Eccovi gli indie più interessanti, particolari e originali di novembre 2020!

Mentre il mondo della grande produzione si gode l’arrivo della nuova generazione di console, il panorama indipendente e medio budget continua imperterrito nella sua inarrestabile corsa creativa. In questo terzo  appuntamento, vi racconterò alcune delle esperienze più particolari, originali o semplicemente ben fatte che mi sono capitate curiosando tra gli store digitali videoludici. Eccovi i migliori indie di questo novembre 2020. E ricordate, Indie Does it Better!

Prima di iniziare, sono però necessari alcuni chiarimenti. Il termine “indie” si è trasformato nel tempo in un ombrello concettuale all’interno del quale oramai viene inserito un po’ di tutto, da Cuphead e Journey (con alle spalle il publishing di Microsoft e Sony) fino al più stereotipico “gioco uzbeko con i sottotitoli in ucraino“.

Andando oltre le categorie commerciali, con questa rubrica cercherò semplicemente di dare visibilità a progetti che penso meritino di più di quel che appare. Dunque, se qualche volta vi capiterà di leggere di un titolo con un publisher alle spalle, o con una campagna mediatica di medio successo, non pensate che non sia stato inserito per ignoranza, ma solo per il sincero desiderio di curare una rubrica che abbia come obiettivo quello della creatività, e non una stringente aderenza a categorie canoniche e strutture commerciali.

Indie migliori novembre

Kosmorats

Io ho dei problemi enormi con certi tipi di puzzle ed enigmi, ossia quelli che stanno alla base del gameplay di Kosmokrats. Per questo motivo l’avevo messo da parte nonostante i suoi temi e (soprattutto) le sue scelte visive mi intrigavano moltissimo. Poi un amico m’ha detto di giocarlo perché quelle parti sono meno ostiche di quel che sembrava, mentre tutto il resto era effettivamente fighissimo.

E niente, ho avviato Kosmokrats e mi sono innamorato, perché è un gioco capace di raccontare con una qualità dei dialoghi sinceramente sorprendente, con una “componente ludica” (brrr che brutta espressione) molto marcata ma comunque non in conflitto estremo con la narrazione, e soprattutto perché all’inizio sembra molto “hurr durr comunismo cattivo“, ma alla fine… Alla fine lo scoprirete voi.

Indie migliori novembre

Five Dates

Sì, lo so, come si può mettere un gioco di Wales Interactive tra gli indie? L’azienda gallese è effettivamente attiva da molti anni, pubblica su console da tempo e, soprattutto, coinvolge sempre attrici e attori di una certa visibilità.

Il punto è che intanto non sono comunque progetti dal budget immenso, ma soprattutto mi sento di premiare Five Dates perché dopo così tanti tentativi lo studio sembra aver capito qual è la loro dimensione narrativa. Dopo fallimenti totali come Late Shift e The Complex, ed esperienze mediocri come The Bunker e Shapeshifting Detectives, finalmente Five Dates ridimensiona enormemente i toni seriosi e complessi della tradizione dello studio, e ci lascia giocare con scenari semplici ma intriganti, con buone interpretazioni attoriali e con tante piccole scelte che cambiano i rapporti tra i personaggi. Finalmente!

Indie migliori novembre

The Falconeer

Eh no Claudio, questa non te la perdoniamo! Un gioco di lancio Xbox Series X tra gli indie del mese? Eh, sì, perché alla fine il termine indie indica non solo i mezzi usati, ma anche le dimensioni del team. E Falconeer, con tutti i publisher e gli hardware del mondo, rimane un gioco fatto da una sola persona: Tomas Sala.

Sì, oramai è chiaro a chiunque che anche la retorica del “singolo sviluppatore” è, appunto, solo retorica (a meno che tu non sia Toby Fox o Lucas Pope), e cose come la colonna sonora e altro sono state create da collaboratori esterni, ma rimane il fatto che il gioco ha una solidissima coerenza interna.

E poi come si fa a non citare un po’ ovunque un gioco dove cavalchi un falco gigante mentre cori delle steppe mongole descrivono vette e gole balcaniche? E giuro che non è un verso di Battiato.

Indie migliori novembre

The Change Architect

Più che premiare The Change Architect, questo mese cito l’ultimo titolo di Far Few Giants per riconoscere la qualità e l’interessante scelta commerciale del team. Nel corso di quest’anno, lo studio inglese ha pubblicato The Night Fisherman, The Outcast Lovers, The Imagined Leviathan e, appunto, The Change Architect.

Ognuna di queste brevi e gratuite esperienze si ispira a grandi romanzi, pellicole o storie della cultura popolare e letteraria, riadattandole ai contesti odierni: Night Fisherman recupera il vecchio e il mare; The Outcast Lovers cita Bastardi Senza Gloria; ecc. Nel farlo, sfidano temi d’attualità tutt’altro che semplici, e a volte forse rischiano di banalizzarli con meccaniche di dialogo a scelta multipla non sempre a fuoco.

Eppure, in questi mesi hanno costruito un percorso che ha già dato un’identità specifica alla loro poetica, che è più di quanto sappiano fare team di ben altro potere economico.

Dude, where is my beer?

Avventura punta e clicca deliziosa, breve e leggera, che sfrutta l’assurdità tradizionale degli enigmi di questo tipo di esperienze in relazione al contesto narrato. Ci ritroveremo dunque a interagire con personaggi assurdi e iper-stereotipati, cercando di risolvere problemi uno più ridicolo dell’altro, ma tutto sembrerà perfettamente in regola, anche grazie a una direzione artistica che si affida al cartoon e a musiche a tono.

Il gioco si prende talmente poco sul serio che spezza più volte la quarta parete per ridicolizzare se stesso, e nel farlo riesce a strappare più sorrisi di quello che avrei pensato dopo i primi dieci minuti di gioco.

South of the circle

Anatema! Un’esclusiva Apple in una classifica sugli indie? Purtroppo, nella gigantesca bolla che rappresenta il “mondo dei videogiochi” in Italia, sì, un’esclusiva Apple è un indie in termini di visibilità. Ho cercato “South of the circle recensione” su Google e solo uno dei colossi nazionali ha coperto questo assoluto gioiello, e nessuno youtuber (o almeno uno che compaia con media facilità sui motori di ricerca) ha dedicato qualche ora al gioco di State of Play Games.

Mi lascia sempre scioccato constatare che giochi simili vengono letteralmente saltati, mentre nello stesso anno esaltiamo collettivamente come culmine della narrativa videoludica giochi dove massacri 500 persone per dire che uccidere è sbagliato. Vabbè.

South of the Circle è scritto divinamente perché fa collaborare gameplay e narrato nel mostrarci dei personaggi umani e fragili; delle scene ansiogene e terrificanti; scelte estetiche esaltanti per qualità e coerenza con il racconto; intuizioni intriganti su come creare meccaniche per narrare, e non intuizioni su come offrire 100 modi di uccidere con una meccanica. Peccato che è esclusiva, a morte le esclusive.

Last words

Last Words è un videogioco dove l’interazione significativa è rara, ma proprio per questo assume un valore enorme nelle scelte che il giocatore si troverà a dover fare. È un racconto intimo e molto personale, ma al contempo talmente calato nella nostra contemporaneità, talmente immerso nei problemi che accomunano intere generazioni, che è difficile pensare che chiunque lo giocherà non ci troverà qualcosa di suo.

Un’avventura testuale che, nonostante sia stata interamente creata da una sola persona, ha anche una certa ricercatezza visiva rispetto allo standard di quel che si trova su Itch.io, tra chat di WhatsApp che lasciano il posto a schermate nere simbolo di riflessione interiore, ecc. Il testo poi è in italiano, date le origini dell’autore. Lo trovate a questo link.

Quello che non entra, rientra

Come sempre, ci sono state molte altre esperienze degne di nota, questo mese: Imagine Lifetimes è un simpatico esperimento interattivo; Tukoni è gratuito, carino, rilassante, semplicissimo e breve; il prologo di Children of Silentown promette moltissimo; The Last Show of Mr. Chardish ci prova tantissimo e i due sviluppatori sono adorabili da seguire mentre giocano e raccontano le loro idee; Chiken Police è un noir con i controattributi e dovete recuperarlo senza neanche chiedere. 

Ma, di nuovo, il tempo non è infinito, e la selezione cerca più che altro di stimolare varietà e voglia di curiosare, piuttosto che imporre una teorica graduatoria di merito. Ci vediamo il mese prossimo con Indie Does it Better!