani del sapere, se vogliamo, concetto che rimanda in maniera decisa a quanto sostenuto da Willem “Noi pensiamo sul più basso dei piani”, quello che Platone avrebbe definito la conoscenza sensibile.

Essa per Platone non è tuttavia una fonte di verità: al contrario conduce esclusivamente alla dòxa, l’opinione, cioè una conoscenza superficiale che non può condurre all’episteme, la scienza di ciò che è fisso e assoluto, quello che nella mente del filosofo ateniese è misura di tutte le cose, Dio. Un concetto che per la prima filosofia platonica, quella del Mondo delle Idee, rimanda all’idea di bene.

Platone spiega quali siano i quattro gradi della conoscenza attraverso più esempi, il più noto dei quali è il Mito della Caverna. L’uomo consapevole di una realtà diversa da quella sensibile (le ombre delle statue) volge dapprima la propria attenzione a interrogare la causa di queste immagini (le statue stesse). Quindi risale la caverna, abituandosi a conoscere prima il paesaggio notturno e le stelle, poi il mondo sensibile illuminato dal sole, al quale rivolgerà il proprio sguardo solo alla fine. Una via verso il Mondo delle Idee che si compone di più piani, così come la dimensione onirica di Bloodborne nasconde più livelli di esistenza.

Il sapiente, per Platone, è sopratutto colui che è disposto a compiere il sacrificio di discendere di nuovo nella caverna per rendere altri edotti delle proprie scoperte (a suo rischio e pericolo). E anche Willem sembra in qualche modo essere consapevole di quale rischio comporti la conoscenza. Per Platone il pericolo rimanda all’atroce fine del suo maestro, Socrate. Per Willem è qualcosa di più oscuro, un timore che si annida nei recessi del sangue.

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Immanenza e trascendenza

La scuola di Byrgenwerth nasce certo con il desiderio di ottenere conoscenza e illuminare le menti, allo stesso modo dell’Accademia di Platone. Entrambe le istituzioni attirano allievi di spiccata intelligenza, i quali saranno a modo loro destinati a superare i maestri: Lawrence e Aristotele. Oltre che nei concetti sembra quindi che Bloodborne faccia riferimento alla storia della filosofia.

Entrambi lasciano le rispettive scuole in aperta polemica con i propri mentori, desiderosi di ricercare un diverso tipo di verità. Avanzando nel gioco scopriamo che la Chiesa della Cura deve molto a Byrgenwerth, al punto da poter essere considerata come una diretta filiazione della scuola sorta sul Lago della Luna. Un po’ come il Liceo di Aristotele manterrà un rapporto con l’Accademia.

Ciò che accomuna entrambe le scuole è quella che sembra essere un diverso modo di concepire la trascendenza rispetto ai maestri. Una trascendenza che per Lawrence si trasforma in immanenza, con la scoperta del ricettacolo del Sangue Curativo e la conseguente distribuzione dello stesso alla popolazione.

Anche la scuola aristotelica viene spesso accomunata al concetto di immanenza, quello che è ben rappresentato nell’affresco di Raffaello, la Scuola di Atene, in cui a Platone, intento a guardare verso l’alto e il Mondo delle Idee, si contrappone Aristotele, con la sua mano ferma verso la terra e il mondo sensibile.

Né Lawrence né Aristotele hanno rinunciato alla via tracciata dai loro maestri. Ma entrambi decidono di ricercarla in maniera diversa, più concreta rispetto ai propri mentori. Rinunciando alla mera speculazione intellettuale di Willem o al Mondo delle Idee di Platone.

Lupi

“Queste cose che cacci non sono bestie. Ma persone. Un giorno capirai”. Tra gli incontri che facciamo all’interno della nostra avventura nell’incubo uno dei più conturbanti è Djura, il cacciatore che ha rifiutato la caccia e si pone a guardiano delle bestie di Old Yharnam.

Di questa vicenda sappiamo relativamente poco e possiamo solo tentare di ricostruire la storia dagli indizi raccolti nel gioco. Sappiamo che la Piaga delle Bestie in questa parte della città divenne così vasta da costringere i Cacciatori a dare fuoco all’intero quartiere per uccidere quante più bestie possibile e contenere i danni. Proprio questo evento deve aver portato i Powder Kegs, gli eretici dell’Officina, a ribellarsi alla Chiesa e alla Caccia.

Old Yharnam è diventato così un luogo maledetto, dove vige solo la legge del più forte. Gli uomini, divenuti bestie, sono tornati a uno stato di natura. Homo homini lupus direbbe Thomas Hobbes. Il pensatore inglese ipotizzò che la guerra di tutti contro tutto fosse lo stato primitivo dell’uomo, spezzando quell’idea dell’essere umano come animale sociale nata con Aristotele.

Al suo stadio ferino l’uomo non è altro che una bestia, con pari diritti su tutto ciò che lo circonda. Ma è qui che ci troviamo di fronte al maggiore dei paradossi: il diritto più grande dell’uomo è quello di sopravvivere, anche nel suo stadio bestiale. Esattamente ciò che pensa Djura mentre ci mitraglia dall’alto della sua torre, interrompendo la nostra caccia a Old Yharnam.

Hobbes riteneva che gli esseri umani a questo punto rinunciassero a parte della propria libertà per via delle proprie leggi di natura e, successivamente, si elevassero allo stato civile tramite un contratto sociale, la rinuncia a una parte dei propri diritti per salvaguardare il più importante di tutti, quello alla vita. Ovviamente questo passaggio non può essere compiuto volontariamente dalle bestie di Old Yharnam. Sarà Djura a farlo per loro, osservandoli dall’alto come un monarca con il cappello in pelle di lupo. Difensore delle bestie e unico argine di “legalità” presente nelle giungla urbana della città bruciata.

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Oltre l’umano

Siamo giunti alla fine del nostro viaggio nel mondo di Bloodborne sotto la guida della filosofia. Molto potrebbe essere ancora detto, ma soffermarci troppo nell’Incubo potrebbe essere una strada senza ritorno. Quando noi guardiamo dentro l’Incubo, l’Incubo guarda dentro di noi potremmo dire, parafrasando Friedrich Nietzsche.

Proprio a Nietzsche e alla sua idea di Übermensch (“oltreuomo” o “superuomo” a seconda delle traduzioni) sembrano riferirsi i finali di Bloodborne. Quando arriviamo per la prima volta nel Sogno del Cacciatore vediamo numerose lapidi sulla via dell’Officina. La Bambola ci informerà che si tratta di Cacciatori come noi, altre persone cadute nell’incubo e risvegliatesi alla fine della loro notte di caccia. Notte dopo notte una nuova caccia ha inizio, con nuovi cacciatori e nuove prede. Un eterno ritorno, che solo noi, Cacciatori dal profumo di Luna, abbiamo il potere di spezzare.

Nella nostra avventura nell’Incubo avremo la possibilità di elevare la nostra conoscenza al di sopra di quella dei cacciatori che ci hanno preceduti. Quando la nostra intuizione raggiungerà un livello superiore grazie alla scoperta dei tre Terzi Cordoni, uno dei Grandi Esseri discenderà per noi e sarà la nostra occasione di ucciderlo.

Ma uccidere una divinità ha un prezzo. Per renderci degni di un deicidio noi stessi dovremo ascendere. Diventare qualcosa in più di semplici Cacciatori. Sarà il nostro momento di rinascere e diventare noi stessi uno dei Grandi Esseri. Per dirla con le parole dello stesso Nietzsche.

Dio è morto! […] E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? […] chi detergerà da noi questo sangue? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo anche noi diventare dei, per apparire almeno degni di essa?”

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.