Con l’imminente arrivo di Dreams, rivediamo insieme cosa si intende quando si parla di editor videoludici.

L’ambizioso progetto di Media Molecule, Dreams, finalmente alle porte, sarà disponibile per PS4 il prossimo 14 febbraio. Dopo esser stato annunciato nell’ormai lontano E3 del 2015, la nuova opera realizzata dallo stesso team dietro a Little Big Planet si accinge a rivoluzionare completamente il genere degli editor videoludici.
Non che quest’ultimo, a dire la verità, sia un genere pieno di titoli. Potremmo identificare lo studio di Media Molecule come il vero “inventore” di videogiochi per fare videogiochi, riconoscendo in Little Big Planet l’inizio di tutto (almeno attraverso l’apparato mainstream).

Il caso Little Big Planet

Prima che i Game Awards prendessero il sopravvento, diventando il sinonimo di Oscar videoludici, la più prestigiosa kermesse del settore erano gli Interactive Achievement Awards del DICE (oggi arrivati alla 22esima edizione). Nel 2008, i candidati nella categoria Miglior gioco erano Fallout 3, Grand Theft Auto IV, Gears 2 e Metal Gear Solid 4. Eppure, a vincere, contro questi colossi dell’industria, fu un gioco relativamente molto più piccolo, Little Big Planet. I DICE Awards avevano deciso di premiare l’unico gioco dell’anno che aveva seriamente innovato il settore. Per chi non conoscesse questo titolo, ormai diventato cult, possiamo dire che si tratta di un semplice platform e, allo stesso tempo, del primo vero esempio di editor videoludico.

Little Big Planet consentiva infatti ai giocatori di creare i propri livelli platform e di poterli condividere online tramite il servizio Playstation Network. Tutto, dall’ambientazione ai nemici fino alla musica, era modellabile dal giocatore. La cosiddetta “modalità creativa” permetteva di perdersi per giornate intere a creare livelli da soli o, perché no, con amici. Una vera innovazione nel settore che non ha portato però alla rivoluzione sperata. Sì, perché, oltre ai due dimenticabili sequel, l’idea di Little Big Planet di costruire un vero e proprio editor per fare videogiochi non è stata sviluppata da nessun altro all’interno dell’industria. Almeno fino al 2015.

Ma, tornando a Media Molecule, è da sottolineare un fattore importante per quanto concerne la filosofia di game design che risiede dietro a tutti i lavori del team britannico. Ovvero lo sviluppo di videogiochi pensati per progettare altri videogiochi. Il gameplay di Little Big Planet e Dreams, pur non essendo dissimile da un tool editoriale, deve avere la capacità di istruire il giocatore sulle funzioni basi degli strumenti messi a disposizione (pratica spesso lunghissima e pedante), e di assicurare una vasta gamma di opzioni per poter creare livelli eterogenei tra loro e infine garantire quel minimo di divertimento al giocatore che non faccia sembrare il proprio tempo passato al gioco come un lavoro. Su questi punti la modalità creativa di Little Big Planet ha indubbiamente fatto il suo tempo, risultando ormai fiacca di contenuti (dopo ben dodici anni di attività) e ostica da seguire, a causa del vasto numero di istruzioni che dobbiamo imparare prima di cimentarci nella creazione. Ma prima di arrivare a parlare della nuova fatica di Media Molecule, non possiamo saltare forse quello che è il titolo più famoso nel piccolo campo degli editor videoludici.

fare videogiochi

Essere Mario Maker

Nintendo è il re indiscusso del platforming e Super Mario la sua mascotte. Cosa ci può essere di più invitante della possibilità di avere a disposizione tutti gli strumenti per costruire interamente da zero un livello dell’idraulico più amato al mondo? Niente. Super Mario Maker è il gioco che tutti gli appassionati videoludici volevano, ma ancora non lo sapevano. L’opera Nintendo riprende la formula di Little Big Planet e la applica alla matrice del mondo di Super Mario, dando la possibilità non solo di creare, ma anche di condividere online, i propri livelli. Si crea immediatamente così una community, costruita attorno alla continua ideazione e progettazione videoludica, trasformando il gioco in una vera e propria “killer application” dell’ormai defunta Wii U. Super Mario Maker ha infatti avvicinato molti giocatori alla pratica del level design, stimolando analisi intorno alla costruzione dei mondi Nintendo.

E, in maniera ancor più significativa, ci è riuscito con il sequel dell’anno scorso. Dare in mano agli utenti gli strumenti per cimentarsi nel game design può essere una grossa occasione per i giocatori per guardare in prospettiva la propria passione, e capire cosa si nasconde dietro. Ma può anche rivelarsi un ostacolo insormontabile per coloro che, semplicemente, non hanno idea di come si crei un videogioco. Ovviamente, non si può pretendere che tutti conoscano i fondamentali del level design, e questo comporta anche la presenza (probabilmente maggioritaria) di livelli troll, troppo difficili, troppo facili o banalmente mal concepiti. Ed è qui che viene allo scoperto il grande “difetto” dei titoli di questo genere. Perché se è vero che, se non so costruire, posso sempre giocare i lavori altrui, non è raro finire in un loop di terribili livelli che ti fanno venir voglia di spegnere la console, o di giocare qualcos’altro.

Videogiochi che nascono sulla base di un retaggio simile, non soffrono particolarmente questo problema. Giochi clone come Sonic Maker o Mega Man Maker, partono da una matrice che parla direttamente ai propri fan. Dando la possibilità di “fare” i propri titoli del cuore.
Forse è per questo che il genere degli editor videoludici non ha mai preso veramente piede. Perché è difficile convincere il pubblico ad acquistare un gioco che non è altro che un tool proposto in una forma più ludica. L’appassionato in game design si rivolgerà infatti più a dei programmi, che a dei giochi. Engine come Source o Unity non hanno appeal all’interno del mercato, ma sono gli strumenti a cui gli sviluppatori (soprattutto quelli indipendenti) si affidano maggiormente. Per non parlare di editor come RPG Maker, che nello scorso decennio hanno sfornato anche titoli sorprendenti come il commovente To The Moon

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Il creatore di mondi

Essere game designer non è facile, soprattutto se si richiede di creare videogiochi totalmente da soli. Il sogno di Media Molecule, iniziato ormai più di dieci anni fa, non ha cambiato il settore. Titoli indie come Boxmaker o Levelhead esistono, e sono classificati su steam come “platformer maker”, ma sono confinati in un sottobosco privo dell’appeal che ha spinto milioni di giocatori all’acquisto dei titoli di cui si parlava prima. La sfida di Dreams è quindi quella di rilanciare, o meglio reinventare, il tema alla base di Little Big Planet: la creazione di mondi. Da quel che si è potuto assaggiare dall’Early Access, Dreams sembra ricollegarsi alla filosofia dietro ai mattoncini Lego, editor “ludici” per eccellenza, in grado di dare la più alta libertà creativa concepibile, più che a Super Mario Maker. Le costruzioni Lego sono vere e proprie esperienze non dissimili dai tool che Dreams sarà in grado di darci. La costruzione di mondi è il nucleo del divertimento, che ci riporta piccoli e ci fa usare la nostra immaginazione come combustibile della narrazione. E forse, il titolo che più di tutti ha rappresentato questa concezione è Minecraft, letteralmente il videogioco più giocato della storia.

La fortuna di Minecraft è stata quella di fornire ai giocatori di tutto il mondo quei mattoncini (o meglio dire, cubetti) che hanno trasportato la filosofia lego nel mondo virtuale. La sfida di Minecraft, che vive giusto giusto di un abbozzo di trama, è quella di permettere ai giocatori di inventarsi le proprie storie. Sebbene il gioco non consenta la creazione di meccaniche da zero, è vero che il gioco a cubi più famoso della storia vive ancora oggi grazie alla possibilità di creare letteralmente mondi interi partendo dal nulla. Trasformando così i server e l’esperienza ludica in maniera più simile ad un cantiere architettonico che a un videogioco. Sono molti infatti i microcosmi costruiti dai giocatori, ispirati dai più disparati temi della cultura pop e non. C’è chi ricrea Howgarts da Harry Potter e chi si mette in testa di fare una riproduzione in scala di tutta la Terra di Mezzo, impiegando anche mesi di lavoro e la collaborazione di centinaia di utenti. Una sorta di gigantesco parco giochi Lego che è alla base della creazione di una comunità.

E Dreams permetterà anche questo. Se si esplora la sezione giocabile dei lavori dei giocatori, si può notare che una buona parte consiste anche semplicemente in tech demo grafiche, piccoli cortometraggi interattivi, veri e propri videoclip musicali e quant’altro. È possibile infatti impegnarsi giorno e notte per costruire una fiction piuttosto che un videogioco, trasformando l’esperienza interattiva in un editor a 360 gradi.

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La libertà che Dreams promette di portare è quindi vastissima, ma anche disarmante. Se si sopravvive alle ore di tutorial iniziali, quello a cui ci troviamo davanti è un tool box senza fondo con infinite possibilità. Super Mario Maker era limitato nei modi e nelle forme in cui si potevano modellare i livelli, Dreams, invece, non ha limiti, non circoscrivendo neanche il tipo di medium che è possibile creare tramite il gameplay. Ragionando in questi termini l’opera di Media Molecule diventa un videogioco avanguardista nei suoi intenti ma rischioso sia da un punto di vista commerciale e che di effettivo riuscita dell’esperimento.

Può essere uno sfogo creativo per tutti i giocatori del mondo ma allo stesso tempo un rompicapo e uno stress per chi non trova l’ispirazione giusta. E una volta all’interno di Dreams, l’opzione per quest’ultimi giocatori meno fantasiosi è quella di andare a giocare i lavori altrui sperando di non incappare nel loop di mediocrità di cui si parlava poc’anzi. Abbiamo di fronte una scommessa, in grado di rilanciare o di uccidere il genere, sperando ovviamente nel compimento della prima possibilità.