L’evoluzione del punta e clicca…

Ricordo che mentre muovevo i primi passi nel mondo dei videogame per PC inciampai in una serie che davvero mi appassionò e in un certo senso capovolse i canoni di avventura grafica a cui ero abituato. Avevo passato i miei bei quarti d’ora puntando e cliccando con Indiana Jones e la sua ultima crociata e avevo avuto i miei diverbi con certe scimmie maleducate, ma stranamente non avevo mai incontrato nessun cavaliere di Daventry e non sapevo che c’era una lunghissima storia avventurosa e articolata che accompagnava le gesta di questo uomo. Era la saga di King’s Quest, che arrivò tra le mie mani direttamente al quinto capitolo. Erano nove lunghissimi dischetti da 1,44 Mb e per poterli giocare li dovevo scambiare ogni volta perché non avevo abbastanza spazio sul mio Hard Disk… erano tempi bui.

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L’avventura in questione, dalla celeberrima Roberta Williams, mi stregò e ancora oggi ricordo con odio quel maledetto orso che mi fece morire tante e tante volte fin quando non riuscii a capire come superarlo. E quella fu la cosa drammatica: erano avventure in cui si poteva morire, dannazione! Un passo falso e si diventava cibo per i vermi… ma che storie, ragazzi, che STORIE!  Da allora a oggi, sono cambiate tante cose, soprattutto non sono più il dodicenne imberbe che strabuzzava gli occhi incantato davanti a ogni pixel colorato e soprattutto le avventure grafiche punta e clicca sono morte, a parte qualche raro caso. Quindi con questa considerazione mi sono avvicinato un po’ titubante a questo nuovo episodio della saga, un capitolo a parte, che non porta neanche il numero di rito (non è King’s Quest IX, che tanto abbiamo aspettato), tanto da dover essere considerato un reboot-interquel (né sequel né prequel, ma qualcosa che vive in mezzo agli altri videogame), qualcosa che vive in un universo videoludico alternativo, con rimandi al resto della saga, da cui eredita parte del DNA.

Effetto Sierra

Appurato che questo non è King’s Quest IX, allora chiariamo un altro punto. In questa (travagliata) produzione non compare neanche il nome di Roberta Williams, che ha rifiutato di scrivere una sola riga per questo titolo perché ormai fuori dal mondo dei videogames. Messi i puntini sulle i, aggiungiamo anche che questo non è il progetto dei TellTale Games, precedentemente contattati da Activision, anche se mantiene lo stile a episodi inaugurato con successo dalla giovane casa di produzione. Quelle che avrete per le mani, se decidete di acquistare King’s Quest 2015, è un’avventura sviluppata da The Odd Gentleman, pubblicata da Sierra e distribuita da Activision: insomma è un bambino con ben tre genitori, per buona pace della famiglia ‘tradizionale’…

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Il progetto si sviluppa in cinque episodi (più uno bonus per chi acquista al buio la versione completa), esattamente come impostato dai precedenti TellTale, di cui purtroppo non conosciamo la data di futura pubblicazione. Per adesso dobbiamo accontentarci di A knight to remember, la prima parte delle avventure di Graham e del suo percorso per diventare cavaliere e poi Re. L’artificio narrativo scelto dagli autori per imbastire la storia è quello del vecchio re un po’ rincoglionito, ma di base lucido, che racconta alla nipotina la storia della sua giovinezza, nel perfetto stile dei ‘bei tempi andati’, narrando le roboanti avventure che hanno portato il giovane wanna-be cavaliere a mettersi sulla testa la corona reale. Si inizia con un veloce tutorial di circa una mezz’oretta in cui troviamo Graham alle prese con il recupero dello Specchio Rubato, un artefatto magico che dovrebbe assicurargli la salita al trono. Paradossalemte il tutorial è importante sotto molti aspetti, non solo quelli di mero gameplay (che analizzaremo tra un momento), ma soprattutto per quelli narrativi e di coerenza con la saga. Infatti, questo pezzo di avventura descrive uno dei momenti chiave del primo King’s Quest, travisando leggermente i fatti, come se la memoria del vecchio Re fosse offuscata, o come se in fin dei conti ci trovassimo in un universo quasi parallelo…
L’avventura procede quindi sui due piani narrativi: dopo il tutorial si va ancora più indietro nel tempo e finalmente inizia la vera storia di Graham, quella che lo porta a diventare Cavaliere (il Knight to Remember del titolo), tra enigmi, personaggi assurdi e dialoghi fulminanti. Dall’altra parte invece, seguiamo le interazioni della piccola Gwendolyn, nipotina del Re anche lei alle prese con un un torneo di tiro con l’arco insieme al suo cugino Gart. I due racconti sono legati grazie a un piccolo escamotage e alcune sane trovate a livello di gameplay.

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Le due storie, però, sono alquanto scialbe e lineari, scorrono via senza infamia e senza lode, senza quei guizzi narrativi o quell’effetto WOW che permeava le vecchie avventure, anche se non mancherà di farvi sorridere o darvi qualche pugno nello stomaco. C’è da dire che i ragazzi di The Odd Gentleman hanno svolto un ottimo lavoro di scrittura dei dialoghi che appaiono sempre freschi e divertenti, senza tradire il vero animo della serie. Lo stesso dicasi per la costruzione dei personaggi, dal protagonista fino a quelli più periferici della narrazione, che non tradiscono un aspetto canzonatorio e cartoonistico, che fa da filo conduttore per l’intera produzione. Ovviamente questo giudizio, per quanto lapidario, va visto nella giusta prospettiva, nella prospettiva di un gioco di cui conosciamo a mala pena un quinto delle potenzialità, che potrebbe avere ancora tanto da dire e che sicuramente ci riserverà delle sorprese. Quindi per adesso prendete questo commento come puntuale e a sé stante, modificabile in corso d’opera, sia nel bene che nel male.

Contesto sensibile.

Per stessa volontà degli sviluppatori, il gameplay della serie è stato ‘modernizzato’, lasciando da parte il classico punta e clicca con enigmi sparsi per tutta la mappa di gioco e risolvibili con un sapiente utilizzo di cortocircuiti mentali e oggetti tra i più disparati raccolti anche mesi e mesi prima. Ora tutta l’azione (per così dire) si svolge nell’area in cui il giocatore si trova, senza grosso backtracking, senza accumulare quantità di oggetti dal dubbio uso. Il sistema, secondo il direttore creativo stesso Matt Korba, è basato sull’utilizzo di un solo tasto in un preciso contesto. L’interfaccia quindi quasi non esiste, se non fosse per un rudimentale inventario a scomparsa, dove saranno alloggiati i vari item che utilizzeremo nelle quest. Per il resto, ci basterà spostare il nostro eroe vicino a un oggetto di interesse per vedere comparire il tasto da premere con la relativa azione. Insomma, una cosa abbastanza minimalista, forse pure troppo. Lo stesso dicasi per gli enigmi, dove la soluzione è praticamente urlata, senza alcun tipo di ragionamento laterale o di guizzo di follia. Molte volte gli enigmi sono divertenti, nel senso che la soluzione è il frutto di dialoghi, che non smetteremo mai di chiamare brillanti, perché lo sono davvero.  Il gioco mette sul piatto anche altri elementi di gameplay, come ad esempio la visuale in soggettiva per sparare frecce, o alcuni dimenticabili momenti in cui bisogna premere un tasto al volo a mo di laser game o QTE o delle corse a rotta di collo per sfuggire da un pericolo incipiente. Insomma, un gameplay ibrido, un po’ semplificato rispetto a quanto abbiamo visto negli altri capitoli… ma quella dei vecchi King’s Quest è un’altra epoca, in cui anche i videogiocatori erano dei cavalieri più duri di quelli di ora.

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In realtà, la struttura di gioco di questo nuovo capitolo della saga di Sierra offre un ulteriore livello di profondità. Abbiamo già detto precedentemente che la storia di Gwendolyn e quella di suo nonno da giovane sono intimamente legate e qui sta il vero senso del racconto. Graham sarà di volta in volta messo di fronte ad alcune scelte, in un sistema a risposta multipla, per intederci, che decideranno l’andamento dell’avventura e condizioneranno lo svolgersi futuro di altri eventi. In un certo senso le scelte saranno sempre inscatolate nelle tre categorie: ‘Violenza pura’, ‘Amicizia e amore’ e ‘Furbizia’. Per cui, partendo già dal tutorial, potremo scoccare una freccia nell’occhio del drago (opzione 1), liberarlo dalle catene (opzione 2), raggirarlo distraendolo (opzione 3). Questo ovviamente altererà la storia nei prossimi capitoli, ma ancor di più condizionerà il comportamento di Gwendolyn. Questa è stata la trovata che mi ha fatto davvero sorprendere: inserire l’idea che il racconto del nonno non sia solo una favoletta ma bensì una serie di suggerimenti e consigli educativi, al solo uso e consumo della giovane nipotina. Interessante, perché dona una nuova dimensione all’intera storia e forse regala una spiegazione nascosta al perché alcuni riferimenti alla vecchia saga sono leggermente travisati: perché nella versione originale perdevano l’aspetto scolastico caro al nonno.

Cartoon fino alla fine

L’aspetto grafico di King’s Quest è decisamente cartonistico, quasi disneyano nelle movenze, tra protagonisti dinoccolati e cavalieri ipertrofici, fatto di esagerazioni e movimenti affettati, dove il gusto per l’assurdo la fa da padrone. La palette di colori accesi e saturi dona un aspetto volutamente luminoso alle scene, condendo l’azione scanzonata con una giusta sottolineatura artistica orientata con l’intento generale di farne una favola per bambini, che poi tanto per bambini non è. L’Unreal Engine muove tutto con dovizia, senza mai rimanere indietro, anche se, bisogna dirlo, non c’è molto sullo schermo per cui un motore grafico dovrebbe trovarsi in affanno.

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La parte sonora è altrettanto ben realizzata, grazie a un doppiaggio godibile e recitato con maestria. Purtroppo non c’è alcuna opzione per la lingua italiana e questo forse pregiudicherà il successo del gioco, così testualmente basato, nel nostro paese. Non possiamo far altro che sperare in qualche volenteroso Modder che si cimenti in questa impresa, considerando che i dialoghi sono davvero tantissimi, con un script che constava di oltre cinquecento pagine. La longevità del titolo è altalenante e difficile da giudicare perché dipende molto da quanto si resti affascinati da questa storia, da questo doppio romanzo di formazione, in cui da una parte vedremo Graham diventare cavaliere e con il suo esempio plasmeremo le azioni della nostra giovane nipotina. È interessante conoscere le conseguenze di tutte le nostre azioni e questo ci imporrà di dedicarci per diverse decine di ore a questo gioco, passando per i vari enigmi più e più volte. Se però volessimo fare un solo playthrough, allora ce la caveremmo con un discreto 5-6 ore di gameplay, data la relativa semplicità degli indovinelli. Ma ancora una volta: questo è il primo episodio e tante cose possono accadere nel corso della realizzazione degli altri, soprattutto in base ai feedback che saranno rilasciati in questi giorni.

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Conclusione

King’s Quest ritorna a fare capolino dopo oltre dieci anni di assenza e dopo una travagliatissima storia realizzativa, senza la splendida Roberta Williams, ma con i The Odd Gentleman alla cabina di regia. Il gioco si presenta aggiornato anche nel formato a episodi introdotto dai TellTale e si colloca come un interquel, a metà tra il sequel e il reboot, con elementi di tangenza con i vecchi episodi.  Il sistema di gioco non è più il vecchio punta e clicca, ma un sistema ibrido a contesto sensibile, adattato per avvicinare i possessori di console e mouse-privi a questo tipo di gioco, dove basterà premere un tasto quando richiesto per interagire con l’ambiente. Gli enigmi, per quanto divertenti nella realizzazione e nei risultati, sono purtroppo troppo semplici, almeno per i giocatori più navigati. La storia si snoda abbastanza linearmente e i due piani narrativi interconnessi e mutuamente influenzabili sono una trovata abbastanza valida per spingere a giocare più e più volte l’avventura.

Eugene Fitzherbert
Vittima del mio stesso cervello diversamente funzionante, gioco con le parole da quando ne avevo facoltà (con risultati inquietanti), coltivando la mia passione per tutto quello che poteva fare incazzare i miei genitori, fumetti e videogiochi. Con così tante console a disposizione ho deciso di affidarmi alla forza dell'amore. Invece della console war, sono diventato una console WHORE. A casa mia, complice la mia metà, si festeggia annualmente il Back To The Future Day, si collezionano tazze e t-shirt (di Star Wars e Zelda), si ascolta metal e si ride di tutto e tutti. 42.