“La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto”.

L’immaginario americano è stato influenzato, sin dai primi padri pellegrini, da una miriade di scrittori, filosofi, sociologi, politici e registi.
Senza ombra di dubbio, uno degli autori più affascinanti e visionari di essi, è Howard Phillips Lovecraft.

Nato a Providence nel 1890, cresciuto tra i libri di Edgar Allan Poe, l’assenza di un padre morto prematuramente per sifilide, ed una supervisione morbosa da parte di madre e zie, con i suoi racconti dell’orrore, pubblicati agli inizi del ‘900, ha influenzato fortemente la cultura immaginifica americana.

Tramite le sue opere ha messo ripetutamente in luce temi cari al puritanesimo, come gli spazi sconfinati dove si cela il male nascosto nei suoi pandemoni, la casa fortino assediata dall’esterno o infestata dall’interno, o personaggi che diventano psicopatici e/o paranoici dopo incontri ravvicinati con le rappresentazioni del male.
Infatti, una peculiarità dei protagonisti delle opere di Lovecraft, è che sono tutti quanti vittime, incapaci di poter sconfiggere il male che incontrano sul loro cammino.

Tra le sue opere, senza alcun dubbio, I ratti nei muri, Il colore venuto dallo spazio e Dagon sono utilissime a mettere in luce alcuni degli archetipi fondamentali della cultura americana.

Le trame

In tal caso per poter proseguire con la nostra analisi è meglio ricordare, seppur brevemente, le storie dei testi sopraelencati.

Nella prima opera citata ci ritroviamo in Inghilterra, dove l’erede della famiglia Delapore è andato ad abitare nella vecchia casa dei suoi antenati.
Dopo un breve periodo il protagonista inizia a non riuscire più a dormire serenamente a causa di rumori, simili allo squittire e zampettare di topi, provenienti dalle pareti della casa.
Dopo una serie di indagini, fatte con un suo vecchio amico e alcuni scienziati, riescono a trovare un passaggio segreto che conduce ad una cripta sottostante la casa.
In quel luogo abbandonato da Dio, dopo aver rinvenuto montagne di ossa, ed antiche immagini raffiguranti entità mostruose, scoprono che gli antenati della famiglia Delapore erano soliti praticare cannibalismo, cibandosi di persone tenute prigioniere nelle cripte, e che si erano trasformati in creature dalle fattezze di ratto.
Il protagonista alla vista di queste immagini impazzisce e, perduto il senno, aggredisce e divora il suo amico.
Il racconto termina con il rampollo, apparentemente rinsavito, che è stato trasportato al manicomio più vicino.

Ne “Il colore venuto dallo spazio”, invece, viene narrata la storia dell’ignara famiglia Gardner, una comunità di fattori del New England, che viene soppiantata da un misterioso batterio provenuto dallo spazio.
La storia è narrata da un ragazzo, arrivato nella vallata per compiere degli scavi, che dopo aver ascoltato la testimonianza di uno dei vicini di casa dei Gardner, decide di fuggire dal luogo maledetto.
Qui, a dispetto del primo racconto, il male arriva dallo spazio sconfinato e, tramite un asteroide simile ai famosi “tripodi” de La guerra dei mondi di Spielberg del 2005, si insidia nel terreno della fattoria, avvelenando il pozzo, i frutti, gli animali e l’acqua, contaminando ed uccidendo da dentro la povera famiglia.

Oltre che ereditieri o contadini, i personaggi dei racconti sono anche naufraghi: come in Dagon, dove il protagonista, dopo essere fuggito da una nave tedesca che lo aveva fatto prigioniero durante la Grande Guerra, approda su una misteriosa isola, come un novello padre pellegrino, ma a dispetto di questi non troverà la vastità delle land da poter conquistare tanto care alla teoria della frontiera, ma una desolata spiaggia ricoperta di melma nera e carcasse di pesce in putrefazione.
Dopo 3 giorni di agonia, l’esule, deciderà di esplorare l’isola. Alla fine del suo viaggio troverà, a ridosso di una collina, un baratro con al suo interno antiche statue di una civiltà oramai dimenticata ma, poco dopo la scoperta, una spaventosa creatura, per l’appunto Dagon, si desterà dalle acque obbligando il protagonista in una folle fuga.

Il racconto termina con il naufrago che, dopo essere stato salvato da una nave, si ritrova a casa sua, caduto in uno stato di paranoia totale, a scrivere le sue ultime memorie, poco prima di decidere di suicidarsi dopo aver sentito l’abissale creatura colpire la sua porta.

Gli “eroi” contro il male

I personaggi delle opere sopracitate sono, come già anticipato, tutti quanti vittime, non sono eroi, spesso si ritrovano a vivere con il male vicino a loro senza saperlo, per poi soccombere una volta incontrato.

Analizzando il protagonista de I ratti nei muri, egli ritorna alla sua abitazione, ma non si ritrova in una casa-fortino capace di difenderlo dal male esterno, poiché la sua dimora è infestata, come nell’immaginario americano degli anni ’50 dove la crisi dei valori del puritanesimo, unita a quella economica, impediscono di avere una visione positiva della vita.

Il suo personaggio incarna, dopo aver appreso le usanze dei suoi antenati, lo psicopatico della cultura americana, mettendo tuttavia in luce anche un altro archetipo: quello del doppio. Anticipando di molti anni il Michael Jackson di Thriller (ebbene sì, persino la musica pop è fortemente influenzata da queste visioni letterarie), il rampollo di Lovecraft mostra che al suo interno si nasconde il male, celato anche ai suoi stessi occhi, ma che inconsciamente è capace di prendere il sopravvento.

Passando agli sventurati contadini del New England, essi sotto molti aspetti sono un’accurata rappresentazione dei puritani americani, intenti a lavorare la terra, sicuri di essere protetti dalla loro dimora. Qui avviene il fenomeno della litobolia, ovvero la presenza di una entità maligna che, a discapito di ignare vittime, impedisce loro lo svolgimento delle importanti attività commerciali e contadine.
La famiglia Gardner, prima di venir sterminata dal batterio proveniente dall’oscurità spaziale, ha un totale tracollo mentale, in particolare la moglie di Nahum Gardner, finendo per rappresentare, la figura dello psicopatico americano. La malcapitata, infatti, verrà reclusa in soffitta, in preda a visioni di mostri che pian piano le succhiano via la vita durante il sonno.

Ritornando a Dagon, invece, uno dei primi elementi affascinanti da analizzare è il confronto che viene fatto dal protagonista stesso, il quale, ritrovatosi sulla sommità di una collina, osservando il vuoto del baratro sotto di lui, si paragona al Satana del Paradiso perduto di John Milton, testo fondamentale per la cultura puritana.

Questa similitudine è eccezionale per poter descrivere il male che si cela nel vuoto, nello spazio sconfinato al di sotto del nostro personaggio, come un pandemonio pronto a vomitare fuori entità dimenticate dalla umana memoria, come, per l’appunto, l’Inferno di Satana.
Perché anche lui, come il Satana di Milton, teme il vuoto e tutto ciò che si può celare al suo interno.

Oltre a ciò, viene trattato anche il tema del “ritorno”, ma il ritorno a casa del protagonista, in questo caso, non è una riconsacrazione come nei film americani, dove i soldati o i dispersi, dopo aver compiuto la loro missione ritornavano alle proprie vite, perché con l’arrivo di Dagon viene messo in atto il tema del “ritorno del rimosso”, che ha perseguitato la generazione americana del dopoguerra, dove nessuno spazio diventa sicuro.

Dagon è la rappresentazione, ampliamente anticipata, dei mali ed orrori che la società a stelle e strisce pensava di aver lasciato alle proprie spalle, ma che prontamente ritornano per perseguitarli, come avviene dopo la guerra in Vietnam, spettri nati dalla sconfitta contro il male.

Il povero stivatore finisce per divenire un paranoico, che per poter evitare di vedere minacciose mostruosità vicino a lui è costretto ad utilizzare delle droghe, senza però riuscire nel suo intento.

Gli spazi

Altro argomento fondamentale per la formazione dell’immaginario americano è il tema dello spazioUn argomento molto caro al maestro di Providence, visto che quasi tutto il suo immaginario si fonda sul concetto di “terrore proveniente da ignoto ed infinito”.

In tutti i racconti sopracitati, le dimore dei protagonisti rappresentano la famosa “casa-fortino”, uno luogo chiuso, familiare, capace di poter difendere i propri abitanti dai mali provenienti dall’esterno, un po’ come i centri abitati dei padri pellegrini, pronti a respingere gli indigeni dei piccoli pandemoni situati nelle pianure desolate della giovane America.

Sempre ricollegandoci alla storia passata, le vaste distese dove si erano insediati i pellerossa, stanno a rappresentare lo spazio sconfinato ed ignoto dal quale proviene il male, il luogo dove si formano i pandemoni pronti a far fuoriuscire i mostri temuti dalla civiltà.

Ne I ratti nei muri, la casa si trova costruita esattamente sopra alla dimora del male, tutto all’insaputa dell’ignaro padrone di casa.
In questo caso, la funzione di difesa della casa non può essere messa in atto, perché è già stata attaccata e presa, è già stata infestata, sinonimo di come non vi sia un posto sicuro dove potersi nascondere dal male.

In Dagon lo spazio sconfinato è rappresentato, oltre che dal baratro adibito a luogo di culto delle statue, anche dalla vastità dell’Oceano Pacifico, che divide la civiltà dalle antiche mostruosità dell’isola, pronte a perseguitare il protagonista sino alla soglia della sua dimora.
l baratro nero dove lo stivatore si addentra è uguale ai pandemoni indiani. In entrambi dimorano creature pronte a destarsi, pronte ad attraversare la landa desolata per attaccare il bene a casa sua.

Paragonabile al tema della selvaggia e pericolosa wilderness è anche lo spazio stellare che separa i Gardner dai parassiti extraterresti. Anche qui il male arriva dallo spazio sconfinato e, tramite un asteroide simile ai famosi tripodi de La guerra dei mondi di Spielberg del 2005, si insidia nel terreno della fattoria, pronto a colpire all’improvviso.

Nulla può la casa-fortino dei contadini che, come il maniero de I ratti nei muri, è stata contaminata nelle fondamenta, pronta a crollare come gli ideali puritani.

Conclusioni

Nelle opere di Lovecraft avviene una oscillazione tra gli spazi aperti e chiusi, non ci si stanzia in un singolo luogo, c’è movimento.

Le piccole dimore dei protagonisti, sinonimo della casa-fortino, provano a rappresentare un luogo sicuro, ma vengono annichilite dalle entità provenienti dai vasti spazi aperti, spesso sconfinati, come l’oceano, lo spazio extraterrestre o i sotterranei della dimora dei Delapore.
Questa rappresenta una visione catastrofista, sintomo di una società che si sente sicura, ma non appena incontrerà una difficoltà sul proprio cammino, si sgretolerà.

La sicurezza è apparente, come nell’isola misteriosa di Dagon, dove il protagonista potrebbe riuscire a sopravvivere come la reincarnazione di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, ma il suo viaggio di esplorazione non lo porta a trovare un luogo di salvezza, non gli consente di stanziarsi, apprendere, coltivare, vivere. L’orrore si cela dietro l’angolo ed impedirà al naufrago di riuscire a salvarsi.

Come accade nel 1890 con la fine della frontiera americana, il sogno per eccellenza dei puritani svanisce. L’americano non sa più dove fuggire, non sa più dove poter isolare il male, e sarà costretto a conviverci vista l’impossibilità di espellerlo.

La cultura puritana è rappresentata e preservata dai contadini del New England, che provano a tenere al di fuori della propria dimora il male, continuando a svolgere il loro lavoro.
Potrebbero sembrare dei predestinati, lavoratori per conto di Dio, ma se fossero realmente tali avrebbero già ottenuto la salvezza, invece la volontà di Dio si scaglia su di loro, piove dal cielo sotto forma di meteorite, la loro terra diventa la nuova Sodoma e la loro vita è già stata segnata.

Tramite il suo lavoro, Lovecraft, non vuole mettere in risalto lo spazio sconfinato ricco di opportunità tipico della cultura della frontiera dei padri pellegrini, vuole invece muovere una critica, perché conquistati gli spazi, non si trovano nuove chance di vita, ma solo il male assoluto, primordiale.

Il conflitto nelle opere non lo si affronta in un epico duello. Nel caso di Dagon, si fugge dal mostro, rinchiudendosi nella propria casa-fortino, altrimenti si prova a mediare, studiando questi orrori, ma alla fine si viene sempre annientati.

La società messa in mostra da Lovecraft è inerme e, nonostante il proprio operato, il proprio lavoro e i propri sforzi dovrà riuscire ad imparare a convivere con il male, o soccombergli.
I protagonisti ne sono la dimostrazione, nessuno di loro è un eroe o un vendicatore, non sono come i protagonisti di It di Stephen King o gli eroi americani tornati dalla guerra, questi sono personaggi divenuti psicopatici, paranoici che manifestano anche un doppio nella loro persona. Non sono vincenti, perché dal conflitto con il male ne escono sconfitti, nella mente e nel corpo.

Il lavoro di Lovecraft non è solo volto a divenire una pietra miliare della letteratura horror della storia, ma è anche una forte critica alla società. Un’infanzia infelice e una vita avara di soddisfazioni ne hanno segnato la visione del mondo. Non esiste una frontiera da poter conquistare e sfruttare, non esiste la libertà dell’uomo, non esiste un Dio benigno, e qui si vede il suo forte ateismo, che ci tende la mano e ci guida attraverso il lavoro.

Forse la vita va vissuta in un altro modo, come ci racconta lui stesso in una delle sue rarissime confessioni:

“In un universo senza scopo, tutto è uguale e nulla vale la pena di un serio pensiero. Non ci resta che cogliere ciò che preferiamo e sorridere, rendendoci conto che dove non esistono autentiche direzioni l’una vale l’altra. Ed è meglio non cadere nell’assurdo eccitandosi o dandosi alla violenza, alle aberrazioni e ai comportamenti antisociali a causa di qualche illusoria sciocchezza. Nulla è importante, ma forse è più confortevole mantenere la calma e non interferire con gli altri”. (Lovecraft, 1925, Lettere dall’altrove)

lovecraft

I nostri consigli…

Qualora fossi un neofita del Maestro dell’orrore, ti consigliamo fortemente Il dominatore delle tenebre. Il meglio dei racconti, contenente fra gli altri il leggendario Ciclo di Cthulhu.
A questi vanno aggiunti, senza ombra di dubbio, il Necronomicon, edizione Mondadori del 2017 contenente delle meravigliose illustrazioni, ed Il profeta dell’incubo. Il ciclo del sogno, volto a farci addentrare nei racconti più “onirici” realizzati dallo scrittore di Providence.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.