Stand tall for the beast of America

Se non avete giocato The New Order, ossia il capitolo di Wolfenstein immediatamente precedente all’ormai prossimo The New Colossus, allora dateci retta. Chiudete il PC, tiratevi due schiaffi (di quelli sonori, che magari vi date una svegliata) e correte a comprarlo, scaricarlo, finanche rubarlo se proprio non c’è altra soluzione per poterlo giocare. Qui, ora, subito. Avrete fatto un favore a voi stessi e, attenzione, avrete scoperto un gioco fantastico, con attributi tanto grossi da non poter essere misurati. La sorpresa fu il team che c’era dietro al gioco, i misconosciuti MachineGames che, a proposito di attributi, furono incaricati del lavoro da Bethesda, che in quanto a palle ne ha ormai di granitiche. La solidità di Wolfentsein: The New Order, il suo essere così “naive” nello scegliere la strada vecchia in virtù della nuova, lo ha reso un istant classic per antonomasia. Niente multiplayer, niente modalità online, niente oggettini da sfoggiare in rete. The New Order era (ed è) un FPS single player come li si faceva una volta: duro, puro, chiassoso, semplicemente esagerato. Al di là di meccaniche pulite e rodate, gran parte del pregio della visione del Wolfenstein di MachineGames lo si deve certamente alla fine costruzione del mondo di gioco, un’ucronia ammaliante, complessa, e costellata di tanti piccoli tocchi di classe. Dalle scenografie ai colori, passando per le architetture, finanche le musiche. L’assolutismo nazista, nella visione del team, fu come uno shock per i giocatori, che raramente, specie negli ultimi anni, potrebbero aver vissuto un mosaico così meravigliosamente architettato. Scioccante, eppure galvanizzante, non esente da difetti ma comunque per certi versi perfetto. A tutto questo, MachineGames contrappose la forza di volontà e il dramma di un personaggio chiave del mondo dei videogame, un silenzioso eroe che aveva contribuito, assieme a Id Software, alla canonizzazione del genere FPS: William Joseph “B.J.” Blazkowicz, che dopo 20 anni di immobilità narrativa poteva essere modellato da zero, complice una quasi totale mancanza di background.

Ucronico, disturbante, avvincente, autenticamente dieselpunk, giocare a Wolfenstein significa ritrovarsi catapultati tra le pagine de La Svastica sul Sole di Dick o in Fatherland di Robert Harris. La Germania nazista, qui, ha vinto la guerra e il mondo, in primis l’Europa, vive ormai, con sottomissione, l’egemonia del Reich. In The New Order, avevamo vissuto il risveglio di Blazko, tragicamente caduto vittima della sindrome “caged in” durante gli ultimi giorni della Grande Guerra, e la sua strenua lotta nella resistenza europea. The New Colossus riprende le fila da quegli eventi, tragici, che erano culminati nell’epilogo del gioco, lasciandoci, di sasso, dopo alcune delle più intense ore di gameplay degli ultimi anni.

Stand tall for the beast of America.

Lay down like a naked dead body,

keep it real for the people workin’ overtime,

they can’t stay living off the governments dime.

Fred Allhoff ne aveva immaginato i risvolti già nel 1940. Il suo Lightning in the Night non era altro che un piccolo manifesto di propaganda per l’armamento americano, ma raccontava quella che è la medesima premessa di questo The New Colossus: la Germania ha vinto. Dopo la conquista europea, forti di una certa prepotenza tecnologica, le forze del Reich hanno invaso l’America che, senza troppo pensarci, si è arresa all’egemonia nazista. La resistenza è sparuta ma viva, e latita per le acque dell’Atlantico a bordo uno U-Boot confiscato ai nazisti. Qui il gioco riprenderà le sue fila, presentandoci un Blazko ancor più provato nel corpo ma abbastanza lucido nella mente da capire che non c’è altro da fare che tornare a combattere, lottare, garantirsi un mondo senza nazisti… o morire provandoci. Ridotto su di una sedia a rotelle, complice un corpo devastato dai fatti del precedente episodio, Blazkowicz si ritroverà nel bel mezzo di un assalto nazista guidato dall’Obergruppenfurher Irene Engel, più che mai intenzionata, dopo i fatti del primo capitolo, a metterci le mani attorno al collo. Si tratta del prologo agli eventi, di fatto uno dei due livelli da noi testato durante una lunga gameplay session in quel di Colonia.

La prima sequenza è un ritorno all’amore smodato provato durante The New Order. Nonostante i movimenti saldamente ancorati alla sedia a rotelle, ed un corpo che ormai riesce a stento a farci tenere in mano una pistola, il gameplay fila dritto, liscio e violento, dandoci l’occasione di testare sulla feccia nazista in loco forsennate sventagliate di mitra. Si riprende confidenza con le armi, con il sistema di gioco, e si sperimenta da subito l’inconfondibile stile che aveva caratterizzato il primo titolo fatto di dettagli certosini, battute coatte ma più spesso argute e velleità esplorative a base di segreti e percorsi alternativi. The New Colossus si presenta, insomma, come la naturale continuazione del suo predecessore. Il fatto che ciò è evidente sin dalle premesse, non fa che confermare la (folle) lucidità con cui il team sta orchestrando la serie ormai dai suoi esordi, evidentemente a suo agio con la scrittura ucronica, ma anche così abile nel mantenere intatto quel mood genuinamente violento e sopra le righe che aveva fatto di Blazko, questo Blazko, un eroe tormentato e riflessivo. In quello che è un lavoro, per certi versi, molto simile a quello compiuto da Rockstar quando riscrisse i tratti distintivi dell’amatissimo Max Payne.

I will be right to you,

I will be right to you,

I will be right to you,

and together we can stand up to the beast.

Presa confidenza con il gameplay, ci siamo dunque catapultati sul secondo livello offertoci, in un punto molto più avanzato della trama, ambientato proprio sul suolo americano, precisamente nel New Mexico, nei pressi di Roswell, nel cui sottosuolo si nasconde l’arcinota Area 51 che, anche in questo mondo, pare essere il caveau di una non meglio specificata tecnologia aliena. Occupata anch’essa dai nazisti, l’Area 51 è uno dei fulcri tecnologici del Reich che, nonostante la sconfitta di Deathshead, non ha arrestato la macchina di ricerca e sviluppo che gli ha permesso di vincere la guerra. Il nostro obiettivo è tanto semplice quanto folle: infiltrarci nella struttura grazie ad un aggancio locale e piazzare in essa una piccola testata atomica, accuratamente occultata all’interno di un estintore, così da gridare al mondo che l’America, in qualche modo, resiste. L’occasione è anche stata il pretesto per un giro in città, per constatare come i nazisti stiano modellando l’America a loro immagine e somiglianza, integrando tra le proprie fila le compagini più radicate del razzismo locale come, ovviamente, il Ku Klux Klan. Abbiamo dunque fatto i conti con la quotidianità dell’America nazista, intenta nella vita di tutti i giorni mentre il mostro bellico fagocita e cannibalizza la cultura locale, cercando di riscriverla come meglio crede. Le stelle e le strisce sono sostituite dal rosso e dal nero delle svastiche dei soldati armati che pattugliano per le strade della città mentre, in pieno stile americano, velocissimi caccia volano in cielo lasciando dietro di sé un’orgogliosa scia di fumo colorato. Non c’è traccia del blu della bandiera statunitense, ci sono solo rosso e bianco, come i colori che animano la comunicazione del Reich. È l’America in tutto e per tutto, nella sua versione distorta e malandata, arresa, come le persone che circolano in strada con volto truce e rassegnato.

Se nel primo Wolfenstein avevamo apprezzato la ricostruzione architettonica di un mondo ad uso e consumo dei nazisti, in The New Colossus a colpire è l’avvicendamento dello stile artistico, che va adeguandosi a quello che fu il gusto tipico degli anni ’60 in cui, ovviamente, questo gioco è ambientato. Milkshake e dinner house, così come abbigliamento e linguaggio vengono contaminati dall’ideologia nazista in un mix stravagante ma azzeccatissimo, tale da donare al gioco una continuità narrativa che prescinde dalla storyline e che riguarda invece la timeline, il modo con cui il mondo si è dovuto evolvere sottomesso al giogo del Reich, confezionando tutto con un certo realismo, cercando insomma di immaginare come sarebbe effettivamente potuto essere. Quella di Wolfenstein è un’ucronia estesa, rifinita, per certi versi unica e, proprio per questo, sempre affascinante.

Archiviata la passeggiata e incontrato il nostro contatto, ci siamo quindi diretti, per mezzo di alcuni cunicoli, in quella che è l’Area 51 a tutti gli effetti. Avevamo lasciato, si era detto, il nostro Blazko su di una sedia a rotelle, e infatti per la buona riuscita della missione ci toccherà indossare una vecchia conoscenza, la tecnologicamente avanzata armatura Da’at Yichud, rinvenuta nel capitolo precedente e capace di potenziare qualunque essere umano la indossi. La corazza ci permetterà quindi maggiore mobilità, maggiore forza ed anche una certa resistenza, cose che ovviamente andranno ad influire sul gameplay rendendo The New Colossus per diversi aspetti più dinamico, frenetico e crudo rispetto al passato. Se consideriamo la violenza del gioco, e l’ampiezza della sua rastrelliera, non sarebbe un errore dire che in questo capitolo il gioco va a sporcarsi quasi di alcuni degli aspetti di Doom che, specie nella sua ultima incarnazione (dietro cui, ricordiamolo, c’è sempre Bethesda), rappresenta forse l’apoteosi dell’ipertrofia per il genere FPS. The New Colossus ne riprende alcuni aspetti, adattandoli però al suo mood, ed il risultato è uno shooter divertente, velocissimo, difficile ed ovviamente esagerato.

Il punto è che il carattere della serie non ne esce sconfitto o, per certi versi, snaturato. The New Colossus è comunque pregno di quello stile e quelle caratteristiche che hanno fatto la fortuna del suo predecessore. Le armi, in primis, mantengono un certo realismo e, pur essendo frutto della fantasia tecnologica di una Germania quanto mai evoluta, restano bocche di fuoco abbastanza canoniche e versatili, salvo ovviamente quei casi in cui l’armamentario si fa volutamente sopra le righe. Resta, in tal senso, la possibilità di impugnare contemporaneamente due armi, togliendo però il precedente vincolo che le voleva per forza identiche. Ogni mano di Blakzo è qui indipendente, e potrete associare due armi secondo i vostri gusti e le vostre esigenze, trasformando quello che era un sistema squisitamente dedito all’esagerazione (tamarra) in qualcosa di più profondo e studiato, seppure nulla vi vieti di avere due armi in pugno semplicemente per scatenare una carneficina.

Agli antipodi, ritorna anche la possibilità di affrontare il gioco in modalità stealth, aggiungendo anche a questa alcune rifiniture utili ad evitare quella semplicità e tedio che affliggevano il primo titolo. I gruppi nazisti, innanzitutto, sono molto più numerosi che in passato e meglio equipaggiati. Diverse nuove classi di sgherri sono state aggiunte, e tra queste persino dei robot agilissimi il cui aspetto ricorda vagamente quello dei celeberrimi Terminator T-1000. Anche l’intelligenza artificiale è stata rivista: i soldati sono molto più attenti ai rumori, si preoccupano di tenere d’occhio le ronde altrui e in generale hanno una vista più fine. Corrono subito ai ripari quando serve e lasciano che siano le unità più problematiche per il giocatore a farsi avanti. I capitani, in tal senso, sono una spina nel fianco molto più di quanto non erano in passato. Attentissimi nell’accorgersi della nostra presenza, si arroccano in un punto preciso della mappa, pronti a chiamare i soccorsi qualora ci scorgano anche solo lontanamente. La loro richiesta di allarme è fulminea, e nel caso ci scoprano sono in grado di richiamare una vera e propria orda di nemici, atta ovviamente a stanarci e farci a pezzi, motivo per cui tocca dare fondo alle proprie capacità per raggiungerli senza farsi scoprire e, possibilmente, ucciderli ben prima che si accorgano di noi.

Il gameplay, insomma, ci è parso per ora molto più ridefinito, dandoci la sensazione che la scelta del giocatore non debba essere sempre e comunque quella dell’arma spianata benché, comunque, Wolfenstein resti saldamente ancorato al genere di sparatutto. Questa era in realtà una sensazione anche nel primo titolo, che tuttavia con il tempo si mostrava molto meno propenso a concedere al giocatore il beneficio di una sessione puramente stealth, lasciando che l’esperienza fosse in qualche modo veicolata da binari narrativi. Sicuramente la situazione sarà la medesima anche qui, nella misura in cui il gioco sarà, certamente, molto improntato allo svolgimento della sua trama. Tuttavia le rifiniture effettuate, così come la pulizia generale delle meccaniche di gioco, ci hanno dato l’idea che forse, a questo giro, le promesse saranno mantenute. Del resto, The New Colossus non può essere null’altro che una conferma di quanto di buono c’è stato nel suo predecessore, complice l’ambiziosa visione del team di sviluppo, che già nel primo titolo aveva trovato quella che è la nuova formula che, ci saremmo augurati, avessero seguito tutti gli altri artefici di titoli FPS.

Stand tall for the people of America.

Stand tall for the man next door,

Cause we are free in the land of America,

we aint goin’ down like this. Come on now!

(Nico Vega – The Beast)