Abbiamo passato qualche ora a Hogwarts. Dobbiamo ancora completare la nostra avventura, ma ecco le prime impressioni

C’era una volta una versione di me stesso moderatamente appassionata di Harry Potter. Dico moderatamente perché, contrariamente a molti miei coetanei, non è mai diventata un qualcosa che mi ha spinto a comprare bacchette, sciarpe o oggettistica varia legata alla saga di Rowling. Neanche i film mi hanno mai fatto impazzire (a parte il terzo, sia benedetto Alfonso Cuarón). I libri però, wow: ci sono cresciuto insieme e mi sono piaciuti tantissimo. Crescendo la cosa è andata scemando come forse è fisiologico che sia, ma non ho mai dimenticato il me preadolescente che sognava una versione interattiva ed esplorabile di Hogwarts e dintorni.

Al netto delle questioni legate al boicottaggio del gioco e dei prodotti derivati dalla saga di Harry Potter (ve ne abbiamo parlato in tempi non sospetti in questo articolo, mentre per la questione relativa al videogioco vi rimando a questo articolo di Giulia Martino per Multiplayer) ero francamente curioso di vedere come Harry Potter sarebbe stato tradotto in un RPG open world da Avalanche Software, da non confondere con Avalanche Studios, quella che nonostante qualche scivolone si è negli anni dimostrata essere una software house piuttosto affidabile per quanto riguarda gli open world.

Mentre vi scrivo quanto leggete non ho ancora portato a termine la mia avventura a Hogwarts: il titolo di Avalanche è piuttosto grande e ci sono diverse attività da svolgere oltre alla missione principale, e ho preferito prendermi più tempo per parlarne approfonditamente più avanti piuttosto che farmi di corsa la storia principale in sessioni di 10 ore al giorno, anche perché giocare con questi ritmi porta inevitabilmente ad avere una visione distorta del gioco. Prendete quindi quanto segue come una serie di prime impressioni basate comunque su diverse ore di gioco.

Hogwarts Legacy è la prima parte di un progetto molto ambizioso, chiamato Portkey Games, all’interno del quale Warner Bros intende espandere l’universo narrativo creato da J. K. Rowling con storie originali.

Hogwarts Legacy è così ambientato nel 1800 e propone una storia inedita nella quale interpreteremo un personaggio personalizzato in grado di controllare un’antica forma di magia che si troverà implicato in una rivolta organizzata da un gruppo di goblin contro la società di maghi e streghe che da sempre li hanno relegati a una condizione subalterna. È presto per analizzare le tematiche e come sono state trattate, ma per ora la divisione buoni e cattivi sembra un po’ troppo manichea, soprattutto se rapportata a un impianto narrativo potenzialmente grave e carico di implicazioni morali.

Mettendo da parte la storia però, vorrei venire alla questione che più interessava il me preadolescente, ovvero il fanservice. Una brutta parola, utilizzata quasi sempre in senso spregiativo quando in realtà si tratta della ragion d’essere della maggior parte dei tie-in. Fanservice può significare un sacco di cose, e nel caso specifico intendo la possibilità di camminare in prima persona in quei corridoi di cui abbiamo letto nei libri, della capacità di utilizzare quelle stesse magie che ci sono state raccontate, volare su una scopa, conoscere animali magici, preparare pozioni e scoprire i segreti della scuola di magia più famosa del mondo.

Sotto questo aspetto, Hogwarts Legacy funziona benissimo, tanto da pensare che (anche comprensibilmente) il più dello sforzo sia stato speso per rendere la fantasia di essere un mago a Hogwarts realtà. La scuola è bellissima, con i quadri che si muovono e parlano, le statue che reagiscono al nostro passaggio, strumenti magici che suonano musica fluttuando in aria e tutti quei piccoli e piccolissimi dettagli che sono serviti negli anni a costruire nelle menti di generazioni Hogwarts come un luogo “reale”. La scuola è poi piena di misteri e cose nascoste, trasformandosi effettivamente come ci viene detto all’inizio in un grande puzzle. Ogni porta è apribile e ogni corridoio è vivo di studenti.

Insomma, è difficile non passare ore anche solo a ritrovare quella fascinazione per un luogo che conoscevamo perfettamente ma che, per la prima volta, possiamo davvero esplorare in prima persona con una resa grafica di alto livello.

Gli scivoloni in tal senso sono pochi, e l’unico che mi ha veramente fatto storcere il naso è stata la scelta della casata, con il Cappello che mi ha fatto due domandine striminzite e poi mi ha assegnato a Corvonero, con la possibilità se non soddisfatto di cambiare Casa.

Ho un ricordo preciso di Pottermore e delle domande per decidere la casata, e ricordo il tutto come una lunga sessione di psicoterapia. Tolto questo però, l’aspetto fanservice di Hogwarts Legacy è perfettamente azzeccato, sia nella ricostruzione della scuola che nella possibilità di imparare e utilizzare le magie che abbiamo imparato a conoscere.

Dove il gioco sembra essere un po’ più debole è nel suo aspetto RPG e nella costruzione dell’open world: non pervenuto il primo e fin troppo “scolastico” il secondo.

Partendo dall’aspetto RPG, mi preme ricordare che gioco di ruolo significa, innanzitutto, interpretare un personaggio e non equipaggiamento, livelli e skill tree. Chiaramente non mi aspettavo Skyrim nel mondo di Harry Potter, ma le possibilità tra le differenze tra casate e le dichiarazioni del team sulla possibilità di utilizzare le maledizioni sembrava aprire a qualcosa di interessante. Manca invece totalmente la possibilità di interpretare un personaggio scegliendo risposte che abbiano un impatto sull’andamento delle missioni e della storia, così come il mondo di gioco non reagisce assolutamente alle nostre azioni né ci sono interazioni con gli altri studenti in cui le differenze di Casa influiscono.

Insomma, non si sta costruendo il proprio giovane mago nell’universo di Harry Potter, ma si sta giocando un maghetto buono che ogni tanto può anche rispondere un po’ male, e in fondo non cambia nulla. Manca anche un sistema di sviluppo del personaggio in senso parametrico, perché gli incantesimi son sempre gli stessi e non è possibile costruire build specifiche, nonostante qualche timida apertura allo stealth.

Ed è veramente un peccato, perché il sistema di combattimento è piuttosto divertente nel suo essere – per quanto ho giocato per ora – piuttosto limitato. Oltre a essere molto scenografico, infatti, è possibile eseguire lunghe combo a colpi di magie con effetti diversi, parry e schivate, con una forte enfasi sul controllo del campo di battaglia con situazioni in cui si è costantemente in minoranza numerica e i nemici quando colpiscono lo fanno facendo parecchi danni (ma sto giocando a modalità difficile).

Si percepisce del potenziale sprecato quindi per quanto riguarda la parte RPG, e se è comprensibile visto che il gioco non era certamente rivolto a un pubblico hardcore, è parimenti vero che un pochino più di coraggio avrebbe dato al gioco una marcia in più molto molto marcata.

Passando poi all’open world, il lavoro di Avalanche è tutto fuorché rimarchevole: ci troviamo di fronte alla classica mappa piena di segnalini, accampamenti, punti di raccolta, tesori e via dicendo. Nulla che vi debba spiegare insomma, perché già sapete come funziona. In questo open world si inseriscono poi diverse missioni secondarie che di fatto sono fetch quest, a cui si accostano sfide di diverso tipo e collezionabili. Tutto da manuale. Salva la baracca un buon colpo d’occhio e la magia del mondo di Rowling.

Tornando al me preadolescente, certamente è innegabile che mi sarei perso con piacere nel mondo tratteggiato da Avalanche. Il me di trent’anni ha, allo stesso modo, avuto molto piacere nel girare per Hogwarts per un sano tuffo nel passato. Mi sono però anche accorto di tutte le criticità a cui il gioco sembra prestare il fianco. C’è quindi un attrito per il quale sì, sono curioso di continuare a giocare fino alla fine per continuare ad abitare quel mondo in cui ho sognato di potermi muovere quando ero più piccolo, utilizzando in prima persona tutte quelle magie che ricordo a memoria. Appena però mi si rompe la sospensione dell’incredulità per via di dialoghi a volte un po’ troppo naif o per l’ennesima fetch quest, mi rendo conto dei limiti di Hogwarts Legacy come videogioco che vorrebbe essere un RPG open world.

Spero che il racconto possa impennarsi, e che il team riesca nella seconda metà del gioco ad andare oltre al solo splendido lavoro fatto nel ricreare le atmosfere di Harry Potter. Se il giudizio sarebbe comunque stato sospeso, le frizioni tra le “due anime” di Hogwarts Legacy mi rendono curioso, più che entusiasta.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.