Grand Army vuole essere più di un teen drama e parlare di problemi globali, ma ci riesce solo a tratti

Grand Army, uscita lo scorso venerdì, è una nuova serie originale Netflix, sulla quale la piattaforma ha indubbiamente investito molto. Ai ragazzi del liceo, che rappresentano la stragrande maggioranza dei personaggi, gli sceneggiatori affidano il gravoso compito di raccontare i conflitti morali e ideologici della New York del 2020, all’indomani di un misterioso attentato terroristico a Brooklyn.  Con un incidente scatenante del genere sarebbe lecito aspettarsi qualcosa di più di un classico teen drama, ma la serie di Katie Cappiello riesce a emanciparsi dal genere solo a tratti, nonostante i tentativi a volte disperati. Andiamo quindi a scoprire più da vicino Grand Army e le sue promesse disattese.

Grand Army: temi adulti per ragazzini immaturi

Razzismo, pregiudizi, religione, impegno politico giovanile, disuguaglianza sociale, istituzioni pubbliche e private. In Grand Army c’è tanta carne al fuoco, nel tentativo di raccontare quanto sia difficile essere teenager nel 2020. Sebbene vivano le proprie giornate in pressoché assoluta libertà, i ragazzi cercano di resistere come possono al peso di fardelli importanti come etichette, stereotipi e aspettative degli altri.

Etichette

Ognuno dei personaggi deve fare i conti con le etichette, sia apposte dagli altri che autoimposte. L’attentato a Brooklyn, per esempio, inasprisce la diffidenza verso  gli studenti musulmani, come se fosse ovvio pensare a un rappresentante della loro religione come a un terrorista. L’impegno politico, più volte abbracciato da alcuni dei personaggi durante la vicenda, è sempre ambivalente: il confine tra il vero attaccamento all’ideale e la semplice necessità adolescenziale di sentirsi parte di qualcosa di più grande è labile, tenendo sempre vivo l’interrogativo nella mente dello spettatore e rendendo interessante la storia. I problemi sopraggiungono quando l’inserimento di un certo movimento politico risulta forzato: in un frangente alcuni studenti si inginocchiano citando il #BlackLivesMatter, ma la serie si dimentica di dare un qualsiasi seguito a questa scena.

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Stereotipi: denuncia o semplificazione?

In una serie come Grand Army, piena di riferimenti politici, la presenza di evidenti stereotipi può essere spiegata in due modi: denuncia di una realtà effettiva o estrema (e colpevole) semplificazione. I personaggi, infatti, hanno sempre la posizione sociale e la situazione familiare che ci si aspetterebbe da persone di una determinata etnia. Joey Del Marco, da caucasica, ha genitori separati consensualmente e benestanti. Dominique Pierre, figlia di immigrati caraibici, ha una famiglia numerosa composta di sole donne e un appartamento minuscolo. Per fronteggiare le difficoltà economiche è costretta a lavorare quando non è a scuola, sacrificando vita sentimentale e sogni. Siddharta è indiano e i suoi genitori gestiscono un ristorante, ma gli proibiscono di aiutarli perché si aspettano che eccella negli studi e possa ambire a un futuro migliore.

Aspettative

“Questa identità che ti impongono le altre persone ti induce a dubitare su chi sei veramente”. In questa frase che Sid si sente dire da un compagno è racchiuso il conflitto principale di Grand Army. Società, famiglia e passato creano aspettative che si affollano sulle spalle dei ragazzi, inasprendo la già grande difficoltà nel capire se stessi da adolescenti. Spesso, purtroppo, il risultato sono reazioni estreme. Stanco di reprimere la propria omosessualità per essere il figlio perfetto, Siddharta rischia la salute in un rapporto non protetto con uno sconosciuto. Leila non riesce a farsi apprezzare a scuola per com’è davvero, così decide di punto in bianco di assecondare qualsiasi perversione pur di piacere ai ragazzi, lasciandosi usare e perdendo anche l’unica amica vera che possiede.

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Grand Army: non uno ma due anticlimax

Sceneggiare è tutta una questione di semina e raccolta. Chi scrive inizia con delle promesse; lo spettatore le recepisce e accetta di rimanere in attesa per un numero considerevole di ore per vederne i frutti. La complessità e la profondità dei temi trattati in Grand Army non la rendono un’eccezione a questo meccanismo, che purtroppo si inceppa più di una volta. Sono infatti presenti due situazioni anticlimatiche che compromettono i risultati ai quali la serie ambisce.

L’attentato a Brooklyn

Grand Army si apre con un atto terroristico che scuote Brooklyn: una bomba esplode in una piazza poco distante dalla scuola. Un evento abbastanza importante, che non accade di certo molto sovente. Sarebbe lecito aspettarsi che l’incidente funga da catalizzatore, sia per la trama che per le riflessioni dei personaggi che vi si trovano coinvolti. Gli studenti di diverse etnie iniziano a scambiarsi occhiate ostili, voci cominciano a circolare sui presunti responsabili, ma solo nel corso della prima puntata. Grand Army si perde infatti sin dal secondo episodio, nel quale ragazzi e genitori continuano con la propria vita come se nulla fosse accaduto. La serie non riesce così a sfruttare una premessa interessante e attuale, fallendo così nel tentativo di discostarsi dai crismi un teen drama classico.

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La minaccia di un altro attentato

Ogni puntata di Grand Army si apre e si chiude su un foglio di testo, che si riempie di affermazioni sullo stato della società e della scuola superiore. Il misterioso autore si lascia sempre più andare in un’invettiva contro l’ipocrisia di adulti e ragazzi, arrivando verso la fine ad annunciare la presenza di una bomba artigianale all’interno dell’edificio. Sarebbe un payoff perfetto per un finale di stagione, se solo non si risolvesse in un nulla di fatto. Per non fare spoiler non riveleremo il volto che sta dietro questo enorme bluff, ma ci limiteremo a dire che l’attesa generata nell’animo dello spettatore viene delusa in modo cocente. Come l’attentato iniziale, l’allarme bomba sul finire della stagione non altera gli equilibri in gioco e viene semplicemente dimenticato poche scene più tardi, senza conseguenze.

Grand Army: la (unica) storyline riuscita

Tra promesse non mantenute e occasioni sprecate, Grand Army sembra decisamente una serie da non consigliare agli amici. Non tutto, però, è da buttare: oltre a interpretazioni attoriali all’altezza, c’è una storyline che stupisce in positivo e mette in mostra la capacità della sceneggiatura nel trattare argomenti complessi e dibattuti della contemporaneità. Al termine di una notte all’insegna dell’eccesso, Joey si ritrova in taxi con i suoi migliori amici, che approfittano del suo stato confusionale per abusare di lei. Dopo diversi pianti e riflessioni, la ragazza decide di denunciarli per stupro, dando inizio a una vicenda spinosa e contraddittoria per tutti. La scelta di mostrare la scena nella sua interezza, senza faziosità, lascia allo spettatore l’arduo compito di scegliere chi ha ragione, riflettendo anche sui comportamenti passati dei ragazzi. La controversia e la complessità della situazione emergono così del tutto, lasciando spiazzato chi guarda e dando un’idea di quanto sia difficile, per non dire impossibile, giudicare qualcuno nel 2020.

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Grand Army non è una serie brutta o mal scritta, ma si perde nelle proprie ambizioni. Una scuola  popolata da giovani è probabilmente il miglior setting in cui ambientare una vicenda che parla di pregiudizi, razzismo e altre questioni sociali, ma l’ombra ingombrante del teen drama è sempre lì in agguato. Ed è molto difficile sfuggirle.

Marco Broggini
Nasce con Toriyama, cresce con Ohba e Obata, corre con Shintaro Kago. Un percorso molto più coerente di quello scolastico: liceo scientifico, Scienze della Comunicazione, tesi su Mission: Impossible, scuola di sceneggiatura. Marco ha scoperto di essere nerd per caso, nel momento in cui gli hanno detto che lo sei se sei appassionato di cose belle. Quando non è occupato a procrastinare l'entrata nel mondo del lavoro, fa sport che nessuno conosce e scrive racconti in cui uomini e gatti non arrivano mai alla fine.