Marciamo. Nella bocca dell’inferno: marciamo.

Quando L’Ombra di Mordor arrivò sulle nostre console qualche anno fa, ricordo che ne restammo tutti piacevolmente sorpresi. Intendiamoci: il gioco non era nulla di veramente nuovo, ed anzi non faceva mistero della sua natura fortemente derivativa. Giocarlo ancora oggi significa riconoscerne ogni ispirazione, tanto cinematografica, per il modo in cui sceglie di adattare l’estetica tipica dei film di Peter Jackson, tanto ludica, nella misura in cui non proprio copia, ma palesemente si ispira a titoli come Batman Arkham e Assassin’s Creed. Eppure, nonostante tutto, il gioco fu quasi un fulmine a ciel sereno, più che altro per la sorpresa che creò in noi mostrandosi come uno dei migliori, se non il migliore, tie-in che si ricordi. A fare la parte del leone c’era il celeberrimo Nemesis System, capace di dare, forse per la prima volta nella storia, un’inaspettata complessità alle schiere di NPC, non più semplice carne da trito per le nostre lame, ma dotati di una propria identità che, per quanto abbozzata, ne amplificava il carattere. A sfondo, poi, una sorta di immenso “what if”, quasi di marvelliana memoria, il cui scopo non era, all’epoca, quello di mettere una pezza ad un buco narrativo, ma anzi quello di approfittare di quella mancanza per poter “giocare” con certi personaggi senza il rischio di intaccare il canone tolkeniano. Intrigante, ricco, appagante, L’Ombra di Mordor ci lasciava col fiato sospeso nelle sue battute finali, con un nuovo Anello del Potere da forgiare, con la promessa che ben presto, su Mordor, sarebbe scesa l’ombra di una guerra inevitabile. È questo il giorno.

Racconti incompiuti

Ritessendo le fila del racconto per mezzo di una veloce infarinatura degli eventi precedenti, ci rendiamo conto di aver lasciato la storia di Talion e Celebrimbor in media res. I primi scontri del duo non erano che un assaggio, una premessa. Sconfitta la Mano di Sauron, il circolo malvagio di lacchè dell’Oscuro Signore, i due si erano imbarcati in un viaggio verso il Monte Fato nella cui fucina naturale avevano forgiato un nuovo Anello del Potere, e con esso un nuovo Signore. Non più oscuro, ma lucente. Puro, perfetto, lontano dalla malia dell’Oscuro e, pertanto, imbattibile, il duo di eroi vede nel nuovo anello la chiave per sconfiggere il male, esiliandolo dalla terra di Mordor per gettare così le basi di un nuovo equilibrio. Cominciato il gioco, il nuovo anello resta però tra le nostre mani poco, troppo poco affinché qualcosa possa seriamente cambiare. Un potere tanto grande, in un regno tanto malato, luccica come un faro nella notte. Proprio per questo attorno all’anello ed al suo possesso si avvicineranno subito i primi personaggi che, volenti o nolenti, finiranno per partecipare alle sorti della guerra. Dalla sua genesi al suo climax, dagli scontri campali combattuti tra orchi al momento in cui, se tutto andrà come deve, il ramingo e l’elfo si scontreranno, e sottometteranno, l’oscuro Signore.

L’Ombra della Guerra ha il pregio di raccontare una storia dalla premessa intrigante, che più che espandere il precedente “what if”, si diverte a scontrarsi col canone tolkeniano, non senza rispetto, ma con la volontà di scrivere una pagina nuova della storia della Terra di Mezzo. Fan o meno, l’idea di un nuovo anello e la filosofia che sta alla base del potere, della sua presa di coscienza, sono spunti che abbondano nei racconti originali e che sono qui ripresi con intuizioni interessanti, complici le ovvie necessità ludiche che ci porteranno, in più di un’occasione, a scontrarci con creature mitiche come i Balrog, o a cercare di soggiogare mostri volanti e amenità varie, finanche i Nazgul. Si tratta di qualcosa che qualunque fan vorrebbe vivere, al prezzo – s’intende – di non doversi sforzare troppo nel mettere da parte tutte quelle leggerezze che mal si conciliano con Silmarillion e affini. Il problema è semmai un altro: nelle oltre 30 ore che occorrono per completarlo il gioco non risulta particolarmente prodigo di informazioni, ed anzi la sua trama è così diluita nel corso della partita da finire per esser messa da parte. Solo occasionalmente richiamata da un breve intermezzo o da qualche esigenza ludica. Poche, sporadiche sessioni, lasciate a galleggiare su un mare di attività. Il gioco cerca di mettere tutto in mano alle sottotrame, alle missioni secondarie, agli avvenimenti che vedono partecipi alcuni inediti personaggi secondari. Ma il racconto ne risulta spezzato, disuniforme, in generale ben poco dignitoso, per quanto nonostante le numerose libertà narrative sia comunque, e innegabilmente, affascinante.

Il nodo nevralgico che sta al centro della narrazione è la dicotomia che sussiste tra potere e corruzione. Non il semplice binomio tra bene e male, ma il potere in sé per sé, ed in ogni sua forma. Sottomissione, schiavismo, coercizione, sono solo alcune delle tematiche che il gioco sceglie di trattare, seppur tramite intermezzi molto leggeri e quasi mai veramente concentrati sul tema in sé. Diciamo che probabilmente per motivi di accessibilità verso un pubblico più giovane, o forse disinteressato, L’Ombra della Guerra non offre una vera e propria critica, ma poggia le sue basi sulle tematiche succitate per lasciarle alle intenzioni del giocatore che potrà comprendere quel che c’è scritto tra le righe o, come per la trilogia di Peter Jackson, godersi semplicemente un lungo e divertente pestaggio di orchi. Un’avventura, punto e basta. Eppure ci sono sfumature politiche che val la pena apprezzare e forse persino approfondire. C’è un modo di parlare del male che sembra terribilmente attuale, e che tuttavia non sfocia nella più edulcorata critica sociale. C’è insomma un certo piglio in quel che L’Ombra di Mordor ha da dire; un piglio che però non si sorregge che su pochi momenti, lasciati per lo più in balia di moltissime ore passate a filo di spada. Il che, considerato un gioco del genere, può anche andar bene ma non può non lasciare in bocca un certo senso di mollezza o, se vogliamo, di incompiutezza o mancanza di coraggio. Un qualcosa che non ci si aspetterebbe da un team di scrittori che ha avuto il coraggio di scalfire il canone tolkeniano che, diciamocelo, è una bibbia imprescindibile del genere fantasy e che, proprio per questo, è attorniato da un’aura di intoccabilità. Come è giusto che sia, aggiungeremmo. Eppure L’Ombra della Guerra ora sfida il canone, lo sovverte, lo mastica e lo sputa. Fondamentalmente: diverte e ci avvinghia, ci attizza, ci galvanizza. Lo fa perché ha coraggio, ma paradossalmente gli mancano le palle per andare fino in fondo, narrativamente parlando, sicché tutto muore, per un vezzo più che tipico dei racconti incompiuti. Stipati in un cassetto di idee in cui, in fondo, non si crede poi più di tanto.

“La guerra è indispensabile per difendere la nostra vita da un distruttore che divorerebbe ogni cosa; ma io non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, né la freccia per la sua rapidità, né il guerriero per la gloria acquisita. Amo solo ciò che difendo: la città degli uomini di Nùmenor; e desidero che la si ami per tutto ciò che custodisce di ricordi, antichità, bellezza ed eredità di saggezza.”
Faramir – Le Due Torri

Dal punto di vista del gameplay, L’Ombra della Guerra, come il suo predecessore, non maschera in alcun modo la sua natura derivativa, ed anzi praticamente non fa null’altro che riproporre quanto visto nel primo episodio, espandendo il tutto oltre i confini imposti dal suo prequel, ma restandone assai fedele. Il core è dunque quello di un action fortemente esplorativo, la cui mappa free roaming è divisa in ben 5 aree differenti, a differenza delle 3 dell’episodio precedente. Proprio le ambientazioni sono forse il primo e fondamentale passo in avanti della produzione, che dal punto di vista dei combattimenti sceglie di non scollarsi affatto dal predecessore, restando dunque ancorata alla sua personale versione dell’ormai arcinoto “free flow” ereditato dalla serie Batman Arkham. Gli ambienti sono invece più ampi, variegati e soprattutto verticali, concedendo al giocatore molte più possibilità in termini esplorativi e di approccio all’ambiente. Archiviata la piattezza cupa e oscura della Mordor del precedente episodio, L’Ombra della Guerra offre scorci più complessi e architettonicamente validi, divertendosi ad immaginare le divagazioni dell’architettura orchesca, secondo quelli che sono i diversi gruppi tribali in cui questi si sono divisi. Non più dunque semplicemente “orchi”, ma vere e proprie tribù, idolatranti i diversi aspetti della selvaggia vita di Mordor e le sue più cupe sfumature. Che siano essi “selvaggi”, “mistici” o della tribù inneggiante alla guerra, gli orchi mostrano i loro tratti non solo per mezzo dei loro abiti e delle loro armi, ma attraverso le costruzioni dei loro avamposti, che strutturalmente, per quanto ripescati dall’immaginario cinematografico, offrono un aspetto più affascinante e realistico della vita di Mordor, la qual cosa – considerato tutto – è un vero pregio.

L’ampiezza della nuova mappa permette anche di contestualizzare meglio i luoghi in cui si svolgono gli eventi, che pure era una prerogativa del primo episodio, che però si lasciava volutamente sul vago, probabilmente per non scontentare troppo gli amanti del mondo di Tolkien. In questo senso Monolith sembra aver preso coraggio, tanto che è possibile visitare alcuni luoghi nevralgici di Mordor, per altro ben noti non solo a chi ha ampiamente apprezzato i testi scritti, ma anche a chi conosca Tolkien per mezzo delle trasposizioni cinematografiche. Se da un lato, quindi, abbiamo sulla mappa l’ovvia presenza di Barad-dûr, dall’altro potremmo esplorare luoghi memorabili come Seregost, Cirith Ungol e soprattutto Minas Morgul, la “Torre della Stregoneria” nei cui pressi Sam credette di aver visto Frodo morire per mano, o meglio zampe, del ragno Shelob.

Un peccato che questa ampiezza, questa vivacità scenica, non corrispondano ad una vivacità contenutistica. Per quanto il team si sia sforzato di aggiungere delle novità piacevoli, è ancora evidente che le missioni del gioco siano tutte vincolate ad una certa ripetitività il che, considerando la grandezza della mappa (e l’aumento di ore necessarie a completare anche solo la trama) significa vedersi propinati ancora, e ancora, e ancora missioni uguali a se stesse, molte delle quali praticamente identiche a quelle vissute nel primo capitolo. Verrebbe da pensare che il meglio sia demandato alle missioni della trama, ed in effetti è vero. Queste, specie nella prima parte dell’avventura ignorano quasi del tutto le meccaniche del Nemesis System, e si divertono a proporre delle intriganti divagazioni, talvolta action, talvolta stealth, altre volte ancora in una inattesa salsa da monster brawler, neanche fossimo dalle parte di Rampage. Poi tutto si assesta, si ferma, e come da “canone” il gioco comincia a orientarsi pesantemente verso il sistema Nemesis che è bello, profondo, fighissimo, ma tarpa irrimediabilmente le ali a qualunque divagazione precedentemente intrapresa. Persino i personaggi del cast che fanno da corollario alla storia principale vengono velocemente messi da parte, ed ogni premessa bruscamente frenata sul nascere, archiviando tutto, trama compresa, in un modo così immotivatamente frettoloso da lasciare di sasso. Lo stesso Talion, vittima per altro di un notevole colpo di scena finale, perde quasi la sua sostanza. Il suo dualismo con Celebrimbor, i rispettivi aspetti della vendetta, le rispettive concezioni di potere, sono mascherate malamente tra pochi minuti di scarsi di narrazione, frapposta randomicamente tra le varie missioni in modalità che, onestamente, avrebbero molto da imparare anche solo dal più anonimo degli Assassin’s Creed.

Dite amici…

Tutto questo è ovviamente un peccato enorme, specie se si considera quanto bello e funzionale sia proprio il Nemesis System, la cui versione precedente è da vedere oggi quasi come un’indefinita bozza. Su tutto, come anticipato, c’è una differenziazione tra gli orchi veramente notevole. Per quanto essi raramente respawnino, come è ovvio che sia, la loro diversificazione è a dir poco esagerata, così come è esagerato il numero di interazioni che possono avere tra di loro, e con Talion, dal punto di vista dei dialoghi. Del resto, a questo giro, non un piccolo manipolo, ma ben 5 eserciti vanno messi in piedi (uno per ogni regione visitabile), sicché ci pare anche ovvio che il sistema dovesse in qualche modo essere ampliato. L’arricchimento, tuttavia, non è solo meramente estetico, ma procede per la sua strada anche sotto il punto di vista contenutistico. Certo, non aspettatevi l’aggiunta di chissà quante tipologie di orchi, ed anzi, fondamentalmente, troviamo una sola nuova razza: gli Olog (ibridi tra orchi e troll). Quel che fa la reale differenza è un complesso sistema di classi, abilità, equipaggiamenti e, naturalmente, proprietà tanto razziali quanto tribali, tali che ogni orco che verrà eletto capitano è realmente unico ed inimitabile. Talvolta le differenze tra due orchi sono sottili, altre volte abissali, in generale il loro rigido sistema di livelli (che pure possono essere aumentati con apposite missioni dedicate) garantisce una differenza reale tra un orco e un altro, al punto che la loro personalità, la loro tenacia, finanche la loro rabbia o il loro dolore, finiscono per essere la parte narrativamente più intrigante dell’intera struttura ludica. Gli orchi di questo gioco sono vivi, dinamici, sofferenti. Sentono il peso di responsabilità, fallimenti e ferite. Si ribellano, si infuriano, tradiscono, ergendosi, senza mezze misure, ai migliori NPC mai ammirati in un gioco anche solo lontanamente simile. Non si tratta, badate, di personaggi non giocanti meramente scriptati, ma della raffinazione, o se vogliamo dell’evoluzione, di quello che in ogni videogame, da sempre ad oggi, è considerato un mero gruppo di NPC da pestare e uccidere. L’Ombra della Guerra segna, in questo senso, una rivoluzione. Non più carne da cannone, ma centinaia di creature senzienti e, nel loro piccolo, vive. E questo, senza girarci ancora attorno, è il merito più grande di Monolith. Qualcosa che può, e forse dovrebbe, fare scuola.

…ed entrate!

Ma come si mette su un esercito orchesco? Le modalità sono le medesime del titolo precedente. Su tutto occorre rintracciare i “vermi”, orchi particolarmente vili la cui sottomissione ci permetterà di ottenere informazioni sui ranghi principali. Rintracciato l’orco di cui avremo notizie, e constatata l’effettiva possibilità di soggiogarlo, potremmo quindi ucciderlo, dominarlo o spaventarlo, a seconda che lo si voglia eliminare o farlo sopravvivere. La possibilità di spaventare orchi, fino a farli impazzire (sul serio) è una interessante novità. Marchiandoli questi perderanno livelli, il che è tutto perfettamente collocato nella logica del gioco secondo cui non è possibile arruolare orchi di livello superiore allo stesso Talion. Spaventandoli li si porta quindi al nostro livello, per sfidarli ancora e, eventualmente, dominarli. La dinamica, apparentemente prolissa, trova in realtà la sua logica quando ci troveremo poi a gestire i nostri orchi nella costruzione di una armata che, oltre ad avere un rango ben preciso, potrà essere anche disposta a difesa di uno degli avamposti del mondo di gioco, non prima ovviamente di averli conquistati per mezzo di apposite missioni di assalto.

La conquista e la gestione dei forti sono la grande novità di questo sequel. Banalmente: ogni area ha il suo forte, in cui sono schierati orchi al servizio dell’Oscuro Signore. In base al livello, a quelle che sono le loro abilità attive per la difesa, ed al numero di capitani che la sovrintendono (da 1 a 5), il forte avrà un livello espresso da un numero a cui si contrasterà quello del nostro esercito, che potrà schierare, come per il forte, un massimo di 5 campioni, con tanto di rinforzi e potenziamenti. Potenziamenti che, ovviamente, vanno acquistati e che sono stati poi al centro di una lunga diatriba sulla questione delle microtransazioni. Queste effettivamente ci sono nel gioco, e permettono di acquistare delle casse contenenti orchi particolarmente potenti (e dunque utilissimi per la messa a punto di esercito e guarnigione) sia equipaggiamenti particolarmente rari. Ma chiariamoci: non occorre spendere moneta reale, basta quella di gioco. E per quanto sia indubbio che con la moneta reale si ottengano più facilmente scatole con contenuti migliori, è altrettanto ovvio che con un po’ di sano e doveroso farming il gioco sia terminabile senza troppi crucci. Specie se si considera una curva della difficoltà praticamente inesistente, a cui fa gioco anche un sistema di potenziamenti decisamente permissivo, con il risultato che il gioco è tanto “grosso” quanto accessibile, più sostanzialmente: facile.

Schierati sul campo ci troveremo ad affrontare una ricca battaglia campale per la reggenza del forte, che avverrà per mezzo della conquista di alcuni punti nevralgici. Stazionando presso questi punti avremo la possibilità di conquistarli e liberarli, e quando tutti saranno sotto il nostro scacco avremo libero accesso alla sala del trono dove il reggente, e relativi lacchè, ci aspetteranno per passarci a fil di spada. Uccidere o dominare il reggente ci permetterà quindi di conquistare il forte, e con esso libereremo la porzione di mappa dalla malia di Sauron, azione fondamentale per poter procedere verso le battute finali dell’avventura. Le sezioni di assedio sono divertenti, semplici ma ben progettate, e soprattutto nelle prime ore costituiscono un sollazzo notevole, complice l’esaltazione dell’espugnazione, e la semplice (ma funzionale) messa a punto dell’esercito. Anche qui il feeling che si va a creare con gli orchi, quanto mai partecipi tanto dell’azione quanto della precedente esaltazione della battaglia, fa buona parte del gioco di ruoli. Attivi, reattivi, e intenzionati a seguirci fino alla morte, potrebbe persino capitare che si frappongano tra noi ed un nemico, nel tentativo di salvarci la pellaccia o di mettere i bastoni tra le ruote all’esercito avversario, in un rimpiattino continuo di azioni eroiche, tradimenti e scazzottate che sa donare a tutto il gioco un’atmosfera francamente

Il punto è che col passare delle ore la ripetitività degli assalti si fa sentire. Non bastassero le missioni ripetute fino alla nausea, la semplicità con cui sono progettate le conquiste dei castelli mostra, già alla terza tornata, tutta la sua fragilità. Non ci sono particolari difficoltà, strategie o divagazioni. Si deve solo conquistare un numero variabile di punti, come un’eterna partita di una qualunque sessione simil “re della collina” abbiate mai giocato. La differenza la fanno gli orchi, sulla cui diseguaglianza di forza ci si gioca tutto. Chi ha gli orchi più forti vince, e per quanto la cosa suoni tremendamente realistica, questo è quanto, e perpetrarlo per ore e ore perde tanto di fascino quanto di soddisfazione. Persino i potenziamenti lasciano il tempo che trovano e, specie considerate le abilità sovrannaturali di Talion, ci si rende conto che certe cose, come le macchine da guerra, sono facilmente distruggibili. Il pensiero è che ci sia alla base un’idea con un potenziale eccezionale, ma che questa sia stata messa su in modo un po’ frettoloso, senza quel giusto numero di variazioni sul tema che avrebbero reso ogni conquista una sfida a sé. Già solo la presenza di obiettivi multipli nel corso della conquista dei forti, o di diverse tipologie di eventi “di supporto”, avrebbe reso ogni bastione una sfida unica. E invece la variante sono solo gli orchi. Che sono poi la variante dell’intero gioco… e di quello precedente.

Lo stesso Nemesis System è qualcosa di assurdo, bellissimo, complesso però spesso del tutto opzionale o non necessario. Gli orchi si fanno guerra tra di loro, ma questo poco influisce sul mondo di gioco o su certi aspetti della trama, specie se si considera che una missione fallita porta solo la grana di doverla riprendere da capo. Nulla di più, nulla di meno. Il potenziale inespresso è tale da finire per risultare frustrante, la qual cosa è particolarmente evidente nelle fasi finali del gioco in cui, in seguito ad un grosso colpo di scena, la prospettiva cambia e dall’attacco dei forti si passa alla loro difesa. Anche qui non c’è variazione alcuna, solo un’immotivata ripetitività, che complice le precedenti 30 ore di gioco (o già di lì, in base alla vostra smania di completismo), finisce per frustrare più che galvanizzare, e questo ovviamente è un gran peccato. A margine ci sono poi tutta una serie di difetti concettuali che c’erano già nel primo episodio, e che qui non sono stati neanche lontanamente risolti. Talion, ad esempio, è agilissimo, però non esiste un reale sistema di gestione dell’arrampicata. Si arrampica verso l’alto, il più velocemente possibile, ma ecco che se occorre ad esempio saltare da un muro all’altro, o fare il giro di un angolo, il sistema di controllo si scontra con la propria inadeguatezza e Talion va dovunque, tranne che dove dovrebbe.

Allo stesso modo la telecamera, che per quanto cerchi di dare il meglio di sé in situazioni che, diciamolo, possono vedere sul campo anche 30 o più orchi, finisce spesso per puntare in una direzione del tutto opposta alla nostra volontà. Un problema che riscontrammo, e riscontriamo, anche nelle stoccate di Talion, poco attente a risparmiare la vita dei suoi scagnozzi, e più improntate ad un fuoco amico senza mezze misure. Sicché tu sei lì, in una piazza, durante un assedio, e semplicemente scotenni uno dei tuoi capitani la cui morte, nel bene o nel male, pesa non poco sia sulla situazione del momento che su quella delle tue truppe che, a causa della bontà del Nemesis System, dopo la battaglia finiranno per ribellartisi. E ti senti stupido. Eccome se ti ci senti. E dire che sarebbe bastato un semplice quanto ovvio lock on per migliorare il tutto, ma ovviamente non c’è.

la terra di mezzo l'ombra della guerra recensione

Verdetto:

L’Ombra della Guerra è un gioco affascinante, ma dal potenziale inespresso. Da un lato c’è la ricchezza del Nemesis System, che impatta non poco sulla sensazione di coinvolgimento del giocatore. Mordor è un mondo ricco, complesso, dalla forte stratificazione sociale, e tutto questo viene espresso dai suoi abitanti orcheschi, regolamentati di un sistema artificiale che di artificioso, tuttavia, non ha nulla. Si tratta forse della messa in scena di NPC più teatrale, evoluta e appagante di sempre che però non basta da sola a risollevare le sorti di un gamepaly che, pur mantenendosi divertente, cade nello stesso tranello del suo predecessore. Perché il punto è che L’Ombra della Guerra è un gioco che galvanizza per le prime ore, e che finisce inesorabilmente per stancare nelle sue battute finali, perdendosi in una mole di missioni immensa, tutte però dallo stesso sapore. Non c’è dubbio che la sensazione di potere assoluto espressa dal racconto di Talion e Celebrimbor sia ammaliante, ma va constatato che tutto questo non basta a donare un corpo e una struttura definiti. La storia, in tal senso, è il prezzo più grande pagato dalla filosofia “bigger is better” che evidentemente Monolith ha applicato al suo gioco e che, forse nella frenesia del momento, ha fatto perdere al tutto una certa (e necessaria) organicità cosa che, paradossalmente, un prequel privo di meccaniche così complesse, a nostro giudizio, aveva. Pestare un balrog o un nazgul, certo, sono attività che valgono comunque un giro per Mordor, ma senza quel giusto connubio di epica e narrazione, in fin dei conti, che senso hanno?