Il fronte interno

Homefront: The Revolution ha avuto uno sviluppo che definire problematico sarebbe riduttivo, e certamente ne paga lo scotto sotto diversi punti di vista. D’altra parte però la critica sembra averlo preso come valvola di sfogo per tutte le frustrazioni accumulate negli anni a forza di lanciare a pioggia i 9 ad ogni Call of Duty, Battlefield, Assassin’s Creed e compagnia danzante. In fondo Homefront è sì un gioco con tante magagne tecniche, ma presenta anche molte idee, ed in ultima istanza diverte.

Kim Jong-il s’è incazzato…

Anno 2025, la Corea Del Nord vende agli Stati Uniti praticamente qualsiasi bene tecnologico, comprese le armi. Poi un bel bel giorno il dollaro crolla, la Corea disattiva tutte le armi in mano agli statunitensi ed invade il loro paese, in una missione di occupazione mascherata da missione umanitaria. Viene così imposta negli states una rigida dittatura, mentre il popolo viene ridotto alla fame e vessato dai soldati invasori. Ovviamente c’è una Resistenza, in cui il nostro laconico alter ego è l’ultimo arrivato. Dopo delle primissime battute di gioco piuttosto burrascose, in cui il leader carismatico del movimento viene arrestato, ci troveremo costretti a fare diversi lavori per convincere il popolo a ribellarsi all’oppressore, oltre a cercare di far uscire di prigione il nostro leader.

Il pretesto da cui parte la storia non è davvero nulla di eccezionale o di super innovativo, così come non lo sono neanche gli avvenimenti che si susseguiranno nel corso del gioco, abbastanza privi di mordente. Gli sviluppatori hanno evidentemente cercato di dare un taglio più profondo al tutto, introducendo militanti con opinioni divergenti sull’approccio alla rivoluzione, se non proprio con obbiettivi diversi; la costante sensazione e però che si siano fermati un passo troppo presto, senza così riuscire a dire quel qualcosa in più che avrebbe potuto far avere delle tematiche interessanti al gioco.

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Bang Bang, *urla in coreano*

Homefront è uno sparatutto in prima persona con velleità da open world e da survival, con qualche banale elemento RPG. Il risultato non è un open world, ma un gioco con diverse aree collegate da un hub centrale, costellate di punti di interesse come roccaforti da conquistare, sistemi di comunicazione da violare per far spuntare altri indicatori, collezionabili utili ad ampliare il background narrativo e oggetti per costruire alcuni tipi di armamenti secondari on the go; su questo ultimo punto si innesta l’elemento survival, che ha come unico difetto lo scarso impatto sul gameplay, ma ci tornerò. I vari tipi di bombe, oltre a dover essere sbloccate, devono essere costruite utilizzando i materiali raccolti, e quando finiscono (dato l’inventario piuttosto risicato), devono essere ricreate dal menu di selezione delle armi, che non mette in pausa il gioco. L’altro elemento interessante è la versatilità delle armi: sempre senza mettere in pausa il gioco, è possibile trasformare completamente un’arma in un’altra, un fucile può diventare uno fucile di precisione o un lanciagranate, e si possono applicare modifiche, ad esempio se il nemico è lontano potete rapidamente mettere un mirino con uno zoom più importante. Il sistema acquista – acquisterebbe – maggiore importanza date le poche armi trasportabili. Purtroppo però, e qui si viene al punto dolente, è davvero raro che sia necessario cambiare arma per affrontare nemici diversi, soprattutto una volta acquisito il lanciarazzi, vanificando una cosa che, sulla carta, sarebbe stata ottima. Le varie armi possono poi ovviamente essere potenziate, così come possono essere acquistati nuovi “pezzi di armatura” che vanno ad impattare su diverse cose, tra maggiore resistenza, minore rumore prodotto dai passi, velocità di movimento, maggior numero di munizioni, ecc.

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Cose di balzelli e corse

Mi auguro per chiunque ci abiti che Philadelphia sia più ampia e varia di quanto i ragazzi di Dambaster Studios hanno portato sulle nostre console e computer. Al netto di qualche posto estremamente ispirato, come il cantiere navale, la città è decisamente anonima e non c’è praticamente niente di interessante da vedere, oltre ad essere composta da aree davvero piccole. Il rovescio di questa medaglia è l’interessante sviluppo in verticale, mescolato alla necessità di capire come entrare negli edifici. Lo sviluppatore ha infatti accennato un sistema di parkour che sembra il fratello scemo di quello di Dying Light, e sarà quindi spesso necessario arrampicarsi, correre e saltare per raggiungere la nostra meta. Anche in questo caso l’idea è interessante, mi è piaciuto molto girare intorno ai palazzi per cercare di capire come entrarvi ed ho provato grande soddisfazione nel riuscirci, ma ogni tanto mi ritrovavo a premere il tasto salto a ripetizione nell’attesa che il personaggio capisse che doveva aggrapparsi. Anche qui, l’idea è stata buona, ma la realizzazione approssimativa. A prescindere da questo però nelle mappe ci sono diverse azioni da fare per fomentare l’odio da parte dei cittadini, così da farli poi rivoltare: dopo un certo numero di punti di interesse e fortezze conquistate, dopo aver salvato i cittadini dalle angherie delle guardie, aver sentito abbastanza conversazioni radio e disattivato abbastanza apparecchi nemici sarà possibile far iniziare la rivolta in quel quartiere, e una volta fatto ciò quello che vedremo cambierà totalmente, con i quartieri sotto il controllo dei cittadini armati che ora massacrano i poliziotti e incendiano le auto. Oltre a questi elementi di contorno, che però si mescolano benissimo col la main quest, ci sono appunto gli obbiettivi principali. Qui gli sviluppatori hanno cercato di variare il più possibile: se è vero che a pensarci a mente fredda le missioni sono sempre il solito andare in un punto, sparare, cercare di non farsi scoprire, è anche vero che si ha un senso di varietà maggiore rispetto ad altri giochi con questa strutture, ed effettivamente non mi sono mai annoiato. Alcune di queste missioni avrebbero giovato di un sistema stealth più profondo, e di nemici più svegli, ma vabbè, ce lo teniamo così.

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Ecatombe è la parola d’ordine

Il versante tecnico di Homefront: the revolution è un’ecatombe. Ok lo sviluppo travagliato, ma qui si esagera. Se questo è un gioco pubblicabile, l’alpha di Nioh merita il premio come miglior gioco dell’anno per realizzazione tecnica. Nonostante il titolo goda di una buona grafica generale, con buoni modelli, buone texture e ottimi effetti di luce (grazie CryEngine), tutto il resto non funziona. Il frame rate è scandaloso, a occhio mediamente intorno ai 25 fotogrammi per secondo, che spesso, troppo spesso, cadono in picchiata. Quando si corre scatta tutto e quando c’è un caricamento il gioco si blocca totalmente… è normale, non dovete riavviare la console; inoltre, per non farsi mancare niente, ho notato che in alcuni momenti manca il doppiaggio, come se il gioco non trovasse il pezzo di parlato corrispondente: il personaggio parla, segue una pausa in cui si capisce che qualcosa non va grazie ai sottotitoli, e dopo un po’ riparte a l’audio. Mah. Ciliegina sulla torta, prima della patch 1.03, uscita dopo qualche giorno dal lancio, al posto dei nomi delle fortezze conquistate c’erano dei testi placeholder, ancora da sostituire con le intestazioni corrette. Ancora mah. Stessi qui a farvi la lista dei bug finiremmo domani, sono davvero tanti, anche se nessuno di questi è poi un problema insormontabile – l’unico (per quanto ne sappiamo) in grado di rompere il gioco è stato corretto nella versione 1.03. L’unica magagna davvero davvero grave è in ultima istanza il frame rate, che ancora non è stato corretto. Gli sviluppatori, però, dicono di star lavorando di buona lena. Staremo a vedere.

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Multiplayer

Il multiplayer è un elemento secondario in Homefront, ma nonostante questo le idee implementate sono molto carine: si tratta di una componente online esclusivamente PvE, in cui squadre di giocatori dovranno sfidare il computer in missioni di attacco o di difesa. Il personaggio può essere creato con un editor piuttosto scarno, gli si può scegliere un background che garantisce un particolare tipo di abilità iniziale, e poi può essere potenziato imparando diverse abilità, divise in più alberi rispondenti ognuno ad una caratteristica (muscoli, intelligenza, ecc). Si possono scegliere le armi con cui iniziare la partita, ed è possibile personalizzare il vestiario. Il gameplay è esattamente quello del gioco, semplicemente in compagnia, ed anche i teatri in cui andremo a sparare sono aree prese dalla campagna principale. Nonostante il tutto funzioni, ho i miei seri dubbi che qualcuno possa mai davvero interessarsi a questo aspetto del gioco.

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Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.