Freaks: Una di noi è un film di supereroi. Ma quali supereroi, e quale film?

Ah, i supereroi. Croce e delizia di questa modernità cinematografica. Dai fumetti alla pellicola è stato un attimo: sempre più sdoganati e amati, si può dire con facilità che esista attualmente un vero e proprio genere a loro dedicato, tra mantelli, costumi, poteri e chi più ne ha più ne metta. Il problema, però, tanto con i supereroi quanto con tutto ciò che è mainstream, è che devi sapere trattare la materia: o la usi in modo inedito, per una visione ancora inesplorata sull’argomento, o rischi di perdere già in partenza. In quest’ottica, quindi, dove si posiziona il nuovo film Netflix Freaks: Una di noi?

Di produzione tedesca, scritto da Marc O. Seng – che ha firmato sette episodi di Dark -, il film vede Cornelia Gröschel nei panni della protagonista Wendy, un’apparentemente semplice impiegata di fast food che conduce una vita monotona e poco gratificante. Vita che, come da manuale, cambia radicalmente quando un uomo misterioso la informa di essere “una di noi” – cioè, la donna ha dei superpoteri che per tutta la sua vita sono stati a sua insaputa soppressi da pillole ad hoc, prescrittele dalla sua psicologa.

Nel cast del film, oltre alla già citata Cornelia Gröschel, nota per aver interpretato Heidi nel lontano 2001, troviamo anche Tim Oliver Schultz, Wotan Wilke Möhring e Nina Kunzendorf. La regia è affidata invece a Felix Binder, regista tedesco particolarmente attivo nel campo dei film per la TV, ai quali effettivamente Freaks: Una di noi si avvicina molto come stile.

Gli infiniti luoghi comuni di Freaks: Una di noi

Basta quindi che la protagonista scopra la sua vera identità, nascosta fino a quel momento come nelle migliori tradizioni, perché si inneschino una serie di cliché che ricadono perfettamente all’interno del genere supereroi di cui sopra: le prime rivalse con i nuovi poteri, la scelta del nome, del costume, i sacrifici, le scelte sofferte e tutto quello che si può immaginare di aver già visto in un film di supereroi. 

Freaks: Una di noi

Cliché è infatti la parola più adatta per descrivere Freaks: Una di noi. La sceneggiatura non solo pecca di originalità, trascinando la protagonista e gli altri in una spirale senza fine di tòpoi sui supereroi, ma riesce a risultare scontata persino nei dialoghi, con facili battute di ogni genere – c’è persino un padre, il marito di Wendy, che dice al figlio, che gli ha appena domandato dopo un blackout se il mondo stia per finire, “non è la fine del mondo solo perché mancano Internet e la televisione”. Più scontato di così.

Una piccola differenza con il resto dei classici film di supereroi, in effetti, c’è: la protagonista non è una giovane adulta o una teenager, ma una donna con marito e figlio. Si tratta effettivamente di qualcosa di nuovo, ma purtroppo tale informazione non viene utilizzata a dovere all’interno del film: nonostante siano tutti adulti e vaccinati, i protagonisti si comportano spesso in modo infantile e stereotipato, rendendo completamente vano quell’accenno di caratterizzazione che poteva differenziarli da tutto ciò che è già visto.

Già vista è anche la regia, il montaggio, la recitazione non particolarmente degna di nota – un minimo di plauso va a Cornelia Gröschel, che ben utilizza il suo physique du role da brava ragazza diventata cattiva, ma nient’altro. Già vista è la colonna sonora e persino la fotografia, che per quanto particolare ricorda davvero troppo eccessivamente quella di Dark.

Freaks: Una di noi

Poteva essere meglio, invece è Freaks: Una di noi

Per rispondere alla domanda posta in apertura, insomma, non c’è nulla che differenzi Freaks: Una di noi dal solito film di supereroi, né memorabile né particolarmente di qualità. Fare paragoni tra film diversi non è esattamente giusto, ma questo sembra un’imitazione di cose già riuscite e chiaramente irripetibili – vedi X-Men, o anche il ben più nuovo New Mutants. Non c’è lo sforzo di immaginare uno scenario diverso à la The Boys, non c’è neanche una vena comica in stile Kick-Ass, e non c’è proprio nulla di nuovo. C’è solo l’ennesimo film sui supereroi, senza infamia e senza lode, e senza neanche sapore.

Martina Ghiringhelli
Nasco in un soleggiato mercoledì a Milano, in contemporanea col trentesimo compleanno di Cristina D’Avena. Coincidenza? Io non credo: le sue canzoni sono un must nella mia macchina, e non è raro vedermi agli incroci mentre canto a squarciagola. Altri fatti random su di me: sono laureata in cinema, sono giornalista pubblicista, ho dei gusti musicali che si prendono tragicamente a pugni tra loro, adoro la cultura giapponese, Mean Girls è il mio credo e soffro ancora di sindrome da stress post-traumatico dopo il finale di Game of Thrones.