Lo stile di Garth Ennis probabilmente non è per tutti. Dissacrante e fuori dagli schemi è – per chi apprezza – garante di un’esperienza estremamente divertente

Dal 12 agosto Panini Comics ripropone in versione deluxe una raccolta dedicata a Hitman, il personaggio creato da Garth Ennis con il disegnatore John McCrea. Entrambi sono inquadrabili nella cosiddetta British Invasion, che meriterebbe un discorso a parte per l’impatto rivoluzionario che ha avuto sul fumetto dagli anni Ottanta in poi. Ognuno con il proprio stile, gli invasori britannici hanno dato una fortissima spinta autoriale al fumetto, creando personaggi (o reinventandoli) che tutt’ora fanno scuola di scrittura e rappresentazione.

Siamo inoltre in un momento di grande rilancio di questi autori, con l’avanzare di produzioni di serie tv ispirate anche a eroi alternativi a quelli classici Marvel e DC. E per un pubblico più esigente, probabilmente, questo nuovo corso dei cinecomic finalmente arriva a toccare livelli soddisfacenti. Oltre allo straordinario lavoro dell’MCU e ai tentativi più o meno riusciti della Distinta Concorrenza, infatti, possiamo godere ormai da qualche anno della versione cinematografica (seriale) di Swamp Thing, The Boys, Preacher, Doom Patrol – solo per citarne alcuni – e prossimamente arriverà il tanto atteso Sandman. Cosa hanno in comune tutti questi titoli? Sono, appunto, in qualche modo figli della British Invasion dei fumetti degli anni Ottanta.

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Hitman, il killer di Gotham City

Hitman è sempre stato un personaggio strano. Sin dal suo esordio nel ’96, la sua collocazione geografica è stata chiara – Gotham City, e in particolare i bassifondi irlandesi della città. Chiara è anche la sua presenza nel canone DC dal momento in cui interagisce con diversi eroi; tuttavia è lasciato ai margini, quasi nascosto nella narrazione supereroistica. Le sue origini sono legate a un altro personaggio DC poco noto, di matrice kirbyana, Etrigan un demone infernale che in realtà combatte spesso a fianco dei buoni. Etrigan compare nella prima storia in cui appare Hitman, in The Demon Annual numero 2 del novembre 1993. Hitman, al secolo è Tommy Monaghan, e acquisisce i suoi poteri dopo un incontro ravvicinato con un’entità aliena.

Da allora sviluppa capacità metaumane che impiega in una professione tanto redditizia quanto pericolosa: quella del sicario. Tecnicamente dovrebbe occuparsi proprio di quegli obiettivi preclusi alla maggior parte dei colleghi, poiché troppo potenti. Di fatto, le sue avventure prevedono diverse vittime designate. Non pensiamo, però, che Hitman sia un professionista interessato solo al denaro, perché applica un suo codice morale – tanto personale quanto rigido – e depenna dalla sua agenda tutti quelli che ritiene innocenti. Ma chi può dirsi innocente al giorno d’oggi?

Il tono delle storie di Hitman

La serie dedicata al killer di Ennis inizia nel 1996 si conclude nel 2000. Da allora, il suo stesso autore ha dichiarato di sentire la mancanza del personaggio e di desiderare un suo ritorno alla ribalta. Magari, perché no, in una serie tv a lui dedicata? Se è vero che il tono serioso del DC Extended Universe ormai è dato per scontato, probabilmente la strada “leggera” presa dallo stand alone su Aquaman è stata tra le scelte vincenti del franchise, per non parlare del successo di The Suicide Squad di James Gunn da pochi giorni nei cinema italiani. Oltretutto, parlando di personaggi dissacranti, non bisogna dimenticare il grande successo del film dedicato a Deadpool, da parte della Marvel, che ha portato anche a un inaspettato sequel.

I tempi per un ritorno di Hitman sulle scene potrebbero essere quelli giusti, dunque. Lo sguardo disincantato, feroce di Ennis sul mondo dei supereroi è stato l’elemento chiave del successo di The Boys, di cui attendiamo la terza stagione. Il tono con cui Hitman interagisce con Gotham è esattamente lo stesso. Molto lontano dalla narrazione cupa di Batman, pur avendo continuamente a che fare con creature infernali e decisamente su un altro pianeta rispetto all’infallibilità di Superman, Hitman rivendica comunque una sua etica. Per quanto il suo lavoro sia disprezzato dai vigilanti ed eroi più quotati, Tommy Monaghan è là dove c’è da fare il lavoro sporco, con poche menate a interferire tra lui e la sua missione. Crede nell’amicizia, probabilmente il sentimenti più solido dell’intera sua biografia, crede nel potere di una serata in compagnia e – in qualche modo – crede nell’amore romantico.

Chi fa il lavoro sporco

Sin dall’esordio della testata, in Hitman 1 del maggio ’96, Monaghan si confronta direttamente con il Crociato Incappucciato a cui dà una bella lezione. Arrivano, dopo un breve scambio di battute di presentazione, a decidere del destino di Thrax, praticamente un coacervo di malattie e infezioni, una bomba batteriologica sull’orlo di esplodere. L’unico modo per fermare il disastro imminente, lo sanno entrambi, è far fuori il soggetto. Eppure, l’etica di Batman vieta di uccidere, la sua coscienza blocca il pugno di ferro poco prima dell’irreparabile. Hitman non ha di questi limiti, lui è un assassino e – soprattutto – sa perfettamente quel che va fatto, quando e perché. Paradossalmente, tra i due è proprio il sicario senza scrupoli a salvare la città, risolvendo in poche battute l’antico dilemma morale di Wayne e mostrando all’eroe e al lettore che a mandare avanti la baracca non sono le icone infrangibili ma quelli che sanno sporcarsi le mani.

In Hitman numero 10, invece, Monaghan ha a che fare con Lanterna Verde, qui in una versione decisamente sprovveduta. Per costringere il sicario alla collaborazione, un’agenzia paragovernativa corrompe il GCPD e convince Lanterna Verde di essere il prossimo obiettivo di Hitman. Cascatoci con tutte le scarpe, l’eroe è pronto al contrattacco e trova Monaghan che non solo lo elude facilmente, ma gli spiega anche l’enorme fregatura in cui si trovano. I due collaboreranno, pur nella riluttanza del supereroe e nel continuo sfottò del sicario. Anche qui la differenza tra il personaggio in calzamaglia e l’assassino con gli occhiali da sole è evidente, e propende decisamente tutta a favore del secondo. Insomma, Hitman è forse meno di quanto vorremmo meritarci, ma sicuramente colui di cui abbiamo bisogno.

Amicizia, amore, lealtà

Ribaltando la narrazione supereoistica, Ennis esplora gli elementi biografici ricorrenti a cui il pubblico dei fumetti è abituato. Ogni eroe, dunque, sarà affiancato da una buona spalla e avrà un love interest che appassionerà il lato più romantico dei lettori. Chiaramente nel caso di Hitman questi due elementi non potevano che declinarsi secondo il suo stile anticonvenzionale. Per quel che riguarda l’amore, per qualche numero (da Hitman 1 a Hitman 6) Monaghan costruisce una relazione con Wendy, una ragazza conosciuta in un parcheggio di un supermercato. Monaghan sfrutta il suo potere telepatico per anticipare desideri e bisogni della donna e arriva in breve tempo a conquistarne la fiducia. Peccato però che, non appena le si presenta a casa in fin di vita dopo una sparatoria, Wendy lo rifiuti senz’appello. Torna dunque la condizione di outcast, di “mostro” a cui è preclusa una serena vita sentimentale – un tema ricorrente nelle storie dei supereroi.

Il legame che davvero emerge nelle storie di Hitman, è quello dell’amicizia. Che sia cameratismo da ex-veterani del Vietnam o rapporti nati e consolidati per strada, i compagni di vita di Monaghan sono in realtà i suoi amici. Come viene mostrato sin da Hitman 1, l’assassino si ritrova ogni sera da Noonan’s dove passa il tempo, tra un whisky e una partita a biliardo, con alcuni dei peggiori ceffi in città. Tra loro c’è Pat, che compare per alcune storie e resta ben impresso nel lettore per il suo tragico sacrificio. In Hitman n. 4 invece fa la sua comparsa Natt, una vecchia conoscenza di Monaghan dei tempi di Detroit che diventerà – da quel momento in poi – un ottimo personaggio secondario e una spalla fondamentale.

In conclusione…

Ritrovare le storie di Hitman di Garth Ennis e McCrea è un tassello importante nella costruzione di una cultura della contro-narrazione supereroistica. Vero è che si sta vivendo un trend quasi modaiolo degli “antieroi”, ma siamo abbastanza lontani dalla saturazione, specialmente se ci si approccia al tema attraverso opere di qualità. Gli autori sono preparati nel raccontare i propri valori anche là dove i comportamenti sono lontani dall’epica, dalla purezza di un Superman o di un Capitan America e Hitman ne è la prova.

Molto amato da chi lo conosce, sarà apprezzato da chi cerca, nelle pubblicazioni passate, letture al di fuori del linguaggio morigerato e contenuto del cosiddetto “politicamente corretto” contemporaneo, che altro non è che una scrittura rispettosa delle identità. Inoltre, la carica di pulp è quella tipica del decennio tra anni Novanta e anni Duemila, alla base di parte dell’immaginario millennial. Quindi un vintage sporco, scorretto, ma sentito e con diversi momenti toccanti – immersi in una narrazione per lo più violenta e divertente.

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.