Dalla vita, al libro fino alla serie TV: Maid è su Netflix

Le storie di povertà tendono spesso a venir raccontate con un pietismo strisciante, volontario o involontario. È ciò che ci ha insegnato la società: trattare situazioni di difficoltà estrema come un atto indegno di cui doversi vergognare a vita, finché non si è in grado di risanare la propria esistenza.

È poi sempre dal basso che sono partiti i più grandi. Quelli che non avevano nemmeno i soldi per comprare i libri di scuola e sono diventati in seguito geni della matematica. Scienziati o dottori o anche avvocati e impresari rinomati che sono partiti dal nulla, sgobbando duro, per vedere la propria strada ricoperta da un tappeto rosso di gloria.

Molte volte, però, non è la compassione quella che si richiede alla gente. E non è nemmeno quella che vogliono suscitare o ricevere le persone che si trovano in difficoltà. E, altre ancora, non è nemmeno il riscatto o la fama quello che questi individui cercano. È bensì un rifugio nella normalità. In una casa tutta propria, soldi veri che permettano di pagare l’affitto e la spesa.

Lavori umili che possano coprire le spese per asili decenti in cui mandare i propri figli e poter provvedere a loro senza dover passare nemmeno una notte a dormire in una stazione dei treni o dei traghetti. È la consuetudine della povertà che racconta Maid, la serie originale targata Netflix, e ancor prima riportata ed esposta dalla scrittrice Stephanie Land, di cui il prodotto in dieci puntate racconta la storia.

Maid che nella nostra traduzione italiana diventa “colf”, “domestica”, “donna delle pulizie”. Colei che si prende cura della casa degli altri, quando quasi non ha un tetto sotto cui stare. Un’operazione che nasce dall’ideatrice Molly Smith Metzler e si basa sul libro Maid: Hard Work, Low Pay, and a Mother’s Will to Survive. Una donna, la Stephane Land che ha scritto e ispirato il racconto, che quella povertà la riporta alla propria esperienza personale, agli anni passati a pulire i bagni, a fantasticare sulle esistenze immaginarie dei loro proprietari da cui prendeva ispirazione solamente spolverandone i cassetti.

Una madre che ha cercato il meglio per la propria figlia e che nella serie vediamo fronteggiarsi con un aspetto della violenza domestica che non lascia lividi in superficie, ma trafigge comunque come mille vetri lanciati sulla pelle. La situazione di precarietà di una giovane per cui i soldi non hanno mai rappresentato la riuscita del successo, ma la possibilità di poter provvedere e crescere adeguatamente la sua bambina.

Tutto per una figlia

Traendo dal romanzo di Land e mantenendo un rispetto che è quello che serie e creatrice non dimenticano mai di riservare alla loro protagonista, la serie Netflix Maid si apre sulla fuga di Alex (Margaret Qualley) in una notte che non era stata come tutte le altre e in cui l’alcol aveva completamente inibito il freno della violenza del suo compagno Sean (Nick Robinson). Un pugno al muro, un bicchiere lanciato. Un dominio psicologico e mentale che l’uomo ha esercitato sulla giovane, da cui la ragazza prova a svincolarsi e decide così di prendere le sue poche cose e andarsene.

Perché all’indigenza nella serie va aggiungendosi la condizione di abuso perpetrata ai danni di Alex, la stessa che la farà alloggiare in un centro di antiviolenza per poi tornare dall’autore di quelle sofferenze. E va sommandosi anche all’instabilità psichica di sua madre, succube di un ulteriore maltrattamento che, purtroppo, non si è stati in grado di risanare in tempo.

Eppure in questo fuoco incrociato di ponti da dover tagliare e ricordi di piatti distrutti, di depressioni incombenti e tunnel da cui, invece, si è intenzionati a fuoriuscire, è la risolutezza che non va mai mancando alla protagonista e che riverbera nei suoi tentativi di lavoro, nel cercare una dimora in cui stare, nel mostrarsi sempre allegra e pronta al gioco con la propria figlia, amandola come se ci fossero solo loro due in tutto il mondo.

La gentilezza di una madre, la sua continua attenzione verso la piccola e il non farsi strappare dagli altri anche la gioia che condividono insieme. Per l’Alex di Maid si prova infinita ammirazione e si loda la caparbietà che le ha saputo dare la sua interprete Margaret Qualley. Mai supplicante o tendente agli eccessi del dramma, dei sentimenti. Una ragazza equilibrata, anche quando l’ordine che era riuscita a stabilire salta ancora una volta per aria.

Il coraggio delle storie come Maid

Ma sono proprio le performance di Maid a fare della serie l’incontro tra quella volontà di rappresentazione priva di intenzioni caritatevoli e i disagi di personaggi in preda alle loro disfunzioni. Scelte che mettono in contraddizione i volti degli attori con le azioni dei loro ruoli e sospingono gli episodi.

Colpisce un Nick Robinson così adulto e sgualcito. Giovane attore dal volto pulito eppure scavato dall’alcol, che sbraita tanto come non lo avevamo mai visto fare. E a sorprendere è anche Andie MacDowell, madre bipolare, manipolata, assoggettata dagli uomini e da questi umiliata. Una costante, aspirante artista rinchiusa nel suo universo hippie e di questo prigioniera. Capelli spettinati, colori sgargianti e ricercati legami di sangue con i suoi antenati che distanziano la figura dell’attrice raffinata MacDowell da quella della sua Paula all’interno del prodotto.

Maid è colmo di narrazioni, dove sotto i sussidi e gli aiuti statali si intravedono quegli esseri umani che provano in qualsiasi modo a trovare una propria pace.
Aiuta a far comprendere che accettare una mano non significa svincolarsi dai propri problemi, ma trovare una scala con cui poter risalire. E che chiedere aiuto è la cosa più coraggiosa da fare. Quando si ha fame, si ha bisogno di un posto sicuro e, soprattutto, quando si ha paura. 

Maid è su Netflix.